Storie e parabole postcolonial
P. LAVOSIER He had God
3.2.4 iv La scena e la poesia
Scopo di questa parte è quello di cercare di evidenziare il rapporto intenso e ricco tra la poesia di Walcott e il teatro e capire come Dream on Monkey Mountain sia collegata al linguaggio e a contenuti
poetici come ad esempio quelli che compaiono in Goats and Monkeys,523 lunga poesia ispirata alla
tragedia Othello. L'intento -- sebbene non produca assolutamente risultati esaustivi -- può essere inteso come la volontà di individuare le molteplici direzioni e punti d'arrivo di un'arte drammatica poliedrica, frutto di un autore aperto a ogni tipo di “contaminazione” sia dal punto di vista linguistico che culturale. Il nuovo equilibrio interiore di Makak si riflette in un nuovo equilibrio artistico raggiunto da Walcott attraverso il mezzo teatrale. Il drammaturgo riesce a partire da quest'opera -- ma in un certo senso anche in quelle precedenti -- a bilanciare i sistemi comunicativi del passato e della tradizione con quelli nuovi, che nascono dal suo modo di concepire la recitazione e il movimento sul palcoscenico e l'uso strumentale di elementi folklorici. Come rilevato in Ti- Jean, l'autore ha cercato di realizzare una fusione tra l'universo del teatro greco e il folklore caraibico utilizzando l'immagine della rana narratrice che gioca con parole e suoni che evocano il mondo greco, non solo in base a quanto citato precedentemente, ma anche attraverso l'identificazione tra il ruolo del narratore e la figura di Eschilo. FROG
(sneezing) Aeschylus me!524
L'assioma rana-narratore greco che emerge dall'azione di nominarsi tale, rafforza il concetto di ritrovamento del sé e del proprio spazio attraverso un processo artistico come quello della narrazione e della messa in scena. Infatti il narratore è un ulteriore mascheramento, in questo caso dell'autore, che attraverso l'animale dell'isola, nomina sé stesso come discendente da una grande tradizione culturale ma inserito nel contesto di una fiaba locale. Non è nemmeno un caso, probabilmente la scelta del riferimento ad un autore della tradizione greca, considerato padre della tragedia prima ancora di Euripide e Sofocle, ma anche famoso per un'allusione di Aristofane nella commedia Le Rane, a proposito dei riti misterici dedicati a Persefone. Non è nemmeno un caso forse il fatto che Eschilo fu un grande innovatore della tragedia e grazie a lui divenne sempre più comune l'uso della maschera, elemento di grande importanza anche nell'opera di Walcott. Tutto questo per sottolineare in misura sempre maggiore la forte tendenza dell'autore caraibico ad integrare attraverso precise scelte linguistiche, diversi riferimenti culturali che si uniscono in unico spazio e in un unico tempo: il suo teatro e la sua scena. Se già un'opera come Ti-Jean ha cercato di scavare nelle possibilità di fusione e assimilazione, come osserva anche C. Balme per la realizzazione di un vero teatro sincretico, Dream
523Derek WalcottGoats and Monkeys, in Collected Poems 1948-1984 New York Farrar, Straus and Giroux, 1987. 524Derek Walcott, Ti-Jean and His Brothers, op. cit. p. 85.
intende inaugurare un nuovo equilibri tra poesia e teatro. Infatti, questo nuovo equilibrio dato dalla fusione e dall'avvicinamento ad un teatro sempre più sincretico può essere accostato anche alla volontà di Walcott di cercare di unire generi letterari a lui più congeniali come la poesia e la drammaturgia, come egli stesso scrive nella nota iniziale al testo, già citato nella prima parte, ma che data l'importanza si vorrebbe citare di nuovo:
Its source is a metaphor and it is best treated as a physical poem with all the subconscious and deliberate borrowings of poetry. Its style should be spare, essential as the details of a dream. The producer can amplify it with spectacle as he chooses (...) He will need dancers, actors and singers, the same precision and vitality that one has read of in the Kabuki. He may add songs more recognisable to his audience once he can keep the raw folk content in them. Scene II, the healing scene, owes an obvious debt to “Spirit”, choreographed for the Little Carib Company by Beryl MacBurnie.
Il materiale teatrale prodotto da Walcott è concepito pertanto come una metafora, dove il sogno assume tale qualità poetica esprimendo l'interiorità e il percorso psicologico del personaggio interiore, in base alle considerazioni dell'autore a proposito dell'origine di esso da un punto di vista essenzialmente creativo: la metafora e la poesia. L'opera è inoltre, da egli stesso definita una “poesia fisica”. Esiste inoltre un precedente poetico che riflette sul rapporto tra uomo nero e donna bianca attraverso la metafora della donna, come già segnalato, in Goats and Monkey nella raccolta The Castaway and Other Poems del 1965.
