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I diversi sviluppi teorico-pedagogici hanno condotto ad una nuova idea di fanciullo e di infanzia, che ha trovato attuazione all’interno dei movimenti delle scuole attive a cavallo tra Ottocento e Novecento. I bambini sono portatori di bisogni, ma anche di potenzialità e di una propria personalità, sono spinti dalla curiosità verso la conoscenza. Inoltre la loro plasticità cerebrale gli permette di imparare in modo veloce semplicemente esplorando e vivendo la quotidianità (Alvarez, 2017).

Questa nuova concezione di bambino porta con sé una nuova idea di educazione e di apprendimento, oltre che una rivisitazione della figura di maestro. Vi è il passaggio da una concezione “depositaria” dell’educazione ad una “problematizzante” (Freire, 2018). L’educazione non ha il compito di trasmettere contenuti, non deve trattare la realtà in modo statico e segmentato,

“riempiendo” gli allievi di nozioni e lasciandoli passivi. Questo tipo di educazione, che separa nettamente educatore ed educandi, mettendo questi ultimi nella condizione di oggetti e non di soggetti, elimina la creatività e riduce gli uomini a “spettatori e non ricreatori del mondo” (Freire, 2018 p. 82). Nella pedagogia attiva l’educazione è concepita come un percorso di liberazione delle potenzialità di ognuno, anche attraverso il superamento della distinzione tra

educatore ed educando: quest’ultimo ha bisogno del supporto e dell’aiuto di una guida, ma contribuisce in modo attivo al processo di conoscenza.

Nell’educazione “problematizzante” la conoscenza non è calata dall’alto, imposta, ma costruita dagli allievi, che svolgono il ruolo di ricercatori critici (ivi).

Questa idea di educazione accompagna l’dea di un apprendimento che segue le leggi naturali del bambino considerando le “leve naturali della loro mente” (Alvarez, 2017, p. 4). I nuovi indirizzi pedagogici teorizzano che sostenendo le pulsioni, gli interessi e gli slanci spontanei dei bambini, si possa far emergere le loro potenzialità e creare apprendimenti solidi senza sforzo. Se prepariamo per il bambino attività e materiali su cui agire che lo interessino, egli da grande osservatore spontaneo procederà verso la conoscenza (Montessori, 1950). Per far questo è necessario rispettare il funzionamento naturale della mente del bambino creando un ambiente che dia nutrimento fisico e psichico;

offrire un ambiente naturale vivo e dinamico per sviluppare la loro intelligenza (Alvarez, 2017). E’ necessario “ricollegare i bambini alla ricchezza del mondo reale” (Alvarez, 2017, p. 77), collegare l’apprendimento all’esperienza quotidiana, alla vita, affinché esso risulti significativo: il cervello lascia da parte ciò che è privo di senso. Maria Montessori sosteneva che il bambino ha bisogno di vivere naturalmente, libero dalla vita artificiale creata dagli adulti per lui, perché solo così può ricercare ciò che per lui è significativo (Montessori, 1948).

In questo senso la pedagogista riteneva che “dobbiamo ai bambini una riparazione (dalle nostre teorie imposizioni) più che una lezione” (Montessori, 1950, p. 79). Il nuovo concetto di educazione assume la vita come centro della propria funzione, che risulta essere una conoscenza per agire nel mondo (Montessori, 1948).

Apprendimento non è mera memorizzazione, ma modifica delle strutture cognitive che porta ad una crescita nella propria Zona di Sviluppo Prossimale.

Affinchè esso avvenga è necessario sostenere la curiosità dei bambini, quell’impulso che li spinge ad aggiustare uno sfasamento tra ciò che sanno e ciò che non sanno (Alvarez, 2017). Per imparare è necessario avere libertà di movimento, il nostro cervello si sviluppa meglio se il corpo non è bloccato (ivi).

La nuova concezione di apprendimento valorizza inoltre l’errore come mezzo

per raggiungere la conoscenza, perché “imparare significa prendere coscienza della nostra previsione erronea e trasformarla” (Alvarez, 2017, p. 63).L’errore è concepito come elemento costitutivo dell’apprendimento, non permetterlo rende meno proficuo il processo stesso.

Per sostenere le leggi naturali è quindi necessario un apprendimento per scoperta, in cui i bambini sono attivi costruttori di conoscenza, che agiscono liberamente, in autonomia e compiendo errori.

L’apprendimento così concepito è di conseguenza opposto a quello sostenuto dai “metodi tradizionali” che utilizzano prevalentemente le lezioni frontali e separano insegnamento e apprendimento, producendo quello che Meneghello chiama “imparamento” (Meneghello, 2011, p. 113). Tra i primi ad evidenziare i limiti di una didattica così concepita vi è stato Dewey (1949), che sosteneva il pericolo di un’educazione in cui l’obiettivo fosse acquisire ciò che i libri e gli adulti conoscono: restare passivi non permette di sviluppare la capacità di dare un contributo nella società. Negli stessi anni Maria Montessori (1948) allerta gli educatori del fatto che la mente del bambino può subire dei danni se si utilizzano metodi inadatti, l’educazione non dovrebbe quindi essere

“un’isola dove gli individui si preparano alla vita rimanendone estranei” (Montessori, 1948, p. 9). Più recentemente Freire ha messo in collegamento l’educazione attraverso i “metodi nozionistici” con l’immobilismo sociale e l’adattamento delle maggioranze agli obiettivi di minoranze dominanti, poiché un apprendimento nozionistico rende difficile lo sviluppo di un pensiero autentico e creativo (Freire, 2018).

Freinet sosteneva che i materiali tipici dell’educazione nozionistica, libri di testo e manuali, sono i primi strumenti che ostacolano l’emergere delle potenzialità degli alunni, che invece mossi dal desiderio di apprendere, devono essere sostenuti offrendo loro occasioni ed esperienze (Agosti, 2009).

La concezione di apprendimento come scoperta (Bruner) è invece in linea con il pensiero delle scuole attive, che pongono al centro del processo formativo il bambino, i suoi bisogni, le sue motivazioni e, mettendolo in collegamento con il sapere pratico della vita attraverso modalità libere, gli permettono di avere un ruolo attivo.

Appoggiando la concezione di apprendimento delle scuole attive, è possibile ostacolare l’immobilismo sociale di cui parla Freire, permettendo la formazione di una “testa ben fatta” anziché di “una testa ben piena” (Morin, 2000, p. 15).

Ritroviamo questo passaggio anche nelle attuali Indicazioni Nazionali: “[…]

la scuola non può abdicare al compito di promuovere la capacità degli studenti di dare senso alla varietà delle loro esperienze…La scuola è perciò investita da una domanda che comprende, insieme, l’apprendimento e il ‘sapere stare al mondo” (MIUR, 2012, p. 7), “L’obiettivo non è […] bensì di proporre un’educazione che lo spinga a fare scelte autonome e feconde […] La scuola affianca al compito dell’’insegnare ad apprendere’ quello ‘dell’insegnare ad essere’”. (MIUR, 2012, p. 10).

CAPITOLO 2