Anche in Argentina, come nel resto del mondo, la disoccupazione era diventato un dato strutturale dell’economia del paese.
L’avvio dei processi di privatizzazione, con la conseguente drastica riduzione di personale e la chiusura di molteplici attività produttive, ha determinato, soprattutto nei piccoli centri organizzati intorno ad una impresa unica o prevalente, il tracollo dell’economia locale. Non sono solo le imprese dell’indotto ad essere travolte dalla crisi, ma tutto il tessuto sociale che compone la comunità. Nel corso degli anni la tensione cresce lentamente e dalle periferie dilaga nella capitale. Licenziamenti, impossibilità di ricollocazione, perdita del potere d’acquisto, del valore delle pensioni, hanno portato ad una presa di coscienza collettiva e rivendicativa.
Il piquete diventò la modalità di lotta, più aderente alla realtà sociale e ai bisogni contingenti: coloro che erano stati espulsi dai centri produttivi si riorganizzarono a livello territoriale, lottando per la conquista di diritti fondamentali spesso molto legati ai bisogni materiali più elementari. Il blocco delle vie, delle arterie stradali, e di conseguenza della circolazione delle merci, si dimostrò essere lo strumento di visibilità di chi non ha altre risorse, è sì una modalità di lotta sociale sperimentata in parte in passato (sulla base di esperienze sindacali), ma è a partire dagli anni novanta che assunse portata di massa e carattere ricorrente riuscendo a fissare nello spazio pubblico le rivendicazioni basilari legate alla fame e alla disoccupazione, dunque al rischio continuo dell’esclusione sociale. L’efficacia di tale pratica si manifestò sin dai primi blocchi rispetto ai quali Menem rispose con l’istituzione di sussidi, volta al contenimento del conflitto nell’immediato e
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alla costruzione di una dipendenza diretta dei singoli dallo stato più a lungo termine. Infatti, la loro erogazione prevedeva l’intermediazione di funzionari statali, per lo più afferenti al Partido Justicialista al governo con la funzione di regolarne la gestione, attraverso, la selezione dei requisiti e l’indirizzo di eventuali opere pubbliche da destinare a un dato territorio.
Fu in realtà a partire dalla consapevolezza diffusa dell’impronta di controllo sociale inscritta nei sussidi statali, che il movimento si strutturò e si organizzò, forte del radicamento territoriale: i piqueteros si appropriarono cioè dei sussidi ma provando a stravolgerne il senso, mettendoli cioè, come si vedrà meglio più avanti, al servizio del potenziamento delle proprie lotte e della ricostruzione autonoma delle condizioni oggettive della propria riproduzione.
Lo sviluppo progressivo delle proteste poté contare su una composizione sociale eterogenea: in particolare si rivelò efficace l’incontro degli operai tradizionali licenziati e l’insieme delle loro famiglie (soprattutto le donne) con i giovani che non avevano mai avuto un’occupazione.
Vale la pena aprire una riflessione: i disoccupati costituiscono comunque una soggettività problematica, la sfida che lanciarono i piqueteros fu dunque quella di voler riconoscere altri possibili spazi di soggettivazione e di costruzione di nuovi legami sociali contro e nonostante il dominio del capitale.
La lotta per la dignità dei piqueteros non è il prodotto im-mediato dell’esclusione, ma è una lotta contro ogni forma di dispossession, oltre che la rappresentazione immediata di una condizione di miseria assoluta di una gran parte della popolazione. Nella pratica, recuperare la dignità significa recuperare la materialità di uno spazio di esperienze soggettive e relazioni sociali, e dunque uno spazio di enunciazione, dialogo, riconoscimento esplicito.
Ma andiamo con ordine.
Maristella Svampa indica una doppia origine alla base della costituzione del movimento piquetero: da un lato le azioni di blocco e di rivolte popolari portate avanti, come si è visto all’interno del paese a partire dal 1996, risultato di una nuova esperienza sociale vincolata al collasso delle economie regionali e alla privatizzazione accelerata delle imprese dello Stato degli anni ‘90; dall’altro l'azione territoriale e organizzativa nata nella zona del Conurbano (Buenos Aires) e legata alle lente e profonde trasformazioni del
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mondo popolare, prodotto anch’esse del processo di deindustrializzazione e impoverimento crescente della società argentina che iniziò negli anni ‘70. Nel dicembre del 1995, le riforme fiscali e amministrative portate avanti da Menem, e appoggiate dal ministro della finanza Cavallo, accentuarono ancora di più la recessione economica già di per sé particolarmente grave: dappertutto si annunciarono licenziamenti di operai e impiegati e nella gran parte delle province si accumularono gli arretrati di salari non pagati.
