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CAPITOLO 3 LA LETTO-SCRITTURA

3.3 I metodi di insegnamento

La prospettiva utilizzata nel concettualizzare l’abilità di letto-scrittura, si intreccia con la scelta del metodo di insegnamento. La distinzione più utilizzata,

introdotta in un convegno dell’UNESCO nel 1951, è quella tra metodi sintetici o fonetici e metodi globali o analitici. Prima di trattare la descrizione di questi metodi, è opportuno fare due considerazioni: la prima riguarda il fatto che nel dibattito è data poca attenzione alle strategie specifiche utilizzate dalle insegnanti; la seconda è l’osservazione del fatto che entrambi i metodi riguardano l’alfabetizzazione formalizzata e si sono quindi rivolti prevalentemente a bambini di età dai 6 anni in sù, ritenendo l’apprendimento della lingua scritta una questione che riguarda solo la scuola primaria.

Analizzando i metodi di insegnamento della letto-scrittura, i primi in ordine cronologico sono i metodi sintetici, che comprendono i metodi di lettura diretta di lettere e sillabe (alfabetici, fonici, fonico-sillabici). Sono tutti accomunati dall’essere usati sulla corrispondenza tra l’orale e lo scritto, tra il suono e la grafia relativa (Castoldi & Chicco, 2017). Inizialmente si insegnava il nome delle lettere, ma già a partire dal sedicesimo secolo, si spostò l’attenzione sul valore sonoro delle lettere, sul loro suono: il fonema. Il metodo fonico si diffuse allora maggiormente del metodo alfabetico, venendo poi affiancato da quello fonico-sillabico, in cui ogni consonante veniva presentata in coppia con una vocale per renderla più pronunciabile. Concetti chiave di questo metodo sono quindi il fonema, l’unità sonora più piccola, ed il grafema, ovvero “il segno elementare non ulteriormente suddivisibile che costituisce il linguaggio scritto” (Castoldi, &

Chicco, 2017, p. 20), nella lingua italiana questo si identifica con le lettere dell’alfabeto. Compito dell’insegnamento è far acquisire la corrispondenza fonema-grafema e far esercitare gli alunni nel ricomporre i diversi suoni per formare le parole da leggere. All’interno di questi metodi l’idea condivisa è che prima di tutto sia necessario acquisire la tecnica di decifrazione, mentre la comprensione arriva successivamente (ivi). Allo stesso modo la scrittura è prima di tutto la trascrizione dei suoni, solo in seguito ci si concentra sull’abilità del comporre. E’ possibile cogliere aspetti della prospettiva riduzionistica: si procede dalle unità semplici a quelle complesse, separando le diverse dimensioni dell’alfabetizzazione. La lettura è inizialmente un’attività meccanica che conduce il bambino ad imparare a riconoscere i diversi fonemi della lingua, associandoli con i segni grafici corrispondenti (Anello, 2008). Seguendo il

percorso dal semplice al complesso, l’insegnamento prevede di affrontare prima parole in cui la grafia coincide con la pronuncia e solo in seguito presentare le irregolarità ortografiche. Questi metodi considerano centrale il ruolo dell’insegnamento, non essendo possibile un passaggio dall’oralità alla scrittura guidato dal soggetto stesso.

I metodi globali sono fondati su una visione diversa, essi considerano il legame tra letto-scrittura e sviluppo linguistico ed il ruolo del soggetto nel percorso di alfabetizzazione. Il loro presupposto è che la lettura sia prima di tutto ‘un atto ideo-visuale globale’ (Castoldi & Chicco, 2017, p. 21). Questi metodi sostengono che la sillaba sia l’unità sub-lessicale più accessibile al bambino e che alla sua identificazione egli arrivi confrontando sequenze grafiche simili e compiendo una progressiva scomposizione (ivi).

L’insegnamento della letto-scrittura inizia quindi presentando al bambino intere parole o frasi, mentre l’individuazione dei fonemi è ritenuto un atto innaturale. I metodi analitici hanno alcuni presupposti: nel bambino la percezione dell’insieme precede l’analisi delle singole parti; per apprendere la letto-scrittura è centrale la contestualizzazione di quello che si presenta ai bambini e l’associazione tra significante e significato; il bambino ha una propensione per la sillabazione (Dottrens, 1969). Come spiegano Castoldi e Chicco (2017) il temine ‘globale’ con il quale si indicano questi metodi non si riferisce tanto al fatto che si parte da parole o frasi e non dalle lettere, ma al “modo con cui i bambino si relaziona al simbolismo dell’alfabeto” (p. 22).

Vi sono poi i metodi misti, che integrano i due approcci descritti: nella fase iniziale presentano parole o frasi collegate a contesti significativi, per poi procedere immediatamente all’analisi e alla sintesi della struttura della parola (Anello, 2008).

