Il teatro in Derek Walcott
2.2 La genesi del teatro di Walcott: “What The Twilight Says” e “Meanings”
La pubblicazione di quello che potrebbe essere considerato il manifesto della visione del teatro di Derek Walcott avviene nel volume pubblicato nel 1970 da Farrar, Straus e Giroux a New York. Il saggio, diviso in otto sezioni, sviluppa le idee di Walcott sul teatro e sulla rappresentazione scenica, intercalandole con citazioni di diversi autori da Beckett, a Yeats, da Hemingway a,Genet, aggiungendovi Artaud e Naipaul. Mostrandosi aperto e ricettivo a molteplici influenze, l'autore rivela al lettore le interessanti riflessioni che riguardano il “suo” - ma non solo - teatro. Questa “confessione”, Walcott la realizza nello stesso volume di pubblicazione di una delle sue opere maggiori Dream On Mounkey Mountain, (assieme ad altre ormai molto famose e note a lettori e critici, come Ti- Jean and His Brothers), quasi avesse voluto, in un momento cruciale e fecondo della propria carriera di scrittore di opere drammatiche, definire -- anche in maniera teorica -- l'origine dei contenuti e delle scelte performative dei suoi plays.
Il saggio come mostra il titolo completo è un'”overture”( termine che indica l'introduzione di un'opera musicale) e rappresenta la fonte più diretta e tangibile, non solo per scoprire i testi e la loro lingua, ma anche per tentare di immaginare le rappresentazioni degli spettacoli walcottiani.
Una citazione di Beckett, tratta da Waiting for Godot, funge da frontespizio della prima parte. L'attesa sottintesa nel riferimento all'opera di Beckett è quella che coinvolge un teatro che nasce in un'isola tropicale, che a differenza dell'assente Godot, mostra in maniera concreta la propria presenza. L'idea della luce crepuscolare pervade l'inizio della riflessione di Walcott, e si rende metafora di un ambiente caratterizzato da una luminosità forte e vibrante, ma anche quello dove si alzano e permangono ombre e oscurità. La povertà e la sofferenza dell'isola caraibica è una traccia tangibile, non causata solo dal vuoto lasciato dallo sfruttamento dell'impero coloniale, ma anche dalla consapevolezza di appartenere ad una cultura doppia, “schizofrenica”, ibrida, dove la propria identità si perde nel riconoscimento di essere sempre altro da sé. Ed è proprio per questa matrice doppia e per questo essere proiettato verso l'”altro”, che Walcott intravede nella propria cultura il terreno fertile per la nascita e lo sviluppo di un teatro nuovo.
Deprivation is made lyrical, and twilight, with the patience of alchemy, almost transmutes despair into virtue. In the tropics nothing is lovelier than the allotments of the poor, no theatre is as vivid, voluble and cheap.213
Walcott riconosce proprio nell'indigenza, nella mancanza di mezzi e strutture delle isole dei Caraibi, il punto di partenza del suo teatro. La lingua delle isole, così come la loro cultura, si presenta ambivalente; Walcott parla di una lingua che gli isolani “non riuscivano a parlare”,214 riferendosi
all'inglese standard, quello corretto e studiato nei testi scolastici che molti caraibici non potevano padroneggiare, essendo abituati ad una lingua inglese più locale, un english, mescolato al francese, come il patois di St. Lucia. Ma è propria questa lingua “da strada” fatta di
racous chaos of curses, gossip and laughter215,
che affascina l'autore, proprio perché è esposta, quasi recitata in pubblico, accentuandone la matrice performativa e liminale, frutto di una realtà transanazionale, come è stata individuata da Bhabha. Accanto a questa voce "teatrale" che vivifica l'ambiente caraibico, ne riaffiora, sempre ed
213Derek Walcott “What the Twilight Says” in Dream on Monkey Mountain and Other Plays” Farrar, Straus and Giroux,
New York 1970. pp. 3-4.
