Con il concetto di capitalismo cognitivo (Moulier Boutang 2002), si intende affermare l’ipotesi di un passaggio di fase compiuto in cui ciò che “viene messo al lavoro siano prima di tutto quelle generiche capacità lavorative (relazionali, comunicative, organizzative) che con un concetto foucaltiano potremmo definire bio- politiche” (Lazzarato 1997).
Comunemente si riduce il cambiamento all’affermazione della “vita messa al lavoro”, spesso senza rendersi conto dell’ambiguità di questa frettolosa sintesi: “Se nelle parole della classe operaia l’espressione una “vita al lavoro” indicava la sussunzione della vita all’interno della disciplina di fabbrica – la sola condizione per la quale la vita potesse dirsi produttiva -, essa assume tutt’altro significato alla luce delle trasformazioni che hanno progressivamente destituito la classe operaia della sua centralità nella produzione di ricchezza”68. È stata dunque oggetto di uno spostamento semantico. Negli anni ‘70, in Italia, si è prodotto lo svuotamento di senso di una cultura che vedeva nel lavoro l’unica fonte di ricchezza e dignità attraverso l’affermazione, la “riscoperta” e la “valorizzazione” di tutto ciò che dal lavoro salariato era negato. Ciò vuol dire che l’espressione “una vita messa al lavoro” seppur utilizzata per indicare la forma del nuovo sfruttamento, ha, alla sua origine, l’affermazione positiva della vita, dell’“irriducibilità della vita al lavoro”, per dirla nei termini di allora. Fu così infatti che ciò che con gli stessi termini dello sfruttamento era definito “riproduzione” ha preso il nome di vita, desiderio, ricchezza, valore d’uso. E fu su questo punto che si inserì la potenza affermativa del movimento femminista nel rivendicare prima la funzione produttiva del lavoro di riproduzione, poi la sua autonomia.
Le tecnologie della comunicazione sono diventate oggi il mezzo fondamentale in grado di connettere le varie componenti della “fabbrica sociale”. Che formalmente si lavori o meno non si smette mai di produrre, e diviene difficile distinguere tra i momenti della vita formalmente produttivi e i momenti riproduttivi69.
In ambito teorico ha assunto grande importanza la necessità di rideclinare il concetto di General Intellect utilizzato da Marx nei Grundrisse, passaggio fondamentale per la graduale comprensione della trasformazione in atto. Nel
68 I. Bussoni “Una vita al lavoro” in Derive Approdi, Anno VII, numero 19, Estate 1998.
69 Scrive a questo proposito Carlo Vercellone. “il concetto di lavoro produttivo deve ormai intendersi come l’insieme dei tempi sociali che contribuiscono alla produzione e riproduzione economica sociale”.
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Frammento sulle macchine Marx scriveva: “La natura non costruisce macchine, non costruisce locomotive, ferrovie, telegrafi elettrici, filatoi automatici ecc. Essi sono prodotti dell’industria umana: materiale naturale, trasformato in organi della volontà umana sulla natura o della sua esplicazione nella natura. Sono organi del cervello umano creati dalla mano umana: capacità scientifica oggettivata. Lo sviluppo del capitale fisso mostra fino a quale grado il sapere sociale generale, knowledge, è diventato forza produttiva immediata, e quindi le condizioni del processo vitale stesso sono passate sotto il controllo del general intellect, e rimodellate in conformità a esso. Fino a quale grado le forze produttive sociali sono prodotte, non solo nella forma del sapere, ma come organi immediati della prassi sociale, del processo di vita reale”70.
Marx parla di “individuo sociale”, “sapere sociale generale”, “knowledge”. L’idea che fonda l’ipotesi del general intellect come forza motrice della tendenza della produzione sociale, è che, da un lato, il capitale riduce la forza lavoro a “capitale fisso”, subordinandola sempre più nel processo produttivo; dall’altro, esso dimostra, attraverso questa subordinazione totale, che l’attore fondamentale del processo sociale di produzione è divenuto ora “il sapere sociale generale” (appunto, il general intellect)71.
Nel capitalismo cognitivo, infatti, il general intellect si presenta sì come “qualità del capitale, e più precisamente del capitale fisso, nella misura in cui entra nel processo produttivo come mezzo di produzione vero e proprio”72, ma, in quanto conoscenza, è caratteristica principale del lavoratore, da esso non scindibile in modo diretto, quindi anche capitale variabile, immediatamente rintracciabile nella cooperazione sociale del lavoro vivo (Virno 2002). Ed è proprio all’interno dei caratteri della produzione postfordista, nell’imprevedibilità, nell’occasionalità, nell’adattamento in tempo reale che gli spazi dei diritti universali e delle garanzie giuridiche vengono a chiudersi. Vercellone scompone il concetto stesso di “capitalismo cognitivo” mostrandone gli elementi di continuità, quali la “permanenza delle variabili fondamentali del sistema capitalistico: ruolo guida del profitto e del rapporto salariale”e gli elementi di rottura dati dalla”nuova natura del lavoro, delle fonti
70 K. Marx, Frammento sulle macchine" dei Lineamenti fondamentali della critica dell'economia politica (1857-58, trad. it. La Nuova Italia, Firenze, 1968-70), p. 402.
