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ii Le teorie postcoloniali nel teatro

L’aggettivo “postcoloniale”, usato ampiamente da teorici e studiosi delle culture e letterature emergenti in aree geografiche colonizzate, indica, forse a volte in maniera un po’ troppo uniforme, tutto ciò che è stato prodotto a livello letterario nei paesi dominati e che hanno raggiunto l’indipendenza politica, in momenti diversi, a partire dal secondo dopoguerra. L’uso di un aggettivo comune nella definizione di forme letterarie più disparate, appartenenti a zone geografiche anche molto distanti tra loro, ad esempio il Canada e il Sudafrica, l’Australia e Caraibi, può indurre a pensare che esiste un terreno comune a tutte queste letterature, che è riscontrabile nel passato coloniale147. Le tracce della dominazione europea,

infatti, hanno regalato all’espressione letteraria e artistica di queste aree, tratti comuni evidenti nel tentativo di definire una propria identità culturale e letteraria. Pur distinguendo tra la realtà molto differente delle cosiddette invaded colonies e settler colonies, cioè colonie in cui l’impero ha concretizzato vere e proprie forme d’insediamento e di stabilizzazione come l’Australia, dove la popolazione indigena è stata praticamente annientata, e altre dove l’impero si è affiancato alla popolazione autoctona e ne ha parzialmente condiviso gli stili di vita e l’eredità linguistica, non si può negare tuttavia che esistono importanti tratti comuni appartenenti alle letterature delle ex colonie. L’ambito caraibico è forse tra i più complessi in quanto ha visto una totale rimozione e distruzione, in tempi molto remoti, delle popolazioni indigene (Arawak,Caribi e Taino); inoltre attraverso la tratta degli schiavi e la colonizzazione europea (inglese, francese, olandese e spagnola), si è verificata la creazione di un ibrido razziale le cui origini sono da ricondursi all’Africa, all’India e alla stessa Europa, con il risultato di un’identità culturale particolarmente frammentata. Nel volume I Caraibi:la cultura contemporanea di De Angelis, Fiallega e Fratta si evidenzia il rapporto tra l'impeto distruttivo della colonizzazione europea, il Middle Passage, e la formazione di una realtà creolizzata e multiforme: Le popolazione autoctone (...) furono in pochi decenni quasi totalmente sterminate. ben poco restò di esse: pochi nomi di luogo, di animali, di oggetti, alcuni usi e pratiche quotidiani ereditati dai bianchi in quanto utili in quei climi e in quelle condizioni(...) Uno dei tanti genocidi della storia, che preoccupò gli europei nella misura in cui ai nativi, ai selvaggi, si

146 Ibid. p. 58.

dovettero infatti al più presto trovare dei sostituti come manodopera nelle piantagioni (...) Fu così che già agli albori del XVI secolo iniziò dall'Africa verso le Americhe la famigerata tratta dei neri, ridotti bestialmente inservitù, nel quadro di quello che venne chiamato il "circuito triangolare". (...) Quale patrimonio culturale portarono gli africani nel Nuovo Mondo? Costumi, tradizioni, lingue e culti certo attraversarono con loro l'oceano, ma per molte ragioni furono soggetti a trasformazioni.(...) Questa nuova umanità elaborò così codici culturali nuovi adatti alle nuove condizioni e ai nuovi bisogni.

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La complessità della realtà caraibica, nelle sue implicazioni culturali e letterarie, date le sue specificità postcoloniali, non può prescindere dalla considerazione di tendenze come, in primo luogo, quella finalizzata alla revisione della Storia, in un'ottica che prevede la rappresentazione di storie"sommerse" e non ufficialmente documentate; secondariamente, la tendenza a ricercare una propria dell'identità, che spesso si delinea come una "quest", tenendo conto del forte legame con la propria terra e con le proprie origini senza trascurare l'eredità linguistica e culturale tracciata dal colonialismo. Lo studio del teatro walcottiano -- nella sua accezione di teatro postcoloniale e caraibico -- permetterà di analizzare la realizzazione di tali tendenze attraverso il linguaggio drammatico e performativo e di delineare un possibile quadro in cui la funzione del teatro - come oggetto di indagine semiotica- agisce direttamente sul corpus teorico. Il teatro di Derek Walcott giunge come, da un lato l'oggetto di studio delle teorie postcoloniali, dall'altro come campo di analisi della semiotica.

