La precedente riflessione introduce due questioni che verranno qui solamente accennate e indicate come “problemi aperti”: la centralità dell’analisi dell’attuale composizione di classe e la validità del concetto di moltitudine. Scrivono Mezzadra e Ricciardi190: “moltitudine è un concetto
189 P.Veltz, Mondialisation, villes e territoires: l’économie d’archipel, PUF, Paris, 1996.
190 S. Mezzadra, M. Ricciardi, “Individuo e politica: uno spartito marxiano”, in Derive Approdi, Roma, Anno X, Numero 21, Primavera 2002, p.47.
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produttivo proprio perché, e nella misura in cui tiene ferma la problematicità del rapporto tra individuale e collettivo. […] Proprio perché e nella misura in cui, azzera ogni spazio di “naturale” e automatica composizione delle figure individuali che costituiscono oggi il lavoro sociale.[…]. È questo il terreno su cui il concetto di moltitudine impone il recupero della categoria politica di classe. […] La classe, nel senso marxiano, non è la descrizione sociologica di una collocazione sociale: essa è l’espressione politica della negazione del rapporto sociale capitalistico.”
La moltitudine è il risultato di un processo, non è “naturale”, così come si è visto che non lo è la soggettività. Sostiene Virno191, riprendendo Simondon, che essa è il risultato di un “processo di individuazione” che implica ovviamente l’esistenza di una “realtà preindividuale”. Per meglio comprendere questi concetti si dovrebbe approfondire l’inevitabile riferimento al concetto di “natura umana”, ma non è questa la sede. Ciò che ancora una volta sembra emergere, però, è la genesi di un concetto che risulta essere un processo e non un dato fissato e “naturale”, così come la connessione192 con “l’individuo sociale” indicato come soggetto di qualsivoglia trasformazione da Marx nel Frammento sulle macchine.
Continuiamo e concludiamo questo brevissimo excursus semantico del concetto di moltitudine con le affermazioni di Negri, tratte non dal “celebre” volume dal titolo Moltitudine scritto assieme a Michael Hardt come logica prosecuzione e proposta politica dopo “Impero”, ma da un breve saggio193. Scrive Negri “La moltitudine è un concetto di classe. La moltitudine, infatti, è sempre produttiva ed è sempre in movimento. Quando sia considerata dal punto di vista temporale sincronico, la moltitudine è sfruttata nella produzione; ed anche quando sia riguardata dal punto di vista spaziale diacronico, la moltitudine è sfruttata in quanto costituisce società produttiva, cooperazione sociale per la produzione. […] se si pone la moltitudine come concetto di classe, la nozione di sfruttamento si definirà come sfruttamento della cooperazione: cooperazione non degli individui ma delle singolarità[…]. La moltitudine è il concetto di una potenza. Già analizzando la cooperazione noi possiamo infatti scoprire che l’insieme delle singolarità produce oltre misura. Questa potenza non solo vuole espandersi ma vuole soprattutto conquistare un corpo: la carne della moltitudine vuole trasformarsi nel corpo del General Intellect”.
191 P. Virno, Grammatica della Moltitudine, Derive Approdi, Roma, 2002.
192 Il punto di arrivo concettuale di Simondon è quello di “individuazione collettiva”, una sorta di ossimoro che si mostra simile a quello di “Individuo sociale”.
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Queste affermazioni andrebbero sviscerate una ad una, e così è stato fatto in un ampio dibattito. Solo due precisazioni: quello su cui si concorda e che si vuole mettere a verifica è la validità del concetto di moltitudine come concetto antagonista svincolato però dal circolo vizioso degli opposti, e non equivalente al concetto di proletariato. La moltitudine nell’accezione di Negri sta ad indicare una soggettività che comincia a riappropriarsi degli strumenti di produzione. La moltitudine è potenzialmente composta da tutte le differenti figure della produzione sociale. La produzione sociale è o può essere la produzione del comune, laddove per comune non si intende bene comune collettivo precapitalistico, ma agire comune.
A cosa ci serve dunque il concetto di moltitudine?
A rimarcare la dislocazione di fase, la trasformazione della soggettività e quindi il dischiudersi di nuove possibilità di conflitto, laddove il conflitto è “resistenza collettiva costituente”, e non “presa del potere”. In questo senso è un concetto utile per capire l’eterogeneità, le potenzialità, ma anche i limiti dell’ultimo ciclo di movimento, che si è guadagnato infiniti appellativi adatti alla rappresentazione mediatica, nell’epoca della “produzione a mezzo di linguaggio” (Marazzi 1999).
Cosa serve mettere a fuoco?
