Storie e parabole postcolonial
P. LAVOSIER He had God
3.2.4 iii Il sogno di Makak
La vicenda sviluppata nel testo ha il suo nucleo narrativo nel sogno di Makak. Le scene si alternano tra realtà e sogno, parte centrale dello sviluppo tematico. All'inizio e alla fine dell'opera la scena appare immutata così come lo è lo scambio di battute, pur evidenziando la maturazione interiore del protagonista. Come si struttura sulla scena la rappresentazione della realtà e del sogno? Già in altre occasioni, l'autore utilizza un prologo per introdurre la storia. Prima di permettere ai personaggi di parlare Walcott inserisce una didascalia in cui descrive la scena, dove compare l'immagine della luna. A differenza di quanto accade in The Sea at Dauphin in cui si forniva una descrizione della scena in senso spaziale, qui l'autore cerca di definire il movimento determinato dalla danza e dal rullo di tamburi. Nella sezione successiva si cercherà di analizzare meglio le scelte stilistiche in rapporto alla rappresentazione. L'apparizione lunare anticipa quella della donna bianca del sogno, mentre due personaggi, i criminali Tigre e Souris litigano in una cella introducendo così l'ambiente della prigione. Le prime battute del prologo sono affidate ad un narratore che – alternato al coro – lamentano lo stato di prigionia del figlio:
CONTEUR Mooma, mooma
Your son in de jail a'ready, Your son in de jail a'ready, take a towel and band your belly.509
Il lamento si alterna alle parole di Tigre e Souris, che a loro volta ripetono le parole del narratore, mentre la figura di Lestrade avanza imprecando contro i criminali, i neri selvaggi e cannibali:
CORPORAL
Animals, beasts, savages, cannibals, niggers, stop turning this place to a stinking zoo!510
Le parole di Lestrade anticipano il senso di colpevolezza del colonizzato, e l'impossibilità di redimersi e discolparsi se non attraverso l'emulazione del bianco. Rivolgendosi a Makak, Lestrade ripercorre la nascita dell'uomo nero, diretto discendente della scimmia, come del resto è Makak, il cui nome è riferito al suo aspetto animalesco simile a un macaco. In questa fase, Makak, l'uomo che non può assimilarsi alla cultura dei bianchi è come una bestia incapace di articolare il proprio nome e di sostenere la conversazione con Lestrade. L'identità di Makak è imprecisa, per lui irriconoscibile e impossibile da articolare, come spiegano le stesse parole di Lestrade:
CORPORAL
(Revising notes) You forget your name, your race is tired, (...)511
Makak – in questa prima parte- si configura completamente come il sottomesso, lo schiavo incapace di concepire sé e la relazione con gli altri. Il linguaggio del corpo di Makak rivela la sua identità come oggetto colonizzato:
CORPORAL On your knees!
(MAKAK drops to his knees, SOURIS shrieks with delight, then collect his dignity).512
509Ibid. p. 212. 510Ibid. p. 216 511Ibid. p. 220 512Ibid. p. 223.
Il coro completa l'identificazione tra l'uomo e la scimmia CHORUS
Everything I say this monkey does do,
I don't know what to say this monkey won't do. I sit down, monkey sit down too,
I don't know what to say this monkey won't do. 513
Procedendo con la ratifica dell'accusa in perfetto legal English, Lestrade riferisce di un sogno fatto dall'uomo-scimmia, un sogno osceno, come egli stesso dice. Il fatto che Lestrade riveli e interpreti il sogno di Makak implica l'esistenza di una conoscenza iniziale dei suoi contenuti. Ne rivela i due punti fondamentali, la donna bianca e la pretesa di essere re. Ciò è definito da Lestrade come oscenità che provocando vergogna e senso di colpa, sfocia nella rabbia e nella violenza che ha causato l'assalto a un negozio, crimine di cui è accusato il “selvaggio” Makak. La disamina di Lestrade è già abbastanza significativa per fornire una prima interpretazione del sogno. La rabbia e la vendetta sono sentimenti bestiali, degni di esseri selvaggi come Makak.. Tuttavia si tratta di una rabbia generata dalla frustrazione di possedere una colpa data solo dalla razza e che quindi apre la possibilità di rivendicare un passato in cui l'uomo non ancora colpevole di essere bianco, poteva regnare in Africa e possedere una vera dignità. Tutto ciò è comunque -- secondo quanto dice Lestrade, mulatto al servizio della corte della cultura dei bianchi -- una pura oscenità, come lo furono le parole del selvaggio Calibano rivolte al proprio padrone, Prospero. Qui si inserisce il pensiero dell'autore. Pensare e rappresentare un sogno di rivoluzione basato sulla vendetta, sul ritorno all'Africa è semplicemente “scabroso”; ciò può solo causare vergogna e senso di colpa. L'autore