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“Non si può dire che lo spazio sia un prodotto come un altro [...]. Né si può dire che sia semplicemente uno strumento [...]. Sarebbe quindi legato in modo essenziale alla riproduzione dei rapporti (sociali) di produzione. [...] Sarebbe un rapporto e un supporto di inerenze nella dissociazione,

di inclusione nella separazione”. Si arriva ora alla necessità di prendere in considerazione il rapporto tra spazio e potere per capire come la forma che ha assunto lo spazio, la sua produzione e il suo controllo vadano visti innanzitutto in rapporto ai processi capitalistici. In quanto segue considereremo, in primo luogo, la concezione spaziale sviluppata da Henri Lefebvre.

Scrive in proposito Gilda Catalano: “Lefebvre legge lo spazio come un tutto attuale. Questo perché il suo metodo riproduce dal di dentro la concatenazione unitaria dei singoli concetti. Questa visione gli permette di leggere “la produzione e il prodotto come due facce inseparabili….Gli elementi che entrano nel processo [di produzione dello spazio] sono, la pratica sociale (l’espace perçu), le rappresentazioni

dello spazio (l’espace conçu), gli spazi di rappresentazione (l’espace veçu).”118 Al centro dell’analisi di Lefebvre si colloca la produzione in senso lato, intesa

come “produzione di rapporti sociali e riproduzione di determinati rapporti”119. Lo spazio diventa oggetto (non oggetto passivo, bensì oggetto “resistente”, che retroagisce sugli stessi processi che lo determinano) delle nuove strategie del capitale. Lo spazio diventa spazio strumentale: “luogo e centro in cui si dispiegano le strategie, lo spazio ha da molto tempo cessato di essere neutro”120; strategie della classe dominante, interpretate da Lefebvre dal punto di vista di un’analisi marxista in cui la classe operaia e il proletariato, subendo i processi di manipolazione dello spazio, divengono oggetto di una nuova dominazione e di una nuova miseria: “una nuova miseria si estende e tocca soprattutto il proletariato senza risparmiare altri strati sociali: la miseria dell’habitat,

118 G. Catalano, Reti di luoghi, Reti di Città, Rubbettino, Soveria Mannelli, 2005, p.35.

119 H. Lefebvre (1972), Trad.it, Spazio e politica. Il diritto alla città II., 1976, Mozzi Editore, Milano p. 44. 120 H. Lefebvre, Ibidem, p. 142.

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quella dell’abitante sottomesso ad una quotidianità organizzata”121. La forma dello spazio strumentale è quella della segregazione, o meglio, della frammentazione e della parcellizzazione. La segregazione (di luoghi, funzioni, gruppi sociali) è piuttosto leggibile come il prodotto della forma (frammentata e parcellizzata) di questo spazio, in un rapporto che, tuttavia, non ha nulla di deterministico.

Lefebvre parla dunque di uno spazio non neutro ma, al contrario, sempre politico e strategico, regolato in quanto oggetto di precedenti strategie (di cui spesso non si vedono le tracce, ma di cui lo spazio porta gli effetti) in quanto prodotto della storia.122

Affermazione, questa, che riconosce la possibilità dell’esistenza delle contraddizioni dello spazio che non derivano dalla sua forma razionale, ma dal suo contenuto pratico e sociale: “la pratica spaziale non determina, ma regola la vita. Lo spazio non ha “in sé” alcun potere, e le contraddizioni dello spazio non sono da esso determinate: sono contraddizioni della società (fra i vari elementi della società, ad esempio, fra le forze produttive ed i rapporti di produzione) portate alla luce nello spazio, a livello dello spazio, che a loro volta generano contraddizioni dello spazio”123.