La domanda che giunge a questo punto è: come si coniugano le teorie postcoloniali con quelle semiotiche teatrali? Come si rendono "visibili", nella messa in scena gli aspetti fondamentali della scrittura postcoloniale, Storia, identità e lingua?

In Postcolonial Literatures in English, Dennis Walder ribadisce la prospettiva di Said relativamente alla creazione di un immagine di alterità che circoscrive tutte le popolazioni colonizzate in un unico spazio, relegandole a una dimensione totalmente priva di storia, strappandole da una volontà identitaria che sia diversa da quella occidentale. Riprendendo i concetti di Frantz Fanon, Walder scrive:

colonialism was a denial of all culture, history and value outside the colonizer's frame. 149

La negazione della storia locale nel processo di colonizzazione si riflette nell'annullamento dell'identità culturale, pertanto le letterature postcoloniali esprimono l'urgenza di fare riemergere la storia rimossa non solo come atto d'accusa contro i poteri coinvolti nello sterminio imperialista, ma anche per rimarginare le ferite lasciate dalla distruzione delle proprie identità.

Nel teatro di Soynka la volontà di recuperare i miti legati alla cultura Yoruba si collega alla necessità di distaccarsi dalla cultura dei colonizzatori per entrare in uno spazio "metafisico", avulso dai meccanismi storici e terreni imposti dalla cultura occidentale. Una nuova prospettiva storica si ritrova anche al centro dell'attività del teatro australiano, in cui si cerca di affrontare "terapeuticamente" il doppio trauma della storia dell'Australia: quello dello sterminio delle popolazioni aborigene e quello dell'insediamento degli inglesi, deportati dalle prigioni vittoriane; spesso le opere australiane cercano di denunciare le barbarie degli occidentali sugli aborigeni ma anche sugli stessi galeotti bianchi, in un dramma che accomuna tutti gli abitanti del paese, e attraverso il punto di vista aborigeno, in un autore come Jack Davis, si crea un effetto disturbante sulla visione della storia.150 I traumi storici sono sempre

al centro del teatro black nordamericano di August Wilson, così come la riflessione sui meccanismi che regolano i processi storici caratterizza la profondità delle opere teatrali dell'indiano Girish Karnad, in cui il concetto di "fare storia" si riconduce non solo alle strategie politiche ma anche all'abilità degli

148Maria Pia De Angelis, Cristina Fiallega e Carla Fratta , I Caraibi:la cultura contemporanea, Carocci, Roma, 2003, pp.8,9.

149 Dennis Walder, Post-Colonial Literatures in English Blackwell Publisher, 1998, p. 40. 150 Brian Crow,Chris Banfield, An Introduction to Post- Colonial Theatre, op. cit. , p. 61.

"uomini colti".151 Una delle "ossessioni" ricorrenti dell'opera poetica e di teatro di Derek Walcott è la

storia; in "The Muse of History", Walcott elabora una visione storica basata sul mito e sulla capacità "adamica" del poeta, che guardando alla storia in senso tradizionale come un "incubo", si rende conto che non solo ha generato traumi, ma ha sviluppato una tendenza alla rimozione e all"amnesia", nelle

popolazioni colonizzate.152 Il teatro di Walcott, da Dream on Monkey Mountain, fino ai drammi sulla

storia americana, come Ghost Dance e Walker, ha cercato di rielaborare l'amnesia storica e di manipolarla da un un punto di vista psicoanalitico, sia riprendendo le teorie dello psicologo martinicano Franz Fanon, sia attivando un meccanismo interiore legato alla memoria.