(...)
Her white flesh rhymes with night. She climbs secure Virgin and ape, maid and malevolent Moor,
their immortal couplin still halves our world. He is you sacrifical beat, bellowing , goaded a black bull snarled in ribbons of blood. And yet, whatever fury girded
on the saffron-sunset turban, moon- shaped sword Was not his racial, panther-black revenge pulsing her chamber with its raw musk, its sweat but horror of the moon's change (...) 525
Ritornando mentalmente all'immagine di Othello che uccide Desdemona, la poesia ripercorre il dramma dell'identità del “moro” travolto dalla passione della gelosia ancora più lacerante nel dramma interiore di chi si sente doppiamente tradito. La luna, osservatrice inerte e per questo colpevole nel suo biancore di essere complice del tradimento, diventa il bersaglio, assieme alla donna, da abbattere e da eliminare nel tentativo di uccidere anche la bestia che è dentro al moro stesso: il nero simboleggiato dalla notte. L'uccisione di Desdemona si conclude con il suicidio, l'annullamento del bianco si confonde con l'annullamento del nero e tale dinamica proiettata nel testo drammatico di Walcott assume il significato relativo all'atto liberatorio di Makak che, decapitando la donna bianca, prende distanza anche dal suo complesso d'inferiorità. La relazione tra la poesia e il testo drammatico rendono ancora più urgente la chiarificazione del rapporto tra testo poetico e messa in scena. Secondo l'autore, in base alla citazione della nota introduttiva, esiste quindi la concreta possibilità di visualizzare il linguaggio poetico fisicamente. Tale concetto si rende ancora più convincente nel momento in cui sottolinea la necessità di usare, in produzioni successive, ballerini e cantanti, in un contesto scenico dove l'interazione tra corpo, musica e parola si rende sempre più consistente e essenziale da un punto di
vista comunicativo. Per l'autore, pertanto, il sogno rappresentato è una poesia visibile, la cui radice è riscontrabile in una metafora. Il corpo che danza e la musica rendono il testo rappresentato sulla scena una forma di poesia. Le scelte di scena convergono verso questa direzione: l'inizio del prologo è recitato dal narratore e dal coro attraverso la ripetizione ossessiva della stessa frase “your son in de jail already”; l'alternanza di canto e battute recitate è evidente sempre nel prologo e nella scena della guarigione, la danza e la musica sono parte integrante della stessa scena e quella del processo tribale. L'autore ha cercato di sfruttare ancora di più le potenzialità del corpo per approdare non solo ad uno spazio teatrale, ma, come , nella poesia, per cercare di creare nuove possibilità di articolazione e di scrittura creativa. Come anticipato, non è il sogno di Makak a realizzarsi, anche se egli cambierà per giungere ad una profonda consapevolezza di sé, ma quello dell'autore. La metafora di cui parla Walcott non è semplicemente la metafora del sogno che allude alla psicosi del colonizzato, la sua tensione verso il bianco e il suo desiderio di riscatto. La metafora del sogno è quella di costruire un nuovo linguaggio e allo stesso tempo un nuovo spazio scenico. Ciò potrebbe apparire anche banale, ma il fatto che Walcott ci sia riuscito forse lo è meno. Primo fra tutti è abbastanza semplice pensare che il movimento del corpo e la musica si rivelino come poesia nella dimensione del teatro, ma per l'autore ha significato realizzare la stessa operazione di “contro-scrittura” che ha realizzato in poesia. Già è ben noto il concetto di abbandono delle “metafore morte” come ha scritto la Ismond, a proposito del linguaggio poetico di Walcott già a partire dalla fase caraibica. Nel linguaggio poetico e drammatico di Walcott la metafora assume un valore fondamentale come “sfida della concettualizzazione del mondo allo scopo di creare una particolare visione del mondo”526. Questa definizione risulta particolarmente congeniale in
un'opera come Dream, in cui l'autore stesso afferma di trarre spunto da una metafora allo scopo di realizzare un nuovo concetto di teatro ma anche d'identità caraibica. L'analisi del linguaggio metaforico di Walcott ha portato più volte a considerare l'intento di ristrutturare il sistema concettuale,
generandone nuove associazioni linguistiche. 527 Come risulta chiaro dallo studio effettuato finora, lo
scopo di Walcott non è il rifiuto della tradizione culturale del colonialismo, come dimostra anche Dream, bensì la sovversione linguistica, intesa come sconvolgimento radicale. Come noto, Walcott opera dall'interno, assimilando non solo la lingua del colonizzatore ma anche tutto il patrimonio culturale dell'Occidente. Secondo Soria Clivilles questo approccio sovversivo è raggiunto attraverso la metafora che sfida, dall'interno, le costruzioni concettuali della cultura imperialista. Le metafore assumono tratti non convenzionali e rinnovano i significati. La metafora del sogno, che nello spazio post-coloniale, doverebbe essere la realizzazione della fuga in Africa e l'assimilazione della donna bianca, si distaccano da questa prospettiva per ricostruire concetti nuovi e più profondi, che esprimono l'identità caraibica e non sono più omologati all'imposizione di una cultura fatta ad uso e consumo degli europei. Non è un caso se compare una seconda citazione di Sartre all'inizio della seconda parte di Dream .
