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Piqueteros degli MTD e l’appropriazione comune dei planes sociales

alla pratica del piquete, è in realtà la questione dirimente del movimento piquetero nel suo complesso, quella cioè che ne rafforzò l’unità nella fase di massima espansione e quella attorno alla quale si crearono fratture insanabili.

Questo perché, come abbiamo visto, da parte statale, tali sussidi perseguivano fin dal principio l’obiettivo primario di promuovere e rafforzare una rete di legami clientelari, trasformatosi in seguito nell’esplicita volontà di cooptare i movimenti. Fu infatti proprio a partire dalla consapevolezza diffusa di questa impronta di controllo sociale iscritta nei sussidi che gli MTD cercano di appropriarsene, ma stravolgendone il senso mettendoli al servizio, innanzitutto, del potenziamento delle loro lotte. In questo senso i “piani” rientrano nell’apertura di un campo di possibilità di più vasto respiro, come la possibilità di creare nuovi legami sociali e culturali all’interno del mondo popolare, o di sviluppare forme di economia solidale e alternativa al modello produttivo capitalista. Da qui l’importanza che acquista il lavoro nel territorio e l’insistenza ad ampliarne e potenziarne l’orizzonte, sia in termini meramente economici che culturali e simbolici. Se abbiamo detto che, analizzando il complesso mondo piquetero, tendiamo a riferirci principalmente all’organizzazione degli MTD, vediamo nello specifico come la costruzione della loro forma politica si sostanziò di tre concetti basilari e generalmente condivisi: il lavoro territoriale, l’autonomia e l’orizzontalità.

Gli MTD329, e in generale le organizzazioni piquetere, abbiamo già detto, si formarono nei quartieri poveri dove le problematiche legate alla sussistenza erano più forti. Lavorando sulla dimensione sociale, politica ed economica, si cercarono collettivamente, soluzioni pratiche che affrontassero in modo diretto i danni e le contraddizioni delle relazioni sociali capitaliste, ovvero la miseria nella quale a partire dagli anni ‘90 era piombata una gran parte della popolazione. In questo senso, per i “piqueteros” il problema fondamentale Molti gruppi di cumbia villera, al pari dei rappers delle banlieus parigine hanno al centro della propria musica il tema del grilletto facile, i Malon (heavy metal) ad esempio hanno dedicato una canzone al gatillo facil di cui forse le parole che meglio sintetizzano questo abuso sono: Soberbia forma de reprimir ,supuestos reos del mal vivir.

329 La stessa autodenominazione degli MTD, Movimento Trabajadores desocupados, è carica della volontà di costruire un immaginario nuovo, o meglio l’ossimoro in essa contenuto, quello di disoccupati e lavoratori.

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non era solamente il lavoro, nell’accezione di “impiego”, anche se sempre molto presente, ma anche la riappropriazione delle terre, l’occupazione delle case, l’autogestione delle fabbriche dismesse, la creazione di spazi di socialità. Così raccontano, le prerogative iniziali “abbiamo bisogno di un’economia solidale, abbiamo bisogno di risolvere i problemi piccoli, così andremo ad affrontare i grandi (…) però per essere solidali dobbiamo abbandonare l’individualismo, quindi dobbiamo formarci”. Partendo proprio dal concreto, e senza grandi definizioni, si tratta di affrontare questa idea di cambiamento sociale nelle nostre relazioni, e di cambiamento sociale ora. E non solo combattendo con queste pratiche, ma partorendo nuove pratiche” (Pablo, Mtd Lanus, ora Frente Dario Santillan).