Il riferimento a Fanon, inoltre, conduce a una seconda importante questione, di per sé necessariamente collegata alle cicatrici lasciate dalla colonizzazione: l'identità. Frantz Fanon ha cercato di analizzare il rapporto tra bianchi e neri in Peau noire, Masques blancs, opera di riferimento in Dream On Monkey Mountain. Secondo Fanon l'identità delle popolazioni di colore si rapporta costantemente agli "standards" identitari dei bianchi a cui non corrispondono quelli posseduti dalla popolazione nera; tale continua tensione emulatoria porta ad un perenne stato di nevrosi che nasce dalla consapevolezza dell'essere sempre inadeguati e di non potere mai raggiungere determinati livelli sociali e culturali. Fanon accusa questo meccanismo subdolo che porta ad una negazione totale dell'identità della gente di colore, generando così una condizione di frustrazione psicologica che impedisce di definire una propria unica e originaria identità personale e culturale.153 La riflessione sull'identità nel teatro di Walcott si

realizza spesso in una dimensione metateatrale come in Pantomime e in A Branch of the Blue Nile, dove l'introspezione del personaggio, che cerca di definire il proprio ruolo nella società, si intreccia con la considerazione del ruolo dell'attore e come questi riesca a trasmettere il "suo" messaggio al pubblico; una simile dinamica è rintracciabile anche nel teatro sudafricano di Athol Fugard dove lo scambio di identità in Siswe Banzi riflette anche la condizione del nero in Sudafrica obbligato a "recitare" per essere accettato dai bianchi; contemporaneamente l'autore porta anche alla riflessione del valore della recitazione in senso teatrale, concependo non tanto l'opera e la recitazione come armi politiche, bensì come il mezzo con cui destabilizzare la coscienza del pubblico attraverso una nuova percezione del

valore della propria cultura.154 L'immediatezza del messaggio degli autori postcoloniali avviene in un

spazio di profondo contatto tra l'autore e il suo pubblico, su cui agisce attraverso un attento uso della lingua. Molti autori delle ex colonie, nonostante la possibilità di scelta tra lingua inglese e lingua locale, in India o in Africa, hanno optato per la lingua inglese, definendo abbastanza chiaramente a quale pubblico rivolgersi. Nonostante la volontà di concentrasi sulla realtà nigeriana e di occuparsi dei problemi del suo paese, un autore come Femi O So Fisan ha scelto di scrivere le sue opere teatrali in inglese, al contrario, l'indiano Badal Sircar ha scelto di scrivere i suoi testi teatrali in lingua bengali, non solo per il riconosciuto lirismo della lingua e il suo forte potere evocativo, ma anche per adattare meglio il testo ad una particolare concezione del teatro che, secondo l'autore, deve incontrare le condizione ricettive del suo pubblico. Sircar è infatti assolutamente convinto dell'importanza del rapporto tra attore e spettatore, allo scopo di realizzare uno spazio performativo aperto, definito "third theatre", che si fonda sull'influenza della tradizione europea di Grotowski, Julian Beck, ma anche su

151 Ibid. pp. 142-143.

152 Derek Walcott “the Muse of History” in Critics on The Caribbean Literature, Edward Baugh (ed. )London, George

Allen & Unwin, 1978.

153 Derek Walcott Dream on Monkey Mountain and other Plays op. cit. cfr. F. Fanon Black Skin White Masks , trad. Charles

Lam 1967, New York , Grove Press.

quella prettamente indiana del Jatra, Bhawai e della danze manipuri.155

Riprendendo i concetti di Said, a proposito del modo di leggere in maniera "contrappuntistica" la storia, ovvero considerare sia la dominazione imperialista che l'opposizione ad essa, gli autori di An Introduction to Post-colonial Theatre, propongono una visione del teatro ampia, che superi la stessa etichetta di "postcoloniale", per elaborare un concetto di teatro che, attraverso la molteplicità e l'incontro di diverse tradizioni, non solo ci faccia capire meglio la storia dei popoli sottomessi, ma possa allo stesso modo arricchire la comprensione della cultura e del teatro "occidentali".156