Le organizzazioni dei “piqueteros”, si costituirono a partire da questo periodo sviluppando pratiche di lotta efficaci, i cortes de ruta (blocchi stradali), suggerite dai bisogni elementari di sopravvivenza: cibo, acqua, medicine, elettricità, ed eventualmente, lavoro.
Nel giugno 1996, a Cutral Co, nella provincia di Neuquen, la principale strada della regione fu occupata per una settimana e dopo lo scontro con la polizia locale, il governatore procedette alla distribuzione dei viveri. Da maggio a luglio del 1997, numerose province furono toccate dall’azione dei piqueteros, di nuovo a Cutrall Co, a Tartagal, a San Salvador de Jujuy (nella provincia di Jujuy, verso il Cile), a Cruz del Eje, migliaia di piqueteros bloccarono la strada principale per 45 giorni chiedendo cibo e denunciando l’innalzamento dei costi dell’acqua e dell’elettricità Ancora: il 7 maggio 1997 fu bloccato per quattro giorni il ponte che convoglia il traffico verso la vicina Bolivia, e seppure il governo inviò l’esercito per ristabilire l’ordine causando due morti e decine di feriti fu costretto a creare dodicimilacinquecento posti pubblici e a concedere sussidi ai disoccupati.
L’esempio era stato dato, e il movimento si era esteso poco a poco in tutte le regioni dove l’industria statale era in caduta libera, come a Cordoba, Rosario, Neuquen e Buenos Aires, le organizzazioni piquetere iniziarono a strutturarsi e coordinarsi ufficializzando la nascita di un “movimento” piquetero che si caratterizzò fin dal principio per la relativa assenza di gerarchie. Tutte le decisioni venivano prese dalle assemblee e tutto veniva discusso e deciso comunemente.
Nel maggio 2000, l’annuncio di De La Rua di ulteriori tagli alla spesa pubblica, portò più di ventimila manifestanti nella strade. Il 6 ottobre, il vice- presidente, Carlos Alvarez, leader del Fronte per un paese solidale (Frepaso), si dimise per protestare contro l’insabbiamento di un’inchiesta di corruzione del Senato. Di nuovo a Tartagal, nel novembre 2000, la morte di un manifestante durante un’azione volta ad ottenere il pagamento dei salari
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arretrati diede origine ad una rivolta: vennero incendiati uffici pubblici e presi in ostaggio dei poliziotti. Fu il momento in cui iniziò a svilupparsi e a diffondersi a macchia d’olio un’economia parallela di sussistenza, basata su legami sociali al di fuori della mediazione statale.
Negli anni, i piqueteros, organizzati su base essenzialmente locale fecero più volte ricorso ai piquetes che riuscivano a bloccare momentaneamente i flussi economici, recuperando una pratica di lotta universalmente conosciuta ma che non preoccupava e non coinvolgeva più di tanto gli occupati e la “classe media”, ma che per loro equivaleva in qualche modo alla vertenza sindacale, era un modo cioè, per ottenere beni monetari e materiali nell’immediato; era la forma di lotta di un gruppo sociale che non aveva altri mezzi di pressione sul potere politico, poiché totalmente impossibilitato al ricorso allo sciopero. Pur essendo violentemente represse, le loro lotte restavano isolate, localizzate, e non riuscivano, almeno inizialmente305, a trascinare altri settori della popolazione, lavoratori e non, che pure cominciavano ad essere coinvolti concretamente nelle difficoltà della crisi economica, cosa che legittimava ancora di più la repressione e un certo ostracismo da parte del potere.