71 Per approfondimenti, cfr. M. Lazzarato, Lavoro immateriale, op.cit., p. 27 e ssgg. 72 K.Marx, op.cit.
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di valorizzazione e della struttura di proprietà sulle quali si fonda il processo di accumulazione e le contraddizioni che questa mutazione genera”73.
Il contributo significativo di Vercellone consiste essenzialmente nel marcare il passaggio di fase, in modo più forte rispetto all’accezione di “postfordismo”: in questa nuova fase è la coincidenza fra produzione e comunicazione che diventa la leva dello sviluppo economico: la produzione e il controllo delle conoscenze divengono la posta in gioco principale della valorizzazione del capitale.
Si concorda con Vercellone nel sostenere che se la conoscenza è diventata la prima forza produttiva (senza però sostenere che abbia perso di rilevanza la sfera della produzione di beni e merci materiali), ciò esige una nuova forza lavoro complessa ed eterogenea; in termini marxiani, si assiste a un mutamento della composizione politica del capitale e all’affermarsi della divisione cognitiva del lavoro che si basa sul “frazionamento dei processi di produzione secondo la natura dei blocchi di sapere che sono mobilitati”.74
La produzione postfordista è caratterizzata dall’emergere di un’alta percentuale di lavoratori riconducibili alle caratteristiche di lavoratore cognitivo seppure di diversa qualità: “se il calcolo dell’intensità cognitiva viene fatto correttamente, considerando sia la conoscenza diretta (lavoro cognitivo erogato direttamente) che quella indiretta (lavoro cognitivo contenuto nelle macchine, nei componenti, nell’energia, nei materiali acquistati dall’esterno), si può facilmente constatare che quasi tutti i settori risultano essere knowledge intensive, compresi quelli che appaiono a prima vista poveri di conoscenza (diretta). […] La produzione di valore a mezzo di conoscenza non è infatti una specificità settoriale, ma una caratteristica portante della modernità, e dunque di tutti i settori dell’economia moderna”75. Il flusso di informazioni coordina le operazioni fra le varie posizioni lavorative che si situano così su un piano orizzontale senza bisogno di una programmazione centralizzata: “si è in presenza di una catena di produzione “parlante”, comunicante, e le tecnologie utilizzate in questo sistema possono essere considerate delle vere e proprie “macchine linguistiche” aventi per scopo principale quello di fluidificare e di velocizzare la circolazione di informazioni”76.
73 C. Vercellone (a cura di), Capitalismo cognitivo. Conoscenza e finanza nell’epoca postfordista, Manifestolibri, Roma, 2006, p.22.
74 El. M.Mouhod, p. 127, cit in C. Vercellone, op. cit. p.33.
75 E. Rullani, Economia della conoscenza. Creatività e valore nel capitalismo delle reti, Carocci, Roma, 2004. 76 C. Marazzi, Il posto dei calzini, Bollati Boringhieri, Torino, 1994.
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La forza lavoro ideale di questa fase è “dotata” di un altissimo grado di flessibilità, di un’elevata capacità di adattamento al mutare dei ritmi e delle mansioni lavorative, dell’abilità a interagire al livello dei flussi comunicativi in cui opera, in cui l’agire strumentale è sovrapposto all’agire comunicativo. Agire che nel suo complesso prevede anche la capacità di slittare agilmente tra periodi di “lavoro e di non lavoro”; in questo senso si concorda con Livraghi quando richiama “il momento del non-lavoro, in cui tutte le nostre capacità, i nostri saperi, le nostre attitudini sociali e comunicative, sono sospesi; proprio questo momento è il più reificante, perché ci inchioda all’atomismo sociale, e ci squaderna l’inessenzialità dei nostri più vitali attributi e della nostra concreta soggettività di fronte a una potenza che continuamente ci eccede, e ci riduce a mera forza-lavoro, merce”77. Ciò che si dovrebbe però cogliere di questa fase è la potenzialità dell’elemento di indipendenza dell’attività produttiva di fronte all’organizzazione capitalistica dela produzione, e il processo di costituzione di una soggettività autonoma attorno al “general intellect”. Tali potenzialità vanno tuttavia indagate e messe a verifica; ciò a cui si vuole alludere è un antagonismo tra capitale e forza lavoro che potrebbe non risolversi solamente sul terreno della contraddizione, ma presentarsi sotto forma “positiva”, ovvero di “potere costituente”, di capacità della nuova soggettività di costruire altro, di produrre nuove forme di produzione e riproduzione della vita. Scrive Vercellone: “Il capitalismo del general intellect, lungi dall’eliminare le contraddizioni e gli antagonismi, li disloca e in una certa misura ne accresce la posta”78, nel momento stesso in cui riduce la distanza tra la sfera produttiva e quella riproduttiva, attraverso l’estensione dello sfruttamento del valore d’uso della forza lavoro al “tempo della vita” nel suo complesso.