Let us add, for certain other carefully selected unfortunates, that other witchery of which I have already spoken: Western culture. If I were them, you may say,I'd prefer my mumbo-jumbo to their Acropolis. (...) Two world; that make s two bewitchings; they dance all night and at dawn they crowd into the churches to hear Mass; each day that split widens. (...)The status of “native” is a nervous condition introduced and maintained by the settler among colonised people with
their consent.
526Bélene Soria Clivlilles “Metaphor in Walcott” in Critical Approaches to the Poetics of Dererk Walcott, op. cit. pp.149-
163.
Sartre. Introduction to “The Wretched of the Earth” by Frantz Fanon528
Il problema dell'identità razziale si carica della tensione psichica creata dal sentirsi inadeguato a soddisfare criteri imposti dalla cultura occidentale; tensione che sfocia in schizofrenia, ma che – come affermato – si trasforma in elemento creativo. Anche la metafora della follia si rivela di grande forza e profondità soprattutto in relazione alla scoperta alla verità – dolorosa – a cui approda Makak accettando sé stesso.
Come scrive E. Baugh
The metaphor of madness or psychosis may be read as a paradigm for the preoccupation with dividedness of one kind or another, whether personal or cultural or social which has energized so much of Caribbean literature – a concern with states of loss, exile, alienation , fragmentation ....529
L'assenza di una cronologia della vicenda data dalla natura della rappresentazione dell'inconscio e delle fasi oniriche dei personaggi coinvolti, regalano al testo una qualità poetica. Il linguaggio poetico -- in senso lirico ma anche epico -- è spesso a-temporale, presupponendo la riflessione e l'elaborazione di un messaggio sulla condizione e l'interiorità umana. L'universalità del linguaggio poetico è tradotto nel testo teatrale grazie alla negazione della dimensione temporale. Il flashback, l'ellissi così come anche l'analessi sono elementi ricorrenti nel teatro di Walcott, soprattutto in opere più recenti come The Last Carnival e Remembrance, incentrate sull'esplorazione del ricordo e dell'incontro/scontro culturale. Tuttavia, Dream on Monkey Mountain già sfrutta questa strategia.La struttura stessa del testo, costruita sul ribaltamento della cronologia gli effetti surreali, e le variazioni linguistiche conferiscono -- come vuole lo stesso autore vuole affremare -- un'intensa relazione con la poesia.
La poeticità dell'opera è quindi riscontrabile nella qualità metaforica, oltre che nelle caratteristiche fisiche e visuali, che aiuta l'autore, come in poesia, a prendere distanza dal mondo che ha assimilato, come dalle radici tribali e africane, per aprirsi un suo spazio creativo. Il testo presenta infatti diverse occasioni in cui l'autore rivoluziona l'uso di un codice scenico in senso metaforico. Partendo dal presupposto che è il corpo a conferire la qualità poetica dell'opera e non tanto la lingua, soffermiamoci sulla rappresentazione “sovversiva” del corpo mascherato di Makak. Teoricamente, secondo anche quanto afferma Fanon, l'uomo nero caraibico si maschera da uomo bianco per ovviare alla nevrosi che lo caratterizza. Il sogno stesso rivela un mascheramento del suo comportamento sociale, liberando il suo vero io e i suoi desideri inconsci inattuabili nella società. In base a ciò, ci si aspetterebbe ad un certo punto, di osservare Makak indossare quella maschera bianca che si trova al suo fianco sul pavimento all'inizio della scena I, corrispondente all'inizio del sogno;oppure in piena fuga africana, quando Makak ammette l'inconsistenza del suo atto di ribellione e di tensione verso il bianco, la maschera è tenuta in mano e non indossata.