Ritengo necessario presentare un ulteriore metodo, che riflette una concezione di apprendimento in sintonia con quella che guida il mio lavoro: il metodo naturale di Freinet (1968). Secondo questo approccio, l’alfabetizzazione dei bambini può avvenire con la partecipazione ad esperienze significative, attraverso le quali i bambini sono in grado di appropriarsi delle tecniche di decifrazione. Questo percorso di scoperta è sostenuto da un contesto ricco di

opportunità di alfabetizzazione, che motivano il bambino e rendono minimo l’intervento diretto (Castoldi & Chicco, 2017). E’ un tipo di approccio difficilmente applicabile attraverso un metodo sintetico, ma che non appoggia in assoluto un metodo globale.

All’interno del dibattito sui metodi, il neurocienziato Dehaene (2007) sostiene che il metodo globale, che associa direttamente le parole scritte al loro significato senza insegnare esplicitamente la corrispondenza grafema-fonema, non trova supporto scientifico. Egli riconosce a questi metodi la volontà, da elogiare, di rimettere al centro il significato, ma allerta sui rischi che un approccio di questo tipo può avere sull’abilità di letto-scrittura. In particolare egli non condivide neppure i metodi misti, perché è sostenitore dell’idea che gli esercizi di riconoscimento dell’immagine globale di una parola non abbiano nessun rapporto con il modo in cui il cervello riconosce le parole (Dehaene, 2007). Egli ritiene che la lettura globale non sia altro che un’impressione data dal fatto che il nostro cervello tratta tutte le lettere di una parola in parallelo. In realtà la regione occipiti-temporale sinistra, deputata alla letto-scrittura, viene attivata dalla presentazione di singole lettere, ma non da una lettura globale delle parole, per la quale lavora l’emisfero destro (ivi). Una presentazione globale di parole non permettendo l’attivazione dell’emisfero sinistro non conduce ad una generalizzazione, che è alla base dell'apprendimento di una lettura che permetta di leggere parole nuove mai incontrate. La tappa cruciale dell’alfabetizzazione risulta quindi, secondo il neuroscienziato, l’insegnamento esplicito della corrispondenza grafema-fonema, che deve essere fatta gradualmente, presentando ai bambini parole che contengono solamente grafemi e fonemi già affrontati in modo esplicito (Dehaene, 2007).

Il dibattito sulla scelta del metodo non è però così facilmente risolvibile, per il fatto che in ogni apprendimento sono coinvolte diverse dimensioni, e così avviene anche per la letto-scrittura. Entrambe le tipologie di metodi hanno aspetti positivi ed aspetti negativi e questo ha condotto ad ulteriori riflessioni riguardo il processo di alfabetizzazione. I metodi fonici sono più ordinati e lineari, procedendo secondo una sequenza prefissata di presentazione dei grafemi, con difficoltà crescente. Questo generalmente facilita gli alunni in

difficoltà, perché presenta attività prevedibili, guidate e supportate dall’esterno (Castoldi & Chicco, 2017). Le proposte pedagogiche che utilizzano questi metodi strutturano l’ambiente per procedere dal semplice al complesso, secondo i canoni riduzionisti: il materiale di lettura è graduato per difficoltà, procedendo dalle semplici parole ai testi. Come evidenziato da Tolchinsky (1991), i criteri utilizzati per stabilire la difficoltà sono scelti secondo il punto di vista dell’adulto e determinati aprioristicamente. Questo non permette di seguire l’approccio dell’apprendimento come costruzione di conoscenza e tende a rendere i bambini passivi fruitori e ascoltatori. Modalità così strutturate rischiano di produrre una dissociazione tra il piano del suono-segno e quello del significato (Cisotto, 2017), riducendo la significatività di quanto i bambini incontrano e di conseguenza diminuendo l’efficacia dell’apprendimento. Il passaggio dal semplice al complesso, essendo postulato sulla base di una logica adulta, potrebbe in realtà non procedere secondo la gradualità necessaria ai bambini. Dottrens (1969), sottolinea come i segni grafici isolati non siano altro che astrazioni, per cui non è corretto affermare che la lettera sia più semplice della sillaba.

In contrapposizione, i metodi analitici e l’approccio naturale favoriscono una concezione di apprendimento in cui il soggetto svolge un ruolo attivo ed in cui la letto-scrittura è connessa con la realtà dei bambini, favorendo quindi contesti motivanti. E’ promossa la visione dell’apprendimento della lettura come scoperta di significati e questo migliora le abilità di comprensione (Anello, 2008). Questi metodi permettono ad ognuno di seguire il proprio percorso, differenziando modi e tempi di apprendimento, allestendo contesti di auto-apprendimento che favoriscono l’interpretazione significativa e la ritenzione dell’ortografia (Cisotto, 2017). Rimane però un punto debole: una lentezza nell’imparare la corrispondenza grafema-fonema, che risulta maggiore nei bambini che presentano difficoltà di apprendimento.