intende chiarire il suo percorso rappresentativo prima ancora di inscenare il sogno vero e proprio attraverso il chiarimento di Lestrade davanti ai giudici, simboli di coloro che dovranno, a loro volta giudicare l'opera di Walcott. L'autore quindi mette in guardia lettori e pubblico, utilizzando un personaggio statico che vive nella psicosi di adattamento alla cultura dei colonizzatori, ma funzionale all'intero impianto testuale: si rappresenterà un sogno che potrà apparire offensivo, osceno, blasfemo ma è necessario fare attenzione, perché ci sarà qualcosa in più da scoprire nell'inconscio di Makak. Egli è effettivamente un personaggio disturbato mentalmente: solo, recluso, pieno di sensi di inferiorità, ma timorato di Dio. La fede in Dio è ciò che produrrà la salvezza di Makak e mentre Lestrade lo accusa di oscenità, Makak parla di Dio. E' proprio qui la differenza. Se Makak è psicologicamente disturbato, lo è nella misura in cui ricerca una verità spirituale, un'interiorità che solo la fede in Dio può garantirgli. Nel sogno egli si sostituirà alla figura di Cristo guaritore, nel celebre episodio della guarigione di Lazzaro, momento rivissuto da Makak come guaritore per la comunità; l'episodio regale a Walcott la possibilità di coniugare l'istanza cristiana anche con quella floklorica visibile in Makak come sciamano tribale. L'immagine della donna bianca non deriva unicamente dal desiderio dell'oggetto femminile, da possedere fisicamente, secondo anche l'interpretazione di Fanon, per “diventare” parte dei bianchi, ma è un'immagine profondamente simbolica legata al significato del colore non solo in senso razziale, ma anche spirituale e religioso. L'immagine della donna bianca si presenta sulla scena, per scomparire dopo brevi istanti: la figura di una donna bianca lunare è la dimensione mentale di Makak, essa rappresenta la sua ossessione, il suo desiderio impossibile di diventare più bianco e di avere una famiglia; essa rappresenta la parte spirituale “occidentale” a cui Makak, il selvaggio, non può giungere in quanto relegato alla condizione di “scimmia”; egli è un essere inferiore, le cui aspirazioni spirituali sono giudicate come pura follia.
Il prologo termina con la perdita di coscienza di Makak. La prima scena è un flashback: il mattino precedente Makak rivela a Moustique l'apparizione della donna bianca, causandogli un primo risveglio spirituale:
MAKAK
(...) I feel I was God self, walking through cloud, in the heaven of my mind.(...) I see this woman singing, and my feet grows roots. (...)Then I start to move, she call out my name, my real name(...)514
Il primo effetto del sogno e della figura femminile è quello di sentirsi vicino a Dio e di udire il suo vero nome. La donna gli provoca un sentimento d'identificazione con sé, il primo passo verso la sua identità e di riavvicinamento alle radici:
MAKAK
(...) she did know my name, my age, where I born (...) 515
Moustique controbatte cercando di richiamarlo alla sua tremenda realtà di essere privo di dignità e identità.
MOUSTIQUE
(...) Which white lady? You is nothing. You black, ugly, poor, so you worse than nothing You like me. Small, ugly. (...)516
( on the floor) You mad . To God, you mad, O God, the day come when I see you mad . 517
Makak rimane un folle disperato agli occhi dell'amico sebbene questi decida di accompagnarlo nella sua prima missione spirituale – quella della guarigione dell'uomo malato – nella seconda scena. Makak assume i tratta di uno sciamano che, come in un rituale, procede alla guarigione del moribondo mentre tutti lo acclamano come messaggero di Dio. Mentre Moustique gli suggerisce, da vero uomo pratico, di sfruttare economicamente le sue doti soprannaturali, Makak sa che il suo potere non è per il profitto ma unicamente spirituale. La terza scena spezza il sogno e vede il ritorno allo spazio della prigione, dove Lestrade riceve un gruppo di donne, testimoni dei disordini del mercato; mentre si affacciano alla scena diversi personaggi, rappresentativi del villaggio – un ragazzo, il falegname, l'ispettore del mercato – Moustique, anch'egli interrogato, prende le difese di Makak. Come un Sancho Panza che accompagna la follia di Don Chiscotte, Moustique è l'unico che riesce a capire cosa si cela dietro la pazzia dell'amico. A questo punto la realtà si mescola con il sogno. Nella piazza del mercato, Moustique finge di essere Makak e viene ucciso dalla folla infuriata mentre Makak giunge per salvarlo, ma non può fare altro che emettere un urlo disperato e in preda al dolore e alla perdita di coscienza chiude la prima parte della rappresentazione.