L’autonomia, tra le parole d’ordine fondamentali intorno alle quali ruotava l’organizzazione dei diversi MTD non significava abbandonare l’uso dei sussidi sociali dello Stato, ma usarli dandogli un altro senso, a partire dalla fondamentale convinzione che tali sussidi non erano il frutto della supposta generosità dei governi, ma delle lotte. Racconta Pablo: “ Al principio era un’idea molto incerta ma allo stesso tempo fondamentale, di rifiuto dell’ istituzionalità politica conosciuta, quella dei grandi partiti, incluso quelli di sinistra. Era un rifiuto di tutte le forme tradizionali di militanza e degli spazi politici che non desideravamo continuare a riprodurre.(...) Quando ottenemmo i primi sussidi, cominciammo a gestirli in modo autonomo, in forma di laboratorio. Poi, definimmo il senso di questi laboratori e il senso di ciò che chiamavamo economia alternativa. Qui il governo non entra, e dunque qui iniziava il lavoro politico e sociale degli MTD.” Sicuramente però una questione centrale rispetto al discorso dell’autonomia avanzato dagli MTD riguardava il problema del clientelismo che, tra gli altri solleva più volte Zibechi “... è il modo in cui lo Stato è presente nei quartieri popolari. Non pochi gruppi di disoccupati iniziarono a lottare per divincolarsi dalla rete di punteros del Partido justicialista, dato che era proprio attraverso questi che ricevevano i sussidi e, in cambio, dovevano lavorare alla pulizia delle strade e ridipingere le sezioni del partito. A Solano il movimento nasce per la mancanza di lavoro, ma anche perché “stanchi delle promesse e dei maneggi dei punteros e dei candidati che sviavano i sussidi a favore degli amici, dei famigliari e delle proprie tasche”330. Il problema della corruzione, che negli anni di Menem ha raggiunto le proporzioni di una vera e propria “mafiocrazia” è tra i problemi

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più grandi della storia democratica Argentina. Come scrive Zibechi è un problema che coinvolge sia le alte sfere del potere istituzionale, sia i livelli più bassi della popolazione assediati dagli esponenti politici (soprattutto del Partito justicialista) che soprattutto al ridosso di scadenze elettoriali utilizzano piani sociali e altra promesse di benessere come ricatto in cambio delle migliaia di voti che sono spesso in grado di raccogliere nelle condizioni disperate delle aree disagiate.

Allo stesso modo l’orizzontalità informava l’azione dei movimenti piqueteri, ma non senza contraddizioni, né limitandosi a evocarne una purezza formale. Si cercava cioè di affrontare collettivamente i problemi che si andavano presentando, privilegiando le assemblee di quartiere come spazio fondamentale della decisione, anche se poi i militanti delle differenti organizzazioni si dividevano (e tutt’ora continuano a funzionare così, laddove sono sopravvissuti) in diverse “commissioni”: formazione, politica, stampa, relazioni esterne, sicurezza, ecc. Spiega Cecilia: “Ovviamente si passano ore a discutere teoricamente il tema della democrazia diretta, dell’orizzontalità, del fatto che negli Mtd non ci sono, né ci devono essere dirigenti. Ma, è ovvio, che anche se non abbiamo dirigenti, ci sono compagni di grande prestigio. Che si mettono in luce per le capacità discorsive, di analisi o semplicemente per il carisma e la previa esperienza politica, che invece a molti manca però questi compagni in nessun modo hanno la decisione finale. In alcuni casi, c’è un’autorità morale, ma diciamo che quasi tutte le decisioni vengono prese attraverso il consenso. Il voto proprio non ci appartiene come pratica.”

Una delle particolarità che hanno avuto gli MTD di Solano, Lanús e Almirante Brown nel Gran Buenos Aires, soprattutto a partire dal 2001 fu dunque quella di trasformare i sussidi sociali, improduttivi e assistenziali del governo, in progetti autenticamente produttivi. Ma non è stata una strada semplice. Così la raccontano Neka e Alberto per ciò che ha riguardato Solano:”All’inizio i sussidi di lavoro erano destinati esclusivamente a lavori comunali: scavi, costruzione di viottoli, quando non servivano per sistemare unità di base del Partido Justicialista. Attraverso la lotta ne ottenemmo l’autogestione, per definire noi i lavori da realizzare, progetti nostri che non dipendessero dal comune, o dal mediatore della zona. Evitammo così l’intermediazione degli amministratori comunali e provinciali e il controllo diretto dei sussidi di impiego rimase nelle mani dei lavoratori disoccupati. La nostra idea è che le imprese e le opere che si realizzano devono risultare utili per tutto il quartiere e non solo per chi ha potuto accedere ad

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Fu abbastanza evidente che i laboratori di produzione messi in piedi seguendo questo modello offrirono, in breve tempo una serie di benefici concreti nella vita quotidiana dei territori più disastrati: “Oggi abbiamo un panificio che non solo produce pane, ma anche pasta per pizza, pasticceria, abbiamo un orto che può essere funzionale al progetto, abbiamo compagni che ora sanno un mestiere, e possono arrangiarsi con piccoli lavori. Dal punto di vista della socialità e dei bisogni primari, abbiamo invece un asilo in un quartiere, una biblioteca, un centro di salute”(Maba, MTD Solano)