214Ibid. p. 4 215Ibid. p.4
inesorabilmente, una seconda: una “inner voice” che Walcott descrive come la metafora della
scomparsa dell'impero coloniale e dell'inizio dell'incertezza e del dubbio.216 Sembrerebbe quasi un
rimpianto verso la solidità economica e culturale garantita dalla Gran Bretagna; spesso infatti, come nella poesia Ruins of A Great House, Walcott sembra quasi amareggiato dalla decadenza prodotta dall'abbandono della madrepatria delle sue colonie. Non c'è assolutamente niente di falso in tutto questo: Walcott è tanto inglese quanto caraibico; il padre era un funzionario del governo britannico. Scomparve quando lo scrittore era bambino e rappresenta parte e motivo dell'intenso legame con le tradizioni inglesi. L'ambivalenza di Walcott nasce quindi da questa simultaneità tra cultura ufficiale, tradizionalmente europea e cultura di strada, assorbita tra la gente della sua isola:
In that simple schizophrenic boyhood one could lead two lives: the interior life of poetry, the outward life of action and dialect.217
Non stupisce il fatto che da subito il giovane Walcott abbia concepito un teatro generato da questa continua dinamica che egli stesso definisce schizofrenica, modulata su aspetti che solo all'apparenza sono discordanti. Infatti, attraverso la sua “alchemia”, simbolo della magia della sua arte, è riuscito ad armonizzare elementi distanti, e appartenenti a diverse culture e tradizioni.
Secondo Walcott, esiste tra la gente dei Caraibi e nei loro insediamenti una predisposizione quasi naturale alla rappresentazione teatrale. L'oscurità di un passato costruito sulla schiavitù, la subordinazione e la povertà non hanno, secondo lo scrittore, deprivato la popolazione del potenziale artistico in maniera perentoria. Al contrario è propria da questa assenza e da questa oscurità che si articola la voce dell'attore. Il punto di partenza della rappresentazione è infatti, il palcoscenico buio, dal quale gli occhi dello spettatore attendono il movimento e il suono delle parole di un corpo umano che sdoppiandosi interpreta un ruolo. Tutto questo è secondo Walcott già presente nel quotidiano caraibico, dove l'uomo è costretto a partire da un nulla storico e culturale (il buio del palcoscenico prima che diventi luogo della rappresentazione), dove è stato costantemente obbligato a sdoppiarsi in un “altro” attraverso il continuo confronto con la cultura dominante. Questa tendenza schizofrenica che rende la personalità dell'uomo dei Caraibi un “doppio”, rappresenterà il nucleo tematico dell'opera Dream on Monkey Mountain, partendo dal riferimento all'analisi di Franz Fanon dell'interazione tra bianchi e neri nelle colonie. La schizofrenia culturale e identitaria può essere considerata un elemento caratterizzante l'identità delle popolazione delle Indie Occidentali e, come tale, definirsi come traccia culturale e comportamentale a livello individuale. Secondo Walcott, questo particolare modo di essere si rapporta all'attività dell'attore, essendo professionalmente chiamato ad interpretare, a dividersi tra diversi ruoli. L'attore, definito dall'autore il “doppelgänger”, proprio per sottolineare l'inquietante natura del “doppio” in senso quasi freudiano, è, nella sua nobile funzione, colui che ha accettato questa luce crepuscolare – metafora della doppiezza e dell'ambiguità della cultura – proprio per registrare attraverso la parola recitata la sofferenza della sua razza. Scrive Walcott:
...the actor (...) a doppelgänger released from his environment and his race. Their simplicity is really ambition. (...) The noblest are those who are trapped, who have accepted the twilight.
If I see these as heroes it is because they have kept the sacred urge of actors everywhere: to record the anguish of the race
218.
216Ibid.p. 4 217Ibid p. 4 218Ibid. p. 5.