Pur teorizzando l’assenza di un “fuori” i movimenti si pongono in alternativa e qui il discorso diviene scivoloso e ambiguo ma non per questo secondario. Non si vuole alludere in questa sede alla necessità di un’organizzazione centrale dei movimenti, né al ripristino di vecchie gerarchie funzionali alla lotta e alla “trattativa” con il potere costituito, ma si vuole sviscerare, a partire dalle pratiche sperimentate dai movimenti, il problema delle istituzioni, del rapporto tra movimento e istituzioni e la possibilità (o l’impossibilità) della costruzione di istituzioni “autonome”, dando valore alla “differenza” e alla sua ingovernabilità da parte di un potere dato, mettendo in evidenza il suo potenziale costituente. Per potere costituente, si intende, sempre con le parole di Negri, “il momento dell’ effettività della lotta”. Affermazione, questa, che sottolinea il tipo di temporalità che vuole chiamare in causa il concetto di moltitudine: un tempo presente, il tempo dell’azione. Vediamo ora come Negri chiarisce un’ulteriore e sostanziale elemento caratteristico del concetto e della pratica della moltitudine: “Il concetto di moltitudine deriva dal rapporto tra una forma costitutiva […] e una pratica del potere[...]. Ma laddove una volta il capitale era
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capace di ridurre la molteplicità delle singolarità a qualcosa di organico e unitario, una classe, un popolo, una massa, un insieme, questo processo è oggi intimamente collassato: non funziona più. La moltitudine deve dunque essere necessariamente pensata come una molteplicità non organica, differenziale e potente.”194 Concentriamoci un istante su un unico termine di tale definizione, ancora non preso in esame: il differenziale, la differenza195.
Si tratta di un concetto elaborato dalla teoria femminista196 occidentale, a partire dagli anni ‘60, e soprattutto relativamente al riconoscimento della differenza sessuale, anche se in molti casi ha visto la sua declinazione concreta nel momento della separazione, che diventava il “momento costitutivo di una soggettività che si separava per poter esistere”197. L’alterità della donna non viene più vista come luogo di mistificazione e discriminazione, ma come luogo dell’autocoscienza e della possibilità di definizione di una specificità femminile.
Rosi Braidotti198 elabora uno schema originale e semplice allo stesso tempo per capire la differenza sessuale, basato su tre livelli di comprensione: il primo è quello delle differenze tra uomini e donne, e implica la critica alla falsa universalità del sistema simbolico maschile; il secondo è quello delle differenze tra donne, e implica la critica alla falsa unità della categoria delle “donne”, che è invece incrinata da una molteplicità di variabili sociali (la classe, l’etnia, l’orientamento sessuale); il terzo infine, è quello delle differenze all’interno di ogni donna, per esempio tra il piano della soggettività conscia e quella delle identificazioni inconsce. L’invito di Braidotti è a transitare, “nomadicamente”, da un livello all’altro.
Ciò che interessa maggiormente il nostro discorso riguarda però il processo di soggettivazione messo in moto dalla separazione: ovvero le possibilità aperte dall’ “esodo” di costruire autonomia e potenza costituente, ovvero la
194 A. Negri, Fabbrica di porcellana. Per una nuova grammatica politica. Feltrinelli, Milano 2006, p. 40.
195 Partiamo innanzitutto dalla differenza intesa con Deleuze nel suo rapporto con l’identità e con la ripetizione, ovvero la differenza concepita come affermazione pura, come atto creativo.
196 La categoria interpretativa della differenza sessuale nasce negli Stati Uniti negli anni ‘60 come strumento di supporto ai movimenti delle donne, dei neri e degli omosessuali. La differenza sessuale indagata è l’elemento cardine del processo di formazione dell’identità di genere in relazione anche all’appartenenza etnica e religiosa. Il pensiero della differenza sessuale assume enorme rilevanza nell’ambito degli studi di genere e si sviluppa soprattutto in Italia e in Francia. Un grosso impulso a questa linea di ricerca viene fornito dalla filosofa e psicoanalista lacaniana Luce Irigaray la quale sostiene che, nella cultura occidentale, il pensiero maschile si sia affermato come universale, astratto e neutro imponendo un sistema che ingloba il soggetto femminile, ma di fatto escludendolo.
197.A. Negri, La fabbrica di porcellana, op. cit. p. 90. 198 R. Braidotti, Soggetto nomade, Donzelli, Roma, 1995.
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differenza intesa in un primo momento come (e solamente come) resistenza e in un secondo come produzione di nuova soggettività, o anche come “elemento creativo comune”199. Le differenze devono diventare dunque la cifra comune di quella che vogliamo chiamare moltitudine, cifra che si costruisce nei rapporti di forza tra autonomia e assoggettamento, nelle relazioni, e nella modalità in cui le autonomie organizzano la propria esistenza: “La moltitudine, al contrario, è intrinsecamente molteplice. La moltitudine è composta da innumerevoli differenze interne - differenze di cultura, etnia, genere e sessualità, ma anche da differenti lavori, differenti stili di vita, differenti visioni del mondo, differenti desideri - che non possono mai essere ridotte a un’unità o a una singola identità. La moltitudine è una molteplicità costituita da tutte queste differenze singolari”200.