Senza dubbio, la lotta degli MTD si prefiggeva, almeno in linea di principio obiettivi piuttosto radicali: “Noi vogliamo generare nuove relazioni sociali. Nei gruppi di lavoro non c’è uno che ordina il lavoro, o ti porta una lista quando arriva e ti dà la punizione o ti dice ‘corri, spazza, pulisci’. C’è da imparare a lavorare in modo solidale, senza tentare di imbrogliare il tuo compagno, perché tanto così non è che imbrogli il padrone; non è che se puoi scappi prima, o se puoi mentire ottieni un certificato falso per giustificare che non vai al lavoro.” (Maba MTD Solano)

Si trattò, in definitiva, dell’emergere e del rafforzarsi di una cultura politica, basata sulla convinzione che il cambiamento sociale si costruisce giorno dopo giorno. Negli MTD nessun appartenente al movimento, ad esempio, guadagnava di più dell’altro e, laddove vi erano eccedenze, queste andavano all’organizzazione.

In particolare, vi fu un periodo in cui funzionò un coordinamento tra diversi MTD, la Anibal Véron. Si trattò di un’esperienza che seppur di breve durata ebbe il ruolo di rafforzare vicendevolmente le lotte delle singole organizzazioni piquetere, riuscendo così, innanzitutto a costruire una maggior pressione sullo stato.

La Coordinadora Anibal Véron era formata dal MTD Solano, MTD Varela, MTD Lanús, MTD Almirante Brown, CTD (coordinadora de trabajadores desocupados) La Plata y CTD Lanús e si definiva come un “movimiento popular sindical reivindicativo”. Popolare in quanto partecipativo, sindacale perché pur senza essere sindacato difendeva i diritti dei lavoratori disoccupati, rivendicativo perché ha la “consegna” di rivendicare diritti fondamentali quali il lavoro, la salute, l’educazione e la dignità. I comunicati che uscivano infatti dalla riunioni di questo coordinamento erano firmate con le parole d’ordine: “trabajo, dignidad y cambio social”.

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una lotta a partire dalla quale costruire una maggiore organizzazione. Senza dubbio, la scommessa era a lungo termine e sicuramente ripercorrerla oggi ha un senso differente dal farlo nel momento della loro maggior espansione e consenso popolare, ma ugualmente ha senso ricercare quali erano i principi che hanno informato l’azione di migliaia di persone che in tali organizzazioni si riconoscevano o con le quali solidarizzavano al fine di rendere più facile un lavoro di verifica più attuale su ciò che è rimasto, su ciò che si è indebolito e su ciò che, soprattutto si è trasformato negli ultimi anni. L’obiettivo iniziale riguardava dunque il modo in cui le differenti attività produttive si sarebbero dovute consolidare e moltiplicare nel tempo per soddisfare le necessità materiali non solo degli appartenenti agli MTD ma anche del quartiere nel suo complesso guardando dunque oltre le risorse fornite dalla politica dei sussidi statali. O meglio cambiando di segno tali risorse come si diceva precedentemente, inventando cioè nuovi spazi di sussistenza laddove vi era come unico orizzonte quello dell’esclusione sociale e della miseria. Raccontano oggi, Neka e Alberto del MTD di Solano: “La scommessa era precisamente questa: crescere in modo tale da non dipendere dallo stato per continuare a mantenerci, e che se lo Stato avesse ad un certo punto eliminato l’emanazione dei sussidi, noi, avremmo avuto la capacità di sostenerci nel tempo con reti di produzione e consumo, con una commercializzazione popolare che ci avrebbe consentito di mantenere il panificio e diversi prodotti di base che si stavano producendo nel quartiere”.