Lo spazio, strategico in quanto strumentale, è utilizzato dalle classi dominanti per produrre segregazione come forma spaziale di dominio in cui le contraddizioni socio-politiche si realizzano: “le contraddizioni dello spazio “esprimono” i conflitti degli interessi e delle forze socio-politiche; ma questi conflitti non hanno effetto che nello spazio, e diventano così contraddizioni dello spazio”124, producendo dunque la possibilità della “rivoluzione”, della costruzione, cioè di un spazio nuovo e di una società nuova anche a partire dalla città. E questo perché la città è un elemento fondamentale della riproduzione del capitalismo in quanto luogo e presupposto della riproduzione dei rapporti sociali di produzione; un luogo non passivo ma che agisce la riproduzione in quanto elemento dotato di attrito. Si determina così la possibilità di costruire “contro-spazi” e “contro-poteri” locali.

Procediamo ora con il contributo di un altro autore, Michel Foucault, che pur non essendosi occupato di “spazio” in modo centrale, offre delle considerazioni molto importanti.

121H Lefebvre , Il diritto alla città, 1970, p. 159. 122H Lefebvre , Spazio e politica. op. cit., pp. 55-56.

123H. Lefebvre , La produzione dello spazio, Moizzi, Milano, 1976, p. 344. 124H. Lefebvre, Ibidem, pp. 349-350.

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Anche se la riflessione di Foucault sullo spazio sconta la poca sistematizzazione che comportano i testi relativi ai due corsi al College de France (trattandosi di trascrizioni) e la continua messa in discussione di sé stesso, si ritiene, però, che essa sia particolarmente utile al nostro contesto di analisi. Tre testi, in particolare, sembrano servire a disegnare un filo conduttore delle trasformazioni sullo spazio e le “tecnologie di potere” che in esso si esprimono. Ci si riferisce allo studio della società disciplinare di Sorvegliare e Punire, a quello delle tecnologie di sicurezza del XVIII secolo di Sicurezza, territorio, popolazione, e a quello del liberalismo di Nascita della biopolitica.

Scrive Foucault: “[...] Nel mondo moderno, quello che conosciamo a partire dal XIX secolo, vedremo emergere tutta una serie di razionalità di governo che si accavallano, si sostengono reciprocamente, si combattono a vicenda. Arte di governare secondo la verità, arte di governare secondo la razionalità dello stato sovrano, arte di governare secondo la razionalità degli agenti economici, e più in generale arte di governare in base alla razionalità degli stessi governati. Sono tutte queste diverse arti di governo, queste diverse modalità di calcolare, di razionalizzare, di regolare l’arte di governo che, sovrapponendosi le une alle altre, costituiscono, grosso modo, l’oggetto del dibattito politico a partire dal XIX secolo. Che cos’è in fondo la politica, se non il gioco di queste diverse arti di governo, con i loro criteri diversi, e al tempo stesso il dibattito che esse suscitano? E’ qui, mi sembra, che nasce la politica.”125

Tale affermazione si può comprendere solo ricordando quale significato assume, per Foucault, il termine governamentalità. Coniato per la prima volta nella quarta lezione del corso del 1978, il termine viene inizialmente usato per definire le tecniche di potere che sottendono alla formazione dello stato moderno, tipiche quindi di un regime particolare (lo stato di polizia)126. A partire dal 1979, la governamentalità indica più precisamente il modo in cui si indirizza la condotta degli uomini, e offre la griglia di analisi per le relazioni di potere, indipendentemente dalla contingenza storica: “la

125 M. Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collège de France (1978-1979) p. 258.

126 “Con la parola “governamentalità” intendo tre cose. [Primo,] insieme di istituzioni, procedure, analisi e riflessioni, calcoli e tattiche che permettono di esercitare questa forma specifica e assai complessa di potere, che ha nella popolazione il bersaglio principale, nell’economia politica la forma privilegiata di sapere e nei dispositivi di sicurezza lo strumento tecnico essenziale. Secondo per “governamentalità” intendo la tendenza, la linea di forza che, in tutto l’Occidente e da lungo tempo, continua ad affermare la preminenza di questo tipo di potere che chiamiamo “governo” su tutti gli altri - sovranità, disciplina – col conseguente sviluppo, da un lato, di tutta una serie di apparati specifici di governo, e, [dall’altro] di una serie di saperi. Infine, per “governamentalità” bisognerebbe intendere il processo, o piuttosto il risultato del processo, mediante il quale lo stato di giustizia del Medioevo, divenuto stato amministrativo nel corso del XV e XVI secolo, si è trovato gradualmente “governamentalizzato””, in M. Foucault, Sicurezza, territorio, popolazione. Corso al Collège de France (1977-1978) p. 88.