Come osserva C. Balme, se in Ti- Jean, la maschera manteneva uno scopo denotativo, non psicologico, nell'evidenziare l'identità del diavolo e allo stesso tempo la malvagità del colonizzatore, in Dream la maschera ha una funzione metaforica e si trasforma in un vero e proprio totem per lo stesso
personaggio, 530in quanto assume sia il valore di simbolo spirituale conferito dall'apparizione e dalla
somiglianza con le maschere africane. E' inoltre, come afferma direttamente lo stesso Moustique nella
528Derek Walcott Dream on Monkey Mountain, op. cit. p. 277. 529Edward Baugh, Derek Walcott, op. cit. p. 87.
scena del mercato la metafora dell'alienazione del nero che vuole essere bianco in base a quanto già ampiamente riportato. MOUSTIQUE
(...) All I have is this (Shows the mask), black faces, white masks! 531
Balme sottolinea inoltre che l'uso della maschera in quest'opera si pone in uno spazio liminale di associazioni culturali caraibiche e occidentali, tra l'essere un simulacro delle tradizioni tribali africane e allusivo a interpretazione di tipo psicologico in cui emerge il concetto di falsa identità. Si tratta di concetti già in parte trattati e che comunque rientrano nell'analisi di un teatro sincretico, scopo principale del volume di Balme. Tuttavia è la maschera bianca, con parrucca nera, sul corpo di Makak che per Walcott non può funzionare e non può essere accettata. La metafora trasgressiva , sovversiva e quindi anche poetica in quanto carica di forza connotativa, è data appunto dal fatto che Makak non la indossa perché non la può indossare. Non solo perché si tratta di un sogno , ma per il motivo che se l'uomo nero – come ci insegna anche Olanyan, in base a quanto scritto nel primo capitolo – nella tradizione era un blackface ministrel, impersonato da un bianco mascherato, l'attore nero non può mascherarsi da bianco. Se il corpo del nero deve essere un nuovo segno nella comunicazione del teatro di Walcott, non può ripercorrere lo stesso schema e quindi lo stesso errore del teatro del passato. Se Dream on Monkey Mountain è un'opera di teatro poetica, significa ristabilire attraverso il segno poetico dell'opera – il corpo – il suo ruolo e il suo significato comunicativo. Presupponendo l'importanza della fisicità del segno e l'importanza data all'espressione delle passioni attraverso il corpo, come scrive Paolo Fabbri, ne La svolta semiotica, si può capire che è proprio agendo sul corpo come segno comunicativo che si attua la realizzazione di un nuovo sistema concettuale. Interessante è segnalare che nel volume citato, Fabbri riconosce un'"intima relazione" tra i “ritmi del corpo” e il “metro della poesia”532, aprendo la via alle nostre considerazioni a proposito della gestualità, il
movimento danzato ravvisabili in Dream e la sua qualità poetica. Se è possibile per Fabbri ipotizzare
una “semiotica soprappensiero”533, in cui si propongono nuovi modelli di analisi adeguati e aperti,
allora è anche possibile pensare di adottare questo approccio per un'opera in cui il corpo si esprime come la metafora poetica, creando una nuova nozione del segno di corpo colonizzato, inteso ora come libero dalle proprie ossessioni razziali e libero di scegliere di non indossare una maschera bianca per non essere sé stesso.
A questo punto affermare che il teatro di Walcott crea un nuovo spazio comunicativo e culturale non è più solo una teoria ma una pratica che verrà consolidata nelle opere successive. E' un teatro di assimilazione che rivitalizza il passato, secondo anche quanto afferma Peter Brook, lasciando sempre una “porta aperta”: è un teatro del dialogo e dell'incontro che si offre come autoanalisi, come terapia per dimostrare al proprio pubblico i pericoli dell'alienazione causata dal sentimento d'inferiorità razziale, e al pubblico internazionale la consapevolezza di tutto ciò e la presa di distanza dalle tensioni e rivendicazioni dei neri sui bianchi. In questo modo, nel “terzo” spazio rappresentato dalla scena walcottiana il corpo del nero diventa sé stesso, rinato e rimodellato nella sua vera identità ibrida e schizofrenica che deve accettare, senza indossare un'altra maschera; esso è il segno tangibile dello spazio di articolazione di nuovi concetti e metafore all'insegna dell'incontro. D'ora in poi in questo nuovo spazio non si muoveranno solo gli eroi e gli anti-eroi delle isole, gli uomini caraibici, ma con loro interagiranno altri personaggi proveniente da luoghi, spazi e tempi diversi.
531 Derek Walcott Dream on Monkey Mountain, op. cit. p. 271. 532Paolo Fabbri La svolta semiotica, op. cit. p. 79.
Capitolo Quarto