Le trasformazioni strutturali, operate dal neoliberismo negli anni ‘90, non solo rappresentarono un enorme trasferimento di entrate dai settori popolari ai settori più concentrati dell’economia; nello stesso tempo implicarono, legata agli alti livelli di disoccupazione e alla precarizzazione del mercato del lavoro, una forte politica di controllo dei settori popolari. Senza dubbio, nonostante queste difficoltà strutturali, gli MTD sono riusciti ad organizzarsi politicamente: “Stiamo parlando di una base sociale con un grave livello di emarginazione, con un livello di esclusione storica, non solo di gente che rimase senza lavoro quando si privatizzarono le imprese, si tratta piuttosto di un livello di emarginazione più strutturale, dove molti compagni vivono di lavoretti, o dell’arte di arrangiarsi, anche questo però negli ultimi anni è stato cancellato. Allora, questa base sociale è quella che deve organizzarsi in gruppi di lavoro dove ogni gruppo deve auto-organizzarsi. E tutto questo è un mezzo casino, dato che richiede un livello alto di discussione per garantire la logica di ciò che vogliamo: che i compagni prendano il

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lavoro come proprio e rispettino i criteri solidali del lavoro.” (Pablo MTD Lanus, oggi Frente Dario Santillan). Naturalmente, tutto questo processo ha richiesto tempo e fatica e le difficoltà sono state molteplici. Non secondario in questo senso il ruolo che gli MTD, soprattutto quelli che si sono riuniti per alcuni anni nella Coordenadora Anibal Veron assegnarono alla formazione: “In generale mentre i laboratori si consolidavano ciò che vedevamo come non risolto era il dibattito ideologico del per cosa si produce, di che cosa si fa con l’esistente. Alcuni compagni iniziarono a chiedere se il panificio guadagna, allora, il guadagno deve essere nostro, se noi lavoriamo qui. E così in diversi laboratori. Era difficile però sviluppare un progetto alternativo, solidale, quando quello che sta lavorando, facendo il ciabattino, non capisce di stare in un collettivo. Per che cosa si produce, a chi vendiamo e che cosa facciamo con l’eccedenza di questa vendita, come si reinveste. Il tema del guadagno, dell’economia solidale, sono cose che, anche se discusse moltissimo e con accordi già presi, comunque continuano ad essere complicate. Siamo consapevoli del fatto che il cambiamento sociale non viene a partire da un discorso ma è un processo. E che questo processo si deve dare, e dargli il suo tempo.” (Neka, MTD Solano).

Per questo vennero organizzati fin da subito differenti corsi di “autoformazione” nei quartieri, spesso tenuti secondo il principio della trasmissione di conoscenze teoriche o tecniche da parte dei più anziani verso i più giovani e nella misura in cui l’apprendimento entusiasmava qualcuno (molti dei quali giovani che non avevano mai avuto la possibilità di imparare un mestiere), i corsi si trasformavano in laboratori. Ad esempio, racconta ancora Pablo: “Se qualcuno aveva parlato della costruzione di blocchi di calcestruzzo, sapeva come farli, e la scommessa era costruire un mattonificio industriale che oltre ad insegnare un mestiere potesse portare un beneficio ai compagni del luogo che desideravano cominciare a costruire, da lì a poco, materialmente le proprie case. L’investimento per i macchinari o gli strumenti necessari, difficilmente poteva venire dai sussidi che ciascun capo famiglia riceveva, che bastava appena alla sussistenza del piccolo nucleo familiare, quindi fu quasi un passaggio obbligato condividere l’esigenza di rivolgere le nostre richieste la consegna di macchinari e strumenti allo Stato.”

La pratica “militante” dell’educazione popolare331, in particolare, che vanta

331 L’ “educazione popolare” in America Latina, è un concetto e una pratica strettamente connessa al pensiero di Paulo Freire che ne ha, durante tutta la sua vita, ridefinito il senso “sociale”. Per Freire la formazione e l’educazione sono in primo luogo un modo di comunicazione, ma non un metodo astratto nel senso di una tecnica, bensì una relazione intersoggettiva, un dialogo sempre contestuale e diverso sui problemi vitali. Per lui etica, comunicazione,

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nei quartieri poveri delle grande città ma anche di molte aree dell’America Latina in generale una tradizione che risale per lo meno alle organizzazioni di quartiere degli anni ‘70, fu ripresa dai giovani militanti, ribattezzati “trabajadores sociales” negli anni ‘90332. Fu l’occasione in cui si costruì un canale di comunicazione molto forte tra alcuni settori della classe media (soprattutto legati al mondo universitario e politicizzato) e i quartieri poveri. Lontano da qualsiasi pulsioni avanguardistica infatti la condivisione e la costruzione congiunta del quotidiano attraverso il sapere produsse un terreno che si sarebbe rivelato fondamentale per l’azione dei piqueteros. Scrive Zibechi a tale proposito: “La formazione si è imposta come uno dei compiti più importanti e l’educazione popolare come un metodo di crescita collettiva. Visitare i capannoni sede degli MTD significa entrare in spazi di autoeducazione permanente.[...] L’ educazione popolare è presente anche nel modo di trattare i conflitti interni. La valutazione collettiva si è trasformata in un’abitudine così come la preparazione collettiva dei compiti, comprese le azioni di strada.[...] Si sviluppa allora un processo di conoscenza della realtà a partire dalla riflessione sulla pratica, e questo porta a una crescente unità tra il pensiero e l’azione.”333 L’educazione popolare è diventata per questo uno strumento fondamentale di ricostruzione dei legami sociali ed è uno degli elementi più longevi e tutt’ora vitali dell’esperienza piquetera.