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“governamentalità” definisce “il campo strategico delle relazioni di potere, con tutto quello che di mobile, trasformabile, reversibile esse comportano”, al cui interno si stabiliscono i tipi di condotta o di “direzione di condotta che caratterizzano il “governo”.”

Se Lefebvre opera dunque un’analisi delle relazioni di potere a partire dallo spazio e dai suoi caratteri (non nel senso che deriva la matrice del potere dallo studio dello spazio, ma semplicemente nel senso che l’oggetto su cui focalizza l’attenzione è l’elemento spaziale), Foucault compie il percorso inverso, parte dal potere (o meglio, dalla governamentalità) e, pur senza giungere allo spazio, introduce principi e concetti di utilizzazione anche spaziale. O meglio, introduce concetti e principi che, proprio alla luce della trattazione di Lefebvre, possono assumere una importante valenza spaziale. Foucault articola e puntualizza la “strumentalità dello spazio” di Lefebvre: l’analisi della governamentalità ne chiarisce il “come”, non solo in senso formale ma anche in senso storico e politico, proprio in virtù della permanenza delle diverse caratterizzazioni storiche della governamentalità come matrici della politica stessa. Egli si interroga su come, concretamente, si differenziano gli ordini che la città trasmette in relazione alle differenti fasi della storia del potere occidentale, e su come, a partire da un’analisi dei “micropoteri”, è possibile ricostruire i caratteri di una determinata concezione di potere.

La città della peste, vista in contrapposizione/relazione con quella della lebbra (malattia che ha generato, secondo Foucault, i grandi rituali di esclusione, pratiche di rigetto e di esilio) serve in Sorvegliare e Punire, come esempio paradigmatico di formazione di una società disciplinare, che funziona per “separazioni multiple, distribuzioni individualizzanti, un' organizzazione in profondità di sorveglianze e controlli, una intensificazione ed una ramificazione del potere”127.

La nascita della società disciplinare trova i presupposti nella formazione di una nuova tecnologia di potere, la disciplina, concetto che Foucault descrive con minuzia, e che si fonda su un cambiamento radicale del sistema penale in funzione della costruzione di un soggetto obbediente128. La disciplina nasce in prima istanza come tecnologia finalizzata al controllo del corpo, di un corpo docile (in quanto può essere sottomesso, utilizzato e trasformato), un

127 M. Foucault, Sorvegliare e punire. La nascita della prigione, Einaudi, Torino, 1976, p. 216. 128 Ibidem, vedi capitoli 2 e 3.

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corpo che diviene oggetto e bersaglio del potere, e che non è più quello di una massa indifferenziata, ma quello del singolo, che va lavorato nel dettaglio, con un controllo costante, con una coercizione ininterrotta che agisce sulle sue forze e sui suoi movimenti per imporgli un rapporto di utilità con le esigenze del potere. Sebbene non venga definito come tale, assistiamo qui alla formazione di (una parte di) ciò che Foucault chiamerà biopotere, “insieme di meccanismi grazie ai quali i tratti biologici che caratterizzano la specie umana diventano oggetto di una politica, di una strategia politica, di una strategia generale di potere”129. Le discipline, in quanto“metodi che permettono il controllo minuzioso delle operazioni del corpo, che assicurano l’assoggettamento costante delle sue forze e che impongono loro un rapporto di docilità-utilità”130, sono quindi, così come cominciarono a caratterizzarsi a partire dal XVII e XVIII secolo, un primo strumento storico131 della biopolitica, non tanto perché agiscono sul corpo, quanto perché questo diventa un ingranaggio del potere, all’interno di un meccanismo che da una parte ne aumenta le forze (in termini economici di utilità), dall’altra le riduce (in termini di pericolosità), aprendo così la strada all’età moderna della dominazione. Il rapporto delle discipline con lo spazio è quindi complesso, fatto di separazione, classificazione, ripartizione funzionale, controllo: “Le discipline, organizzando le “celle”, i “posti”, i “ranghi”, fabbricano spazi complessi: architettonici, funzionali e gerarchici nello stesso tempo. Sono spazi che assicurano la fissazione e permettono la circolazione; ritagliano segmenti individuali e stabiliscono legami operativi; segnano dei posti e indicano dei valori; garantiscono l’obbedienza degli individui, ma anche una migliore economia del tempo e dei gesti. Sono spazi misti: reali perché determinano la disposizione delle costruzioni, delle sale, dell’arredamento, ma ideali poiché su queste sistemazioni proiettano caratterizzazioni, stime, gerarchie. La prima tra le grandi operazioni della disciplina è dunque la costruzione di “quadri viventi” che trasformano le moltitudini confuse, inutili o pericolose in molteplicità ordinate”132.

