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In questo lavoro si sostiene che le origini della crisi del 2001 vanno rintracciate nell’affermazione delle politiche neoliberiste avviate dall’ultima dittatura militare e consolidate dal governo Menem che, paradossalmente, basò il proprio consenso su promesse e soluzioni di ordine economico mirate a “sconfiggere la crisi” di iperinflazione del 1989, ma che invece fecero precipitare segmenti sempre maggiori della classe media al di sotto della linea di povertà e cristallizzarono la miseria dei soggetti classicamente più svantaggiati, senza contare poi l’aggravamento del debito estero. Dopo dieci anni di Menem, infatti, il debito estero era aumentato di ottanta miliardi di dollari.

La dittatura argentina svolse il ruolo fondamentale di annientamento del “politico” per spianare la strada alla ristrutturazione economica, sganciandola dal pericolo dell’ opposizione interna: “Questo dualismo ontologico – l’economico e il non-economico – non fa che riprodurre la scissione classica che accompagna tutta la metafisica della modernità: il razionale contro l’irrazionale e, al limite, il civilizzato contro il barbaro. In questo processo risiede a sua volta l’origine della separazione caratteristica delle società capitalistiche tra ambiti e sfere separate della vita sociale: l’economico e il politico in primo luogo”.278

277 Citazione di Rodolfo Walsh, tratta da O. Caram, Que se vaya todo. Asambleas, horizontes y resistencias, Manuel Suarez, Buenos Aires, 2002, p.16.

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La rivolta che si espresse dunque nelle strade di Buenos Aires e in molte province dello stato argentino durante le giornate del 19 e 20 dicembre 2001, non fu un avvenimento improvviso, bensì il frutto di un lungo processo di destrutturazione dello stato sociale e della società intera le cui origini risalgono, appunto, al “Processo di riorganizzazione nazionale” avviato dai militari nel 1976. E d’altra parte, anche dall’analisi delle forme della protesta emerge il peso dei cambiamenti economici e sociali, nonché politici e culturali dei settori popolari, dato che ci indica come il decennio che comprende il periodo tra il 1991 e il 2001 sia caratterizzato non solo da una svolta brutalmente neoliberista dell’economia ma anche della nascita di nuove forme di organizzazione sociale e di protesta.

Nuovi soggetti sociali, emergendo dal silenzio che la dittatura aveva imposto e unendosi, arrestano quel processo di “decollettivizzazione”279 frutto dell’alienazione individuale connessa alla crisi della rappresentanza, in particolare quella sindacale, iniziata nella seconda metà degli anni ‘80. Per ricordare la gravità del contesto: nel 1990 il 40% più povero della popolazione riceveva il 14,8% del reddito nazionale, mente il 10% più ricco godeva del 50,7%. Sette anni dopo alla prima andava il 13,6% e alla seconda il 51,3%. Il 30% della popolazione era priva di acqua potabile e 17 milioni di persone non disponevano di fognature. Inoltre, Il paese consegnato al Presidente De La Rua nel 1999 si era alleggerito delle sue imprese di servizi pubblici, che erano state privatizzate, mentre la legge di convertibilità che prevedeva la parità tra la moneta argentina e il dollaro statunitense, creò una prosperità fittizia. “La ricchezza degli anni ‘90 fu una combinazione di finanza speculativa e di vendite una tantum: la compagnia telefonica, la compagnia petrolifera, le ferrovie, la compagnia aerea. Dopo l’iniziale afflusso di contanti e di bustarelle, ciò che rimase fu un paese svuotato, in cui i servizi di base erano rincarati e la classe lavoratrice senza un lavoro. Rimase anche un settore finanziario deregolato in stile far west che permise alle famiglie più ricche d’Argentina di trasferire 140 miliardi di dollari di capitale privato in conti bancari esteri – sia più del PIL nazionale che del debito pubblico”280.

Leggendo e ascoltando le testimonianze di quel periodo (le due legislature Menem) si percepisce che le istituzioni che governavano uno stato disarticolato e decrepito non erano in grado di modificare sostanzialmente i

279 Concetto proposto da M. Svampa e S. Pereyra in Entre la ruta y el barrio, Biblos, Buenos Aires, 2003, pag 12. 280 N. Klein “Global argentina” su L’espresso 30/1/2003

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tratti ormai ben definiti dell’economia e della società, né di intaccare l’azione degli interessi corporativi incastonati nello Stato. “...Gli argentini, intanto, continuavano a consumare cultura per mascherare la crisi, raddoppiavano le proteste e non pochi si chiedevano che cosa era accaduto nel decennio menemista. Il mea culpa per aver dato il voto a Menem nel 1995 cominciava ad essere un luogo comune nelle conversazioni tra amici. La società mostrava già una frammentazione notevole: mentre all’interno dell’Argentina si continuava a scommettere politicamente sui caudillos conservatori, che fossero peronisti o radicali; mentre la crisi spingeva sempre più membri della classe media nella povertà…”281.