Le cose tuttavia cominciarono a cambiare proprio nella congiuntura più acuta della crisi economica poiché il numero di disoccupati aumentava e i settori sociali fino allora non coinvolti cominciarono a denunciare il malessere causato dalle difficoltà economiche. Le pratiche “illegali” collettive proliferarono e con esse si moltiplicarono anche le pratiche individuali di recupero (riappropriazione), come ad esempio, il “furto” dell’elettricità. In un primo momento, abbiamo detto che i blocchi stradali, indipendentemente dagli scioperi e dalle manifestazioni organizzati dalle centrali sindacali, tendevano essenzialmente a fare pressione sul governo per ottenere subito beni materiali come cibo, medicine ed, eventualmente, lavoro. La composizione dei gruppi di piqueteros permise un’ evoluzione e una differenziazione dei metodi di lotta che aggregò un numero sempre maggiore di persone: sempre di più infatti i disoccupati erano ex operai dell’industria estromessi dal ciclo produttivo dall’ingresso di massa di capitali e prodotti stranieri, risultato delle politiche liberiste dei governi militari, come di quelli successivi, dopo la breve sbornia provocata
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dall’afflusso di capitali stranieri che approfittarono della messa in liquidazione delle industrie nazionalizzate e del settore pubblico.
Se all’origine di questi movimenti vi erano i settori più svantaggiati, localizzati ai margini delle grandi città, il progressivo declassamento che accelerò le mutazioni sociali fece sì che altri settori più storicamente vicini al ceto medio si aggregassero, come ad esempio coloro che, sempre più numerosi, s’installavano nei quartieri poveri, o come coloro che pur restando nei vecchi quartieri operai ne subivano direttamente la pauperizzazione. Questa situazione produsse un cambiamento di atteggiamento nei confronti dei piqueteros all’interno della classe media storicamente reazionaria: se inizialmente infatti furono visti come dei soggetti “marginali e pericolosi”, in seguito furono sempre più ammirati per le loro azioni radicali, che si rivelavano essere le uniche immediatamente efficaci.
Nel 2000 i piqueteros assunsero un’importanza decisiva e la pratica dei blocchi stradali si diffuse in tutto il paese, in particolare nella provincia di Buenos Aires dove un blocco a La Matanza (ex distretto industriale che conta due milioni di abitanti) o un altro a La Plata, raggrupparono migliaia di piqueteros e durarono dieci giorni sulla base di rivendicazioni inizialmente sempre molto concrete: liberazione di militanti imprigionati, ritiro della polizia dai quartieri cosiddetti “a rischio”, distribuzione di cibo, creazione di impieghi, indennità di disoccupazione, assistenza sanitaria. Una volta scelto il luogo del blocco dai piqueteros locali, venivano contattati i gruppi vicini e si tenevano assemblee comuni nei luoghi dell’occupazione. Tende e cucine da campo assicuravano la permanenza del blocco e, se la polizia interveniva, la mobilitazione era immediata. Nella città di General Mosconi, nella provincia di Salta, nel nord-ovest del paese, i piqueteros diedero vita a trecento progetti di economia alternativa (in realtà parallela), alcuni tuttora funzionanti. Ma l’accelerazione imposta dalla crisi economica produsse lo sviluppo del movimento in due direzioni. Da una parte, si strutturò, dall’altra, le rivendicazioni non furono più indirizzate ad un potere che non voleva concedere più nulla, ma si iniziarono a radicare pratiche di azione diretta volte alla riappropriazione immediata di beni primari: i camion non furono più solamente bloccati ma saccheggiati, lo stesso i magazzini e i supermercati, e la rabbia portò all’assalto degli edifici pubblici. Il 17 giugno del 2000, le sommosse nella città di General Mosconi furono represse violentemente, il bilancio fu di due morti e più di quaranta feriti. Ciò
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provocò un movimento di protesta dei piqueteros in tutta l’Argentina con più di trecento occupazioni delle strade. In un certo senso fu la prova generale di ciò che sarebbe scoppiato, amplificato e generalizzato nel dicembre 2001. Si delineò un tipo di contrattazione tra le parti di questo tipo: i rappresentanti dell’autorità erano costretti a recarsi nel luogo del piquete a discutere con tutti i partecipanti all’azione per raggiungere un accordo comune sulle concessioni. A sua volta questa fu l’origine, molto prima del moltiplicarsi di assemblee nei quartieri delle classi medie dopo il Dicembre 2001, di una nuova pratica assembleare.