Nella seconda parte, la scena iniziale è sempre la prigione anche se si tratta in realtà del sogno di Makak, in cui, assieme a Tigre e Souris si prepara per la fuga e il viaggio in Africa. Assalito e accoltellato Lestrade, Makak realizza il suo sogno rivoluzionario:
MAKAK
(With a cry) Blood! Blood! Blood! Lion....Lion....
I am ... a lion (He has grabbed the CORPORAL, stabbing him. Then he hurls him to the floor)518
514Ibid. p. 235. 515Ibid. p. 236 516Ibid. p. 237 517Ibid. p. 241. 518Ibid. p. 285.
A questo punto Lestrade, alzandosi con sofferenza per la ferita inferta da Makak decide di seguire il suo nuovo padrone nell'impresa. La fuga, simbolo dell'atto rivoluzionario, prevede la discesa nella foresta, nell'oscurità dell'anima dei nativi che come afferma Lestrade, tentano di sfuggire dalla prigione della loro esistenza. La seconda scena è ambientata nella foresta, luogo ormai consolidato nel teatro walcottiano, come in Ti- Jean e Malcochon , come momento di confronto e rivelazione, a predisposizione di una maturazione del personaggio. Il ritorno alla dimensione ancestrale e tribale è un presupposto indispensabile per la percezione dell'identità del colonizzato, ricordando ciò che l'autore scrisse nel saggio What The Twilight Says:
The darkness which yawns before them is terrifying. It is the journey back from man to ape. Every actor should make this journey to articulate his origins, but these who have been called not men but mimics, the darkness must be total, (...)519
Questa discesa “negli inferi” e nell'oscurità che in Dream si configura come la parte decisiva del sogno di Makak è ciò che è necessario affrontare anche per gli attori della sua compagnia teatrale. Così anche Lestarde, personaggio che rimarrà immutato alla fine, deve “recitare una parte diversa” ed è costretto a seguire il sogno di Makak. La funzione del sogno è quindi non solo provvedere una rivelazione, un passaggio da uno stato animalesco a quello umano per il povero relitto umano Makak, bensì rappresentare ciò che Walcott non vuole rappresentare nel suo teatro -- la violenza, il ritorno all'Africa, la rivoluzione dei neri -- in quanto è solo un sogno pieno di ombre, come affermerà lo stesso Makak alla fine. La rappresentazione di ciò in cui Walcott come artista non crede è un atto necessario affinché – come il personaggio – l'autore adotti il suo percorso interiore e originale: quello del ritorno all'isola, quello della relazione, del sincretismo e della fiducia nella propria spiritualità. Rimane comunque l'ambiguità della rappresentazione del sogno: i personaggi non sono convinti, sembrano sempre intravedere la pazzia di Makak, e la sua impresa non è mai presa sul serio:
SOURIS
How you will take us to Africa? What we will do there? (...)
Well, God help us . I really frighten. Like a child again. (...) TIGRE
(Whispering) Enough! Enough! You going crazy too? 520
L'autore pare volere continuamente fare intendere a pubblico e lettori, attraverso questa comunicazione doppia e obliqua, l'ambiguità e la follia espressi nel sogno di Makak. Tuttavia la follia è il sintomo della percezione della verità. Come per il drammaturgo svizzero Friedrich Dürrenmatt,in La Promessa (trad. italiana di Das Versprechen), il personaggio principale, difensore della legge, diventa folle nell'assurda ricerca della verità, così Lestrade si sente impazzire nella foresta e similmente a quanto accade in Malcochon, è questo il momento di rivelarsi e confessare i propri peccati. Denudato e rivelato a sé stesso e agli altri – intesi anche come pubblico e lettori – che tuttavia sanno che si tratta di un'”altra parte” interpretata dal militare mulatto, Makak comincia a perdere fiducia nella propria missione e nel suo nuovo ruolo di regnante, simbolicamente, tenendo tra le mani la maschera mai indossata:
MAKAK
519 Derek Walcott, What the Twilight Says, op. cit. p. 5. 520 Derek Walcott Dream on Monkey Mountain, op. cit. p. 290.
(Holding out the mask) I was a king among shadows. (...) I am lonely, lost, an old man again . No more. I wanted to leave
this world.(...) We are wrapped in black air, we are black, ourselves shadows in the firelight of white man's mind.(...). 521
Come analizzato nella sezione precedente la narrazione e la rappresentazione del sogno permettono al “paziente” di prendere distanza da esso e di percepirlo come oggetto allo scopo di migliorare sé e la realtà. Nonostante il sogno proceda e Makak diventi re, continua a riconoscere la sua inconsistenza. Così la missione di riscrivere la storia attraverso la violenza non può essere salvifica. L'unica soluzione è la decapitazione della donna bianca, azione che non solo cerca di affermare la ri-acquisizione di un'identità sganciata dai modelli della cultura dominante ma definisce anche le ragioni del trauma di Makak. L'immagine del bianco per il nero, come afferma Fanon, è simbolo di purezza e come tale oggetto di desiderio per tentare di definire sé stesso come “bianco”. Scrive Fanon a tal proposito:
De la partie la plus noire de mon âme, à travers la zone hachurée me monte ce désir d'être tout à coup blanc. Je ne veux pas être reconnu comme Noir, mais comme Blanc. Or -- et c'est là une reconnaissance que Hegel n'a pas décrite -- qui peut le faire, sinon la Banche? En m'aimant, elle me prouve que je suis digne d'un amour blanc. On m'aime comme un Blanc.522
Il sogno struttura una vicenda che potremmo ancora definire come “parabola” postcoloniale, in quanto attraverso l'esperienza onirica del personaggio si cerca di trasmettere un insegnamento basilare per il pubblico caraibico. All'interno della cornice tematica postcoloniale che vede la realizzazione del desiderio di vendetta e di gloria, di recupero della radici africane secondo quanto ordina la cultura dei bianca, alias l'apparizione della donna bianca, l'autore trasmette un messaggio che va oltre tutto ciò. Come il giudizio tribale della Storia e la fuga in Africa sono un tentativo inutile e provvisorio di ricerca identitaria, così lo è seguire e “imitare” gli ordini della donna bianca. La rinuncia, ci insegna Walcott deve essere totale. Il trauma di Makak, ancora più profondo e lacerante di Lestrade, è stato quello di accettare entrambe le pulsioni: essere bianco seguendo l'apparizione femminile e essere re fuggendo nella foresta africana. Walcott trasmette al pubblico l'impossibilità di queste scelte rappresentando il sogno irrealizzabile di tutto il suo popolo: questo non significa rinunciare alla libertà e alla ricerca dell'identità, ma significa rinunciare a false visioni imposte dalla cultura colonizzatrice. Significa accettare il proprio ibridismo e la realtà multiculturale mutuata dall'incontro di culture opposte. Ciò che è necessario realizzare è affrontare l'irrealizzabilità del sogno per liberarsi dei falsi desideri e illusioni, allo scopo di accettare l'originalità dell'essere caraibico. La decapitazione della donna sancisce una nuova visione del bianco, non più come la purezza che il nero deve inseguire ed emulare, ma come in Moby Dick, l'immagine diabolica di una cultura che cerca ancora di omologare il nero alle proprie imposizioni e ai propri schemi: la fuga in Africa, l'eccesso di violenza e il desiderio di vendetta non fanno altro che allargare e rinforzare la distanza tra bianchi e neri. Non è quello che cerca Derek Walcott. Nell'accettazione del passato culturale che mescola tutto ciò che africano e europeo, e nella presa di distanza da esso emerge il nuovo uomo caraibico, il nuovo Makak, consapevole di una sua identità creola, ibrida ma unica ed originale. Per Makak -- così come per Walcott -- è necessario confrontarsi con l'oscurità del sogno ma è anche necessario prendere distanza dagli oggetti che compaiono in esso. L'uomo caraibico non può essere come Lestrade e come il Makak iniziale, ma come Felix Holbain. Anche se un po' “strano”, e non di bell'aspetto, Felix è un uomo con la sua dignità e un luogo in cui vivere. Deve rinunciare ad essere come un bianco ma deve anche rinunciare ad essere un dio africano. Deve accettare questo Dio che gli ha permesso di percepire il bianco lunare della donna che ha ora decapitato, distrutto dal suo inconscio, ma deve anche negare la totale eredità della cultura
521Ibid. p. 304.
africana. Il suo spazio e la sua lingua rivivono in una nuova dimensione -- quella dell'incontro e delle nuove possibilità di rinominare l'io e l'ambiente -- attraverso un processo doloroso -- diasporico e di dislocamento -- che gli fanno prendere coscienza dell'importanza e del nuovo vigore della sua “casa” : il Monte della Scimmia. In questo senso il sogno si struttura come la terapia dell'autore stesso per potere creare un teatro di relazione, interculturale -- come si cercherà di dimostrare alla fine dell'ultimo capitolo -- un nuovo “terzo” spazio in cui i bianchi assimilano la cultura dei neri, e in cui i neri riflettono sull'impronta incancellabile del colonialismo dei bianchi.