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Teatro postcoloniale e teatro caraibico

Il teatro in Derek Walcott

2.1 Teatro postcoloniale e teatro caraibico

Nel primo capitolo si è cercato di dare ampio spazio ad un possibile rapporto tra gli aspetti semiotici del teatro -- sia per quanto riguarda la stesura testuale sia per la parte performativa -- e quelli definiti postcoloniali. In questo secondo capitolo lo scopo è quello di addentrarsi maggiormente nell’universo walcottiano del teatro, considerando da una parte ciò che lo stesso autore ha scritto, sul suo modo di concepire e di fare teatro, dall’altra, esaminando l’apparato critico dei più importanti studiosi che hanno analizzato la sua produzione drammatica.

Questo capitolo avrà anche lo scopo di mettere in luce le influenze letterarie e sceniche più significative che sono confluite nel teatro dell’autore caraibico senza tralasciare tuttavia un breve excursus sulla tradizione teatrale già presente nella terra di Walcott. In pratica il capitolo si configura ancora in una linea piuttosto teorica prima di affrontate l’approccio diretto con i testi per cercare di analizzare il contesto culturale, letterario e di recitazione, in cui Walcott ha sviluppato il proprio teatro. Il capitolo si concluderà con la presentazione dell’esperienza pratica di Walcott a Trinidad, come direttore del Trinidad Theatre Workshop, per chiarire come l’autore sia stato coinvolto nella creazione di un teatro in senso totale, a partire dal testo per giungere a curare la maggior parte di tutti gli aspetti legati alo spettacolo.

La fondazione del teatro di Walcott a Trinidad coinvolge un integrazione di elementi che vanno al di là della semplice composizione di un testo drammatico. Come già ampiamente riportato nel primo capitolo l’opera teatrale di Walcott sia da un punto di vista testuale che scenico sia inserisce nel contesto postcoloniale.

Si è cercato di dimostrare come il teatro nato nelle ex-colonie possa aprire un nuovo spazio discorsivo e di rappresentazioni, sviluppandosi su molteplici influenze testuali, ibridazioni linguistiche e performative. Considerando la specificità letteraria del testo teatrale postcoloniale, in particolare legata alla rivisitazione della storia, alla creazione di uno spazio identitario e all'originalità linguistica data dalla particolare variante dell'inglese proposta, si è cercato di affermare che tale testo unitamente alla rappresentazione, porta alla delimitazione di un nuovo spazio culturale che, spesso, potrebbe anche coincidere con quello invocato dai maestri dell'arte teatrale come Patrice Pavis e Peter Brook. Spesso lo spazio culturale postcoloniale si articola nella voce e nella volontà dei suoi artisti di “narrativizzare” le proprie esperienze attraverso il teatro, come se le esperienze sociali, politiche e culturali trovassero maggiore “ascolto”, da parte del pubblico, nella creazione di storie emblematiche diffuse attraverso la comunicazione teatrale. Secondo questa considerazione, nell'ambito postcoloniale, il teatro apparirebbe come lo strumento comunicativo di maggiore impatto presso il pubblico, data la sua immediatezza e data la sua possibilità di rendere visibili le storie quotidiane di personaggi identificabili con la gente del pubblico, ma anche quelle “storie” celate dalla storiografia ufficiale.

A questo punto risulterebbero utili oltre che doverose almeno due ulteriori riflessioni. La prima riguarda la ragione della scelta di Walcott di fondare un teatro a Trinidad. Oltre a possibili ragioni personali, è importante sottolineare, a tal proposito, quanto hanno scritto Maria Pia De Angelis, Cristina Fiallega e Carla Fratta a proposito della ricettività culturale dell'isola di Trinidad, particolarmente legata a ragioni "geostorioche":

(...) isola fra le più interessanti e ricche culturalmente, anche in virtù di una composizione etnica che non trova riscontro nell'arcipelago; solo qui vi è infatti una popolazione di origine indiana pari a quella di origine africana (...) La mentalità di Trinidad è aperta, cosmopolita, (...) e non solo per il coacervo di etnie e religioni che ha visto l'apporto di cinesi e medio- orientali, ma perché la sua posizione geografica ne ha precluso l'isolamento.176

Si tratta ovviamente di una questione su cui sarebbe opportuno riflettere più intensamente, anche alla luce del materiale biografico relativo al Derek Walcott; tuttavia la scelta di fondare un teatro a Trinidad deriva probabilmente dalla consapevolezza di doversi confrontare con un pubblico culturalmente ricettivo e pronto a recepire le implicazioni di un teatro complesso come quello in esame. Non solo, quindi, l'esigenza dell'autore è stata dettata dall'intento di creare un teatro nazionale e caraibico, ma anche di inserirlo in un ambiente fortemente multiculturale.