Volendo tracciare un parallelo con Lefebvre dal punto di vista dei micropoteri foucaultiani, ciò condurrebbe a un principio centrale per

129 M. Foucault, op. cit, Sicurezza, territorio, popolazione, p. 12. 130 M. Foucault, op. cit, Sorvegliare e punire. p. 149.

131 Se non il primo strumento storico della biopolitica, perché anche certi ben precedenti meccanismi repressivi potrebbero a ben vedere rientrare in questa categoria, per lo meno il primo strumento che determina la svolta verso una nuova microfisica del potere tipica dell’età moderna.

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Lefebvre: quello della riproduzione dei rapporti sociali di produzione, della conservazione e del perpetuamento della struttura sociale che sostiene un determinato modo di produzione (e quindi di potere) come finalità delle strategie che coinvolgono lo spazio.

Per quanto Foucault non faccia esplicito riferimento ai rapporti di produzione, è chiaro come la tecnologia disciplinare non sia altro che una tecnica di potere legata a una precisa matrice economico-politica (il mercantilismo dell’Europa del XVII/XVIII secolo) il cui obiettivo è la perpetuazione del potere attraverso l’azione nella sfera sociale, nei rapporti sociali di produzione, caratteristica tra l’altro costante di tutte le diverse matrici della governamentalità.

Scrive Foucault: “Al vecchio principio “prelevamento-violenza” che reggeva l’economia del potere, le discipline sostituiscono il principio “dolcezza-produzione- profitto”. Esse devono essere considerate come delle tecniche che permettono di adeguare fra loro, secondo questo principio, la molteplicità degli uomini e la moltiplicazione degli apparati di produzione”133. Tanto più che sembra anche esserci un rapporto diretto fra “le mutazioni tecnologiche dell’apparato di produzione, la divisione del lavoro e l’elaborazione di procedimenti disciplinari”, con ciascuno di questi elementi che ha servito da modello all’altro. Così, se l’ascesa della borghesia a classe politicamente dominante nel XVIII secolo si è servita di un quadro giuridico formalmente egalitario e di un regime parlamentare rappresentativo, le discipline costituiscono il “lato oscuro” di questo processo, “la garanzia della sottomissione delle forze e dei corpi”, una sorta di “contro diritto” con il “ruolo preciso di introdurre dissimmetrie insormontabili e di escludere le reciprocità”134

Ciò che si determina con il processo di estensione della tecnologia disciplinare, nello spazio e in diversi ambiti dell’esistenza, è lo stabilirsi di una relazione intensa con l’organizzazione economica e politica della società, è la nascita di una società disciplinare, che Foucault simboleggia con il passaggio ideale dal modello della città della peste a quello del panopticon, ossia da un modello che funzionava solo in una situazione di eccezione, contro un male straordinario (la peste), a un altro che viene inteso come modo generalizzabile di intendere il rapporto del potere con la vita quotidiana degli uomini, come uno schema da applicare ogni qualvolta si

133

Ibidem, pp. 238-239. 134

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avrà a che fare con una molteplicità di individui a cui si dovrà imporre un compito o una condotta.