Marazzi definisce modello antropogenetico il modello della produzione contemporanea, una produzione cioè “dell’uomo attraverso l’uomo”: “Un modello in cui i fattori di crescita sono di fatto imputabili direttamente all’attività umana, alla sua capacità comunicativa, relazionale, innovativa e creativa. È la capacità di innovazione, di “produzione di forme di vita”, e quindi di creazione di valore aggiunto […]; il capitale fisso, se scompare nella sua forma materiale e fissa, riappare comunque nella forma mobile e fluida del vivente”79.
77 E. Livraghi, Da Marx a Matrix. I movimenti, l’homo flexibilis e l’enigma del non-lavoro produttivo, Derive Approdi, Roma, 2006, p.212.
78 Op. cit, p.55.
79 C. Marazzi, “L’ammortamento del corpo macchina”, in La classe a Venire, Posse, Manifestolibri, Roma, novembre2007.
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Un’ipotesi, questa, che sottointende un sostanziale mutamento del “corpo” della forza lavoro che: “oltre a contenere la facoltà di lavoro, funge anche da contenitore delle funzioni tipiche del capitale fisso, dei mezzi di produzione in quanto sedimentazione di saperi codificati, conoscenze storicamente acquisite, grammatiche produttive, esperienze, insomma lavoro passato”, laddove, invece, per Marx, la base dello sfruttamento stava proprio nella separazione tra lavoro vivo e lavoro morto. Secondo Marazzi, l’attività di trasformazione continua del lavoro morto “conserva consumando” l’insieme dei saperi e delle conoscenze socialmente date in un determinato periodo, ed “è proprio per questo consumo riproduttivo, per questo riutilizzo nel tempo del capitale fisso socialmente determinato, che l’investimento nel capitale umano dovrebbe includere l’ammortamento. L’ammortamento assicura la riproduzione delle “forze produttive generali del cervello sociale”, del materiale umano accumulato che, senza l’attività del lavoro vivo, resterebbe “lingua morta””80. La questione centrale per Marazzi sta probabilmente proprio nel concetto di “ammortamento”, dissentendo da Marx nel momento in cui afferma che la dote di natura81 “non costa niente all’operaio”. Marazzi cita su questo la lotta delle donne per il riconoscimento economico del lavoro riproduttivo che “se da una parte svela l’esistenza materiale di quella quantità di lavoro vivo che Marx cerca invano all’interno del circuito D-M-D’ per spiegare l’ammortamento del capitale fisso, dall’altra parte introduce la possibilità di un reddito d’esistenza indipendente dal circuito del capitale”82. Cosa che diviene una fondamentale posta in gioco nel conflitto delle nuove soggettività per affermare l’autonomia del proprio “tempo di vita” rispetto al modo di produzione storicamente determinato. L’idea di un reddito di esistenza terrebbe conto in questo senso tanto della retribuzione dei momenti produttivi che di quelli riproduttivi. Chiarisce Fumagalli: “Non ci sono più lancette di orologio nella produzione biopolitica”83; dunque, la giusta remunerazione diventa la “remunerazione della vita”, che ben poco ha a che vedere con l’assistenzialismo erogato su base differenziale.
In cosa queste puntualizzazioni ci vengono in aiuto in questo lavoro? Innanzitutto, come abbiamo premesso, nell’affermazione di un lessico
80Ibidem.
81 Scrive Marx nel sesto capitolo del Libro Primo (“Il processo di produzione del capitale”) de Il Capitale: “Dunque, conservare valore aggiungendo valore è una dote di natura della forza-lavoro in atto, del lavoro vivente; dote di natura che non costa niente all’operaio ma frutta molto al capitalista”.
82 C. Marazzi, “L’ammortamento del corpo macchina”, op. cit.
83 A. Fumagalli, “Scambio di lavoro, conoscenza e bioeconomia”, Atti del workshop internazionale Lavoro cognitivo e produzione immateriale. Quali prospettive per la teoria del valore?, Aprile 2005, Pavia.
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adeguato alle trasformazioni contemporanee, ma anche a introdurre gradualmente alcuni dei fattori evidenziati nel corso dell’analisi empirica che restituiscono la capacità di produzione e di riproduzione di forme di vita (e dunque di esistenza) propria delle nuove soggettività, in bilico tra l’inclusione e l’esclusione sociale, basata proprio sulla messa in comune di quelle capacità relazionali, affettive, comunicative, fondamento del capitalismo contemporaneo. Ovvero del loro mutamento di segno in termini sia di resistenza che di “potenza”.
Capitolo secondo: Dispositivi di controllo e produzione di biopolitica
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Capitolo secondo: Dispositivi di controllo e produzione biopolitica
“Al centro di questa economia non sta più la rigenerazione del denaro, ma delle condizioni di vita, della capacità relazionale
(con se stessi, con gli altri, con l’ambiente, con il processo storico) ci si ricrea”84.