L'altro aspetto, degno di riflessione, considerando le specificità del teatro postcoloniale e caraibico, riguarda il termine "postcoloniale". Pur accettando l'ambiguità e la “pericolosità” del termine, che come qualsiasi etichetta tende ad accomunare entità che spesso mostrano le più disparate differenze, (rifacendosi anche all'approccio critico di Salman Rushdie177) il termine ha una valenza specifica

nell'indicare tutte quelle aeree e popolazioni che, storicamente, hanno subito la dominazione da parte di un potenza straniera. Assimilati alla madrepatria o condannati a fungere da galera o da fornitore di materie prime, le colonie hanno, sempre e comunque, anche se in gradi diversi, occupato una posizione subalterna rispetto alle potenze dominatrici dell'Europa. Il termine postcoloniale delinea quindi questa precedente condizione di inferiorità e di dipendenza economica oltre che culturale. Nel 1993, T. Olaniyan osservò come la definizione “postcolonial” contribuiva a delimitare la condizione dei paesi del “terzo mondo”, continuando almeno linguisticamente, ma anche culturalmente, a divulgare l'idea di culture “altre”, “diverse”,”non ufficiali”.178 Come è possibile continuare a guardare a questi spazi

culturali come distanti e diversi quando si proclama la fine dell'eurocentrismo nell'era della globalizzazione? Se non altro da un punto di vista semplicemente culturale -- e non certo economico -- si può parlare di World Literature, come scrive S. Albertazzi in Lo sguardo dell'altro e dimenticare il termine postcoloniale se non per indicare uno spazio culturale ibrid, come è il caso di Trinidad o altre isole dei Caraibi, non più marginale ma incredibilmente fecondo; uno spazio in cui si moltiplicano le relazioni e in cui si generano nuove prospettive culturali:

Caduti i valori universali, i modelli assoluti della classe media intellettuale europea, crollati i centri, allo scrittore, ritrovatosi finalmente eccentrico suo malgrado in un orizzonte di sole periferie, non resta che cercare di esprimere, una volta di più “un mondo nuovo in procinto di crearsi” (...)179

Nello spazio postcoloniale la dicotomia tra periferico e centrale potrebbe addirittura apparire superata per cercare di aprirsi ad una visione che raccoglie una realtà culturalmente transnazionale. A tal proposito pare lecita la domanda di Olaniyan:

How could such a vast transhistorical, trans-spatial haul (the history of the Empire and its aftermath) be reinforced fully under a precise , historically specific nomenclature (post-colonial)?180

176Maria Pia De Angelis, Cristina Fiallega e Carla Fratta , I Caraibi:la cultura contemporanea, Carocci, Roma, 2003, p. 59.

177Salman Rushdie " Commonwealth literature does not exist" in Imaginary Homelands, essays and criticism 1981- 1991.Granta Books, Penguin Books, 1991. p. 61-70.

178Tejumola Olaniyan, “On Post-Colonial Discourse, An Introduction”, Calalloo (1993), 743-749. 179Silvia Albertazzi Lo Sguardo dell'altro,op. cit., p. 168.

Il problema rimane secondo Olaniyan nella definizione di una polarizzazione: da un parte la definizione e la circoscrizione di letterature postcoloniali e dall'altra quelle della tradizione occidentale. Citando lo scrittore keniano Ngugi wa Thiong'O, Olaniyan, infierisce sulla pericolosità del termine il quale non fa altro che rafforzare un rapporto di dipendenza tra le ex-colonie e la vecchia madrepatria creando nuove e più subdole forme di imperialismo.181

La specificità storica e la reale condizione tra ex-colonie e Occidente configura una realtà sempre diversa, che può addirittura superare e modificare questa dibattuta dicotomia. Lo spazio postcoloniale rappresenta l'ampiezza di una letteratura mondiale che può e deve mettere in discussione l'antico per aprirsi al nuovo, uno spazio fatto di ri-modulazione del passato in nuove realtà storiche e territoriali, uno spazio in cui rientra anche il teatro di Derek Walcott allineandosi a quanto afferma Olaniyan: It is a space upon which new kinds of demands will be made by a world in the throes of reconfiguration, from South Africa to the Middle East, the break up of the Soviet Union and the unification of Europe....182

Accettando l'ambiguità del termine, postcoloniale, per parlare della produzione drammatica di Derek Walcott, appare evidente la complessità di definire la postcolonialità e la possibilità che tale definizione possa essere superata in un ambito di creazione di identità ibride, transnazionali, diasporiche e allo stesso tempo legate al luogo d'origine. Il concetto d'identità che ne deriva è transitorio e multiforme, tale da opporsi a schemi rigidi, fissi, circoscritti in opposizioni e dicotomie.

Questo approccio -- cioè la riflessione sulla dibattuta questione postcoloniale in ambito teatrale -- caratterizza anche lo studio presentato nel volume Post-colonial, Theory, Practice, Politics, di Helen Gilbert e Joanne Tompkins. Le autrici riflettono sul termine “post-colonial” in un ambito complesso come quello teatrale, dal momento che il forte e immediato impatto dell'opera sul pubblico e le conseguenti implicazioni politiche e sociali rendono il fatto teatrale un'esperienza che coinvolge una pluralità di elementi che spaziano dall'arte alla politica. Il teatro postcoloniale costringe pertanto a prendere in maggiore considerazione la funzione “pubblica” dell'arte oltre che quella intrinsecamente artistica. L'intento di Walcott sarà anche -- in parte, come anticipato -- quello di trasmettere il valore politico dell'arte. Ciò non presuppone lo sviluppo di tematiche apertamente politiche e sociali, bensì la formulazione di una visione basata sulla convinzione che l'arte, in quanto tale, può produrre profondi cambiamenti. Quella di Walcott è una rivoluzione artistica e culturale che presuppone, a lungo termine, un mutamento radicale nella visione della storia e dell'identità culturale.

Scrivono Gilbert e Tompkins:

Within its specific agenda, post-colonialism's effects can be wide-ranging. Post-colonial literature is, (...) “a form of cultural criticism and cultural critique”(...) Post-colonial theatre's capacity to intervene publicly in social organisation and to critique political structures can be more extensive than the relatively isolated circumstances of written narrative and poetry;183l

La linea d'indagine proposta da Gilbert e Tompkins si avvicina all'analisi di Christopher Balme a proposito di un teatro postcoloniale sincretico, presupponendone l'ibridismo e la contaminazione di forme stilistiche e rappresentative. La differenza tra i due approcci è che, se Balme da un lato intravede la potenzialità del teatro sincretico postcoloniale come una forma rigenerante all'interno della pratica

181Ibid. p. 745. 182Ibid. p. 748.

discorsiva drammatica, Gilbert e Tompkins enfatizzano il rapporto -- positivo o negativo -- con il passato coloniale evidenziando le diverse soluzioni “politiche” sviluppate dal teatro delle ex colonie. Entrambi gli approcci creano una profonda relazione tra il teatro come strumento comunicativo e la realtà postcoloniale. Uno è finalizzato alla scoperta di una semiotica interculturale che si attualizzi nel teatro postcoloniale, mentre il secondo riflette sui risultati i linguistici e contenutistici da cui si sviluppano particolari forme di rappresentazione. Restano significativi gli aspetti derivanti dalla tendenza al “decentramento” del canone, che caratterizzano lo spazio del teatro postcoloniale, come la rivisitazione di testi classici (ad esempio in Walcott, The Joker of Seville, Pantomime); la contestualizzazione del rituale e del carnevale (The Last Carnival, Drums and Colours); il recupero della storia e la formulazione di nuove visioni storiche incentrate sul rapporto margine-centro: elementi che saranno inclusi nell'analisi dei testi drammatici di Derek Walcott.

Dal postcoloniale al caraibico lo spazio confluisce in una zona complicata, piena d luci e ombre resa ancora più ibrida e mescolata dalla natura stessa delle isole delle Indie Occidentali, la cui letteratura si configura secondo coordinate che sono difficilmente riscontrabili in altre letterature postcoloniali. Scrive Maria Antonietta Saracino:

E' un luogo abitato da vibrazioni sonore, da armonie che si intrecciano alle parole per creare melodie e ritmi mai uditi prima di allora. Ed è proprio da questi ritmi, rumori e melodie(...) che a me sembra giusto partire, poiché proprio la sonorità, la vocalità il ritmo costituiscono il patrimonio indiscusso di una produzione culturale assai ampia e variegata. 184

Non solo nelle parole di Saracino si intuisce il profondo legame tra la conformazione culturale caraibica e le caratteristiche, che scopriremo, tipiche dell'arte drammatica di Walcott (melodie, sonorità e vocalità), ma in esse si legge la particolarità culturale dei Caraibi, unica e, contemporaneamente, multiforme. Da questo panorama fatto di molteplicità etniche e di incontri culturali, l'autrice riflette sul dissidio dell'artistica caraibico, costretto a germogliare una letteratura "autenticamente propria" in un contesto modulato su modelli canonici della tradizione letteraria europea. 185

Il conflitto è da ricercarsi nella storia e nella conformazione geografica delle Antille che hanno rilasciato una molteplicità di identità culturali e linguistiche, tale da creare una letteratura “poliritmica”. Questo tipo di definizione è rintracciabile nell'analisi di David P. Lichtenstein, della Brown University, realizzatore di un sito web dedicato alla letteratura caraibica, curato da George P. Landow. Coadiuvato dal linguista, Richard Allsopp, Lichtenstein rileva il carattere ritmico di una letteratura che nasce dalla fusione e dall'amplificazione di elementi originati in altre culture. Secondo l'autore, gli scrittori dei Caraibi hanno amplificato caratteristiche letterarie pre-esistenti, creando una forma nuova basata sulla fusione e sull'armonia di ciò che è apparentemente discorde e differente. L'accostamento tra tradizioni religiose africane e cattoliche, ad esempio, e l'influenza delle culture hindu e cinese hanno creato un magma culturale che si riflette nella creazione, non solo di varianti linguistiche, ma anche in una volontà di mostrare nel testo tutte le sfaccettature di una cultura multiforme.186 L'esempio riportato da

Lichtenstein è ancora Walcott, Pantomime, che non solo accosta la prospettiva del colonizzato con quello del colonizzatore mettendole sullo stesso piano (anche in un senso propriamente spaziale, il

184Maria Antonietta Saracino La letteratura anglo-caraibica in Agostino Lombardo ( a cura di ) Le orme di Prospero, La

Nuova Italia Scientifica, Roma, 1995, p. 115.

185Ibid. p. 117.

186David O. Lichtenstein Polyrhythm and the Caribbean in

palcoscenico), ma fonde la letteratura classica, Robinson Crusoe con diverse problematiche sociali e artistiche, relative sia alla realtà caraibica che a quella postcoloniale.

Anche il teatro di Derek Walcott si colloca nell'ottica del concetto di fusione, di armonizzazione e di "poliritmo", attualizzando in maniera persistente le caratteristiche di una letteratura modulata sul suono, sull'oralità e sull'accostamento di ritmi diversi che riflettono la realtà della cultura caraibica. In molte sue opere, anche di poesia, l'autore mostra consapevolmente il carattere ibrido e creolizzato del contesto in cui la sua opera si sviluppa. In Tiepolo's Hound, lungo poema sulla vita di Camille Pissarro, la cultura caraibica è resa attraverso una nuova metafora: un cane bastardo, ovvero immagine

riconducibile all'idea di “mongrelismo” culturale, individuata da Edward Baugh187.

The mongrel is the Caribbean people and culture (...) seen under the contemptuous gaze of history.188

Nell'ultimo poema The Prodigal, il ritorno del poeta verso la sua isola è concepito come l'ultima tappa di un viaggio infinito in uno spazio di visioni frammentate tra Europa Stati Uniti, Sudamerica e Caraibi, riunite dallo sguardo del poeta che, tornando verso St. Lucia, nell'immagine del mare dei Caraibi concepisce la fusione, intesa come il “blending”189 di luoghi e culture. In questo senso l'opera di

Walcott si colloca perfettamente nella definizione di creolità elaborata da Chamoiseaux e Confiant nell'opera L'eloge de la creolité del 1989.190 L'analisi della cultura e letteratura caraibica ha come punto

di partenza le idee di Glissant presentate in Le discours antillais, dove l'autore sottolinea che le vicende storiche del popolazioni dei Caraibi legate alla schiavitù e allo sradicamento territoriale hanno condizionato la formazione di un'identità che supera il concetto di "razza" ricercando una specificità identitaria modulata sull'appartenenza all'arcipelago delle Antille in senso territoriale e storico.191

Analogamente in Poétique de la Relation, Glissant aveva evidenziato come i fattori storici avessero contribuito alla creazione di una generazione di migranti, la cui identità è fortemente modulata da un'esistenza diasporica e creolizzata.192 Gli autori di L'eloge de la creolité superano addirittura questa

visione per elaborare nuovi concetti culturali e linguistici basati sulla distruzione di falsi valori universali, di purezza e incentrati su anacronistiche visioni monolinguistiche, definendo così i molteplici fattori che hanno portato alla creazione di una cultura sincretica e creolizzata.193 L'elemento

caraibico di Walcott è dato da questa naturale tendenza a concepire il proprio background come disunito e frammentato, portandolo a cercare possibilità di fusione e di armonizzazione attraverso una continua relazione, (de)costruendo un'identità perennemente messa in discussione. Lo spazio di questa identità di relazione, che è in un certo senso l'anima del caraibico, è rintracciabile nel teatro di Walcott,

187E. Baugh Derek Walcott, Cambridge University Press, 2006, pp. 209-221 188Ibid. p. 220

189Derek Walcott, The Prodigal, Farrar, Straus and Giroux, New York, 2004. p. 79 (and are both places blent?/ Blent into

this, whatever this thing is)

190 Jean Bernabé, Patrick Chamoiseau, Raphaël Confiant Eloge de la Créolité , édition bilingue français/anglais, Gallimard,

Parigi,1993

191 Edouard Glissant, Le Discours antillais. (1981) Gallimard, Parigi. 1997. 192Edouard Glissant Poétique de la Relation, Gallimard, Parigi, 1990.

193 Jean Bernabé, Patrick Chamoiseau, Raphaël Confiant Eloge de la Créolité ( édition bilingue français/anglais), Paris,

il quale appare come il modo per ricomporre i frantumi, le schegge di un identità spezzata, come ha egli stesso espresso in maniera significativa nel discorso tenuto in occasione del conferimento premio Nobel, “The Antilles: Fragments of Epic Memory”.

Deprived of their original language, the captured and indentured tribes create their own, accreting and secreting fragments of an old, epic vocabulary, from Asia and from Africa, but to an ancestral, an ecstatic rhythm (...) But this process of renaming, of finding new metaphors, is the same process that the poet faces every morning of his working day, making his own tools like Crusoe, assembling nouns from necessity(...)That is the basis of the Antillean experience, this shipwreck of fragments, these echoes, these shards of a huge tribal vocabulary, these partially remembered customs, and they are not decayed but strong. (...) And here they are, all in a single Caribbean city, Port of Spain, the sum of history, Trollope's “non-people”. A downtown babel of shops signs and streets, mongrelized, polyglot, a ferment without history, like heaven. Because that is what a city is, in the New World, a writer's heaven. 194

Riconoscendo la natura frammentata e ibrida della realtà e della cultura caraibica, Walcott concepisce il compito del poeta (e dell'artista in generale) come quello finalizzato a ricomporre gli antichi frammenti attraverso il suo linguaggio artistico. La creolizzazione della letteratura e del teatro si genera dall'ibridismo linguistico e dalla storia negata e sommersa delle Antille. La variegata cultura letteraria di queste terre sprigiona una forza che supera i confini territoriali delle isole. Come scrive George Lamming in Concepts of the Caribbean non esiste solo uno spazio dei Caraibi definito dalle isole, ma there is a Caribbean Amsterdam, Paris, London and Birmingham; in New York and in other parts of North America. These centres comprise what I call the external frontier(...)195

La scelta di questa citazione potrebbe apparire fuori luogo in quanto in questa tesi si parla di un autore che -- a differenza di altri come lo stesso Lamming, o V.S.Naipaul -- non ha mai lasciato in maniera definitiva la propria isola, nonostante viva tra i Caraibi e New York. Eppure la qualità diasporica della letteratura caraibica, e vi possiamo includere anche l'opera di Derek Walcott, è un marchio indelebile. Anche in una poetica fortemente radicata nella realtà dei Tropici, e in continua tensione verso il ritorno nella propria terra come nella poesia e nel teatro di Walcott, le tracce di un'identità diasporica restano evidenti, creando un'alternanza plurima di toni linguistici, di ritmi di narrazione e di scelte di contenuti. Alison Donnell, autrice del volume Twentieth Century Caribbean Literature, rileva infatti, che a partire dalla metà del secolo scorso si sviluppa una letteratura propria dei Caraibi, soprattutto in Jamaica caratterizzata principalmente da due punti di forza: la ricerca di un'identità propria incentrata sulla possibilità di ri-nominare il paesaggio e l'ambiente circostante attraverso la lingua, e dall'altra la stessa