Terminiamo con alcune riflessioni in questo senso, nel senso cioè di ciò che resta, non in termini residuali o nostalgici di un passato molto vicino, ma piuttosto di ciò che concretamente si è prodotto, in quanto cambiamento (nella maggior parte dei casi parliamo sena dubbio di miglioramento) delle forme di vita e delle possibilità di sussistenza: l’iscrizione dell’azione degli MTD nei territori è indubbiamente la cifra più evidente di tali cambiamenti. Nel momento in cui il capitale post fordista ha deterritorializzato la produzione in nome dell’esigenza di mobilità e di fluidità, i disoccupati rispondono autogestendo un processo di riterritorializzazione delle condizioni oggettive della propria riproduzione.

Chiarisce in termini “storici” Zibechi, avvalorando l’ipotesi di continuità del lavoro territoriale nonostante la cesura imposta dalla dittatura: “Si può dire dialogo e problemi vitali sono il nucleo del processo pedagogico. Il pensiero socio politico di Freire poteva dunque considerarsi comunque “sviluppista” ma la sua pedagogia era oltre tale paradigma.

332 In particolare in coloro che parteciparono all’esperienza dell’Eos di cui si è parlato a conclusione del secondo capitolo di questa seconda parte del lavoro.

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che la lotta piquetera è l’emergere di un processo di riorganizzazione dei settori popolari iniziato nei primi anni ‘80, che si manifesta tra l’altro nella riorganizzazione dello spazio urbano e geografico”334.

Riorganizzazione e dunque trasformazione dello spazio a partire dalla capacità delle organizzazioni piquetere di “iniziare a produrre” e di inventare nuove pratiche di sussistenza. La cui novità sta essenzialmente nel fatto di produrre senza padrone e nella gestione collettiva delle risorse. O anche la peculiarità degli MTD sta nel carattere “proiettivo”335 della loro esperienza, ovvero non transitorio, orientato piuttosto a rimodellare lo spazio in cui vivono a propria misura.

Mai come in questo momento, come si è visto nel primo capitolo in cui si introducevano e descrivevano le categorie che si sarebbero utilizzate, esplicitamente o come punti di riferimento, nell’indagine empirica, tale azione di radicamento si rivela appropriata, in quanto pone un freno alla velocità di circolazione del capitale. Lo spazio diviene il luogo delle differenze e dunque della resistenza.

Procederemo ora nell'analisi dello specifico caso del MTD di Solano, il cui sviluppo si ritiene essere strettamente legato alle caratteristiche del territorio su cui insiste. Vedremo infatti come alcune esperienze di lotta pregresse iscritte nel territorio come l’occupazione delle terre degli anni ’80, o la massiccia presenza di un movimento cattolico di base, siano un elemento fondamentale nella costituzione dell’esperienza piquetere che pur non essendo quella numericamente più rilevante ha catturato la nostra attenzione per la capacità di trasformazione soggettiva di cui sono stati protagonisti i partecipanti al MTD e in cui è coinvolto tutto l’ambiente in cui questi vivono. In realtà, potremmo affermare con molta probabilità che l'organizzazione di più grandi dimensioni sia un’altra, ovvero quella consolidatasi nel territorio de La Matanza, ma con caratteristiche piuttosto differenti in termini organizzativi rispetto a quella qui presa in esame. La Matanza è probabilmente l'area della provincia di Buenos Aires maggiormente popolata: si parla di circa 2 milioni di persone censite in 323 km quadrati, a cui vanno aggiunti tutti i migranti dagli altri paesi latinoamericani, soprattutto peruviani, senza documenti. E' un municipio cresciuto