Appare chiaro che Walcott attribuisce quasi una funzione sacrale alla recitazione. L'attore infatti è investito di un ruolo mistico, in quanto attraverso la performance realizza l'unione culturale tra sé il suo ambiente, il suo popolo e la sua storia. E' per Walcott un percorso sempre abbastanza lacerato, in quanto non esiste per l'uomo caraibico una tradizione storica, bensì ancora un'oscurità che giunge all'amnesia. Il concetto di storia come amnesia di cui si è accennato anche nel primo capitolo, è un tema ricorrente nella poetica walcottiana. Nel saggio “The Muse of History”si legge: In time the slave surrendered to amnesia. That amnesia is the true history of the New World.219
Basandosi su quanto scritto da Walcott, il percorso dell'attore comporta una presa di coscienza della sua identità ancestrale e tribale, ripercorrendo le fasi storiche “rimosse” vissute dalle popolazioni rese schiave. Questo ritorno mentale alle origini include la possibilità di dare voce non solo alle vicende della propria gente, ma anche di ristabilire e riscoprire -- attraverso la recitazione -- il proprio io e la sua origine. Il percorso professionale e psicologico dell'attore caraibico si esplica nell'intensità del suo coinvolgimento sia come artista che come individuo appartenente ad una società post-coloniale. Quanto accade a Makak, Jackson, Sheila, Albert Jordan per nominare alcuni personaggi delle opere walcottiane coinvolti in diverse esperienze epifaniche, è quanto accade all'attore, che deve riformulare il proprio metodo di recitazione all'interno dello spazio teatrale creato da Derek Walcott. Non è un caso se tra i personaggi citati, due di loro sono delineati come ”attori”. L'impegno dell'attore nel teatro è cruciale per Walcott, in quanto rappresenta il mezzo necessario per fare riaffiorare le origini di popoli le cui storie, individuali e collettive, sono rimosse e dimenticate. Il suo teatro parte da una viaggio a ritroso nel tempo dove l'attore si maschera non più per diventare un altro da sé ma per recuperare una parte nascosta della sua identità culturale.
Oltre alla capacità quasi innata di diventare un “altro” dell'uomo-attore caraibico, egli, sempre secondo Walcott, deve confrontarsi con una realtà povera e marginale. La mancanza di mezzi e strutture che caratterizzava le isole caraibiche negli anni sessanta e settanta era tale da non permettere anche ai più volenterosi, come il giovane autore, di disporre di fondi per costruire e gestire teatri all'avanguardia e moderni. Le sue parole definiscono in modo significativo, l'utilizzo della povertà come impulso all'immaginazione e alla ricchezza linguistica. La nudità -- sinonimo di indigenza -- si rapporta al vuoto dello spazio teatrale, colmato con parole “nuove”, che come per il poeta adamico, lo rinominano e lo rinnovano:
We the actors and poets, would strut like new Adams in a nakedness where stage, costumes, dimmers and all the dirty devices of the theatre were unnecessary and inaccessible. Poverty seemed a gift to the imagination, (...)220
La scarsezza si mezzi non è percepita come un deterrente alla creazione, artistica; è proprio l'assenza di costose scenografie e costumi che favorisce la creazione di un linguaggio ricco che a sua volta si amplifica di significati più intensamente pregnanti attraverso la recitazione.
La povertà -- immagine ripresa più volte all'inizio del saggio -- è quindi la spinta decisiva alla creazione artistica. Come Robinson Crusoe o Adamo, il poeta e lo scrittore caraibico avvertono la necessità di ri- nominare una realtà nuova. Ben noti infatti sono nella poetica walcottiana sia il mito di Crusoe, manipolato dallo stesso autore come alter ego dello scrittore che, trovandosi solo su un'isola deserta “conquista” il suo spazio naturale attraverso la parola, creando nuove metafore e abbandonando le
219Derek Walcott “The Muse of History”, op. cit. p. 40. 220Derek Walcott “What the Twilight Says”” op. cit. p. 7.
vecchie.221 La creazione poetica consiste per Walcott nella creazione di un linguaggio che comunica la
progressiva conquista del proprio spazio, sia esso quello caraibico sia quello di altri continenti. La creazione artistica