Il dopo Menem non risolse molte delle contraddizioni e dei problemi aperti nonostante il tentativo del Frepaso, una forza di sinistra moderata per la prima volta in crescita, che aveva costituito l’Alianza por el trabajo, la justicia y la educacion, una coalizione composta da un’inedita alleanza (“antiperonista”) con l’UCR che riuscì ad imporsi nelle elezioni presidenziali dell’ottobre 1999 con l’elezione di Fernando De la Rua.

Fin dagli esordi il nuovo governo dovette fronteggiare tre grandi questioni legate all’economia: la recessione, l’ampio deficit pubblico lasciato in eredità dall’amministrazione uscente, le incognite sul futuro della convertibilità. Di fronte al perdurare della recessione De la Rua cercò di portare a termine il progetto per la flessibilizzazione del lavoro iniziato da Menem. Cardine del progetto erano lo spostamento della contrattazione da una base nazionale a una base aziendale e il prolungamento del periodo di prova da 1 a 6 mesi. Il processo che avrebbe portato all’approvazione della legge, contro la quale si opposero i peronisti in sede parlamentare e i sindacalisti, divenne il fattore scatenante di una grave crisi politica ed istituzionale. De La Rua, per nulla intimidito dalla protesta popolare, deciso piuttosto ad ottenere forti stanziamenti dalle organizzazioni internazionali, decise di inserire riforme ancora più liberali, come la ristrutturazione del sistema previdenziale con aumento a 65 anni dell’età pensionabile per l’occupazione femminile, la riduzione delle aliquote per le imprese, la deregolamentazione del sistema sanitario e ulteriori tagli alla spesa pubblica.

Ai primi di luglio del 2000 iniziarono a circolare voci su un accordo tra l’esecutivo ed alcuni senatori dell’opposizione per consentire l’approvazione della riforma del mercato del lavoro nella direzione della flessibilità e della

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riduzione delle garanzie riguardanti le condizioni lavorative. Tali “voci” evidenziarono la gravità di uno degli elementi caratteristici e strutturali della politica argentina: la corruzione. Fu allora che De la Rua decise di richiamare Domingo Cavallo il cui ritorno è connesso all’ottenimento di un eccezionale prestito di 39,7 miliardi di dollari. Cavallo provvedette immediatamente al congelamento delle assunzioni e il taglio del 13% degli stipendi e pensioni statali superiori a 500 dollari. Ma la situazione economica precipitò e il FMI anticipò nell’agosto del 2001 una rata di 1,2 miliardi di dollari e un ulteriore prestito da 9 miliardi di dollari in cambio della promessa di intervenire ancor più efficacemente sulla spesa pubblica.

Nel novembre 2001 gli indicatori del differenziale tra i tassi di rendimento dei titoli argentini e quelli statunitensi indicavano che la forzosa parità con il dollaro non poteva essere mantenuta. Gli argentini, e in particolare la classe media, si resero conto di ciò che stava effettivamente accadendo solamente, o soprattutto, nel momento in cui Cavallo introdusse il cosiddetto corralito282, ossia nel momento in cui furono bloccati i depositi dei piccoli risparmiatori al fine di evitare il fallimento totale del sistema finanziario, con lo scopo cioè di salvare le banche straniere. Il blocco dei depositi dispose che non si potevano ritirare più di 1.000 pesos al mese, una misura che colpì, di fatto, in maniera sostanziale il ceto medio, poiché il governo aveva tempestivamente avvertito grandi imprenditori e finanzieri, argentini ed esteri che spostarono i loro capitali dalle banche nazionali, portandoli all’estero. “Le conseguenze nella vita quotidiana furono terribili: siccome nessuno poteva ritirare i soldi dalle banche, l’economia si paralizzò. E la gente era costretta a passare ore in lunghe code davanti alle banche ed effettuare complicati trasferimenti finanziari per pagare la luce (…). Alla furia della classe media, che aveva in banca i suoi risparmi accumulati nel corso di anni, si sommò la disperazione di quelli che non avevano denaro in banca e sopravvivevano con quanto raggranellavano giorno dopo giorno(…). Allo sfaldamento politico si aggiunse la sensazione di essere stati derubati dal potere.”283 La crisi politico-istituzionale del 2001 va contestualizzata dunque in una situazione economica nazionale drammatica in cui quasi metà della popolazione argentina, che conta 35 milioni di persone, risultò rapidamente indigente. La mancanza di salario e il blocco dei depositi determinano una miscela sociale esplosiva. La classe media delle grandi città scese in piazza

282 Letteralmente: piccolo recinto.

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“armata” di cacerolas, prendendo di mira, almeno inizialmente soprattutto gli istituti bancari.

Nel dicembre 2001, la situazione era infatti ormai insostenibile: ampi strati della popolazione erano ridotti alla fame e la rabbia portò all’assalto di vari supermercati ed altri esercizi commerciali nel Gran Buenos Aires. Assalti che furono chiamati, dalla stampa, “saqueos”(saccheggi), ed avevano precedenti nella crisi del 1989; un film inchiesta di Pino Solanas, Memoria del saqueo, ribalta questo punto di vista dimostrando che l’unico saccheggio effettivamente avvenuto in Argentina era stata la politica economica concordate con il Fondo Monetario Internazionale, la speculazione finanziaria, la corruzione della classe dirigente nel corso, almeno, degli ultimi 30 anni.

L’unica risposta politica che il governo De La Rua fu però in grado di dare alla popolazione nel momento di massima difficoltà fu quella repressiva che culminò nella proclamazione dello stato d’assedio, ovvero uno stato d’eccezione che comportava la sospensione dei diritti e delle garanzie costituzionali dei cittadini.

Questa pratica, ricordo di un passato non troppo lontano, fu un boomerang dalle dimensioni inaspettate: gli argentini non tollerarono infatti lo spauracchio e il ricatto di un possibile, ennesimo, colpo di stato: “Aquél 19 a la noche el pueblo le contestó al autoritarismo con una movilización espontánea que inundió las calles de Buenos Aires.”284

La notte del 19 dicembre migliaia di cacerolas invasero le strade della capitale, così come migliaia di giovani e di famiglie povere del gran Buenos Aires e delle periferie delle altre grandi città dell’interno del paese, fino alla giornata successiva. Dopo due giorni di repressione da parte delle forze dell’ordine si contarono 30 morti, ma il presidente in carica, Fernando de la Rùa, fu costretto ad abbandonare la Casa Rosada in elicottero. Per la prima volta, in Argentina, un presidente democraticamente eletto venne in questo modo destituito dal popolo.

Gli avvenimenti del 19 e 20 dicembre del 2001 segnarono innanzitutto la fine della paralisi delterrore nella quale era sprofondata la società argentina dal colpo di stato del 1976. La dittatura militare era riuscita infatti a imporre il silenzio e la paura a tutto il corpo sociale e su queste basi, a distruggere il

284 da V. Ducrot, “20 de diciembre: lo que fue, lo que pudo haber sido y lo que no fue”, dal sito web http://www.rebelion.org/argentina/ducrot181202.htm luglio 2005.

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tessuto sociale faticosamente costruito con le lotte dei decenni precedenti cosa che, tra l’altro, permise ai successivi governi democratici di contare sul relativo isolamento del dissenso che gli consentì di procedere a una brutale privatizzazione e concentrazione economica che condussero il paese alla deindustrializzazione, alla povertà e alla disoccupazione.

La rottura del silenzio permise dunque a migliaia di persone diverse tra loro (per coscienza politica, classe sociale, luogo di origine) di scendere nelle strade e di riconoscersi “uguali” all’interno del disastroso contesto economico fin qui descritto. Questo atto di “identificazione” ha permesso il graduale recupero di un valore praticamente estinto in Argentina, la solidarietà.

Si ritiene però che ciò che è successo nelle strade di Buenos Aires alla fine del 2001 sia stato anche il risultato di più di dieci anni di lotte sociali, molto spesse sorde, sotterranee e invisibili.

Si è trattato indubbiamente di un’insurrezione senza direzione né programma, priva, soprattutto, di convocazioni: in questo senso si è trattato di un avvenimento nuovo e ha rappresentato l’atto di nascita di un nuovo protagonismo sociale che ha spiazzato lo stato e tutte le sue emanazioni e allo stesso tempo ne ha ridimensionato il ruolo. Lo slogan unanime del “Que se vayan todos” non annunciava, cioè, una rivoluzione ma era l’espressione senza freni né filtri della necessità di una rottura radicale che sorgeva dalla presa di coscienza generalizzata di una situazione divenuta oramai insostenibile. Infatti, quando l’Argentina è esplosa, la disoccupazione era oltre il 20% e metà della popolazione viveva al di sotto della soglia di povertà: in questo seno dunque si può affermare che il Que se vayan todos ebbe come primo risultato quello di svelare gli errori commessi dal capitalismo postfordista nelle economie fino ad allora considerate “di periferia”285 ed essere un momento di cesura rispetto al sistema della rappresentanza e al centralismo organizzativo delle lotte degli anni ‘60 e ‘70. Le realtà sociali nate o consolidatesi nell’Argentinazo, l’ assemblearismo, il movimento piquetero, il cooperativismo delle fabbriche autogestite, furono la concretizzazione di nuove forme di soggettività che non intendevano però porsi come alternativa di potere ma come affermazione politica e sociale di nuove forme di vita.

285 Si utilizza questo termine facendo riferimento al concetto di economia-mondo elaborato dagli storici Braudel e Wallerstein e che vede una suddivisione interna tra aree centrali, aree periferiche e aree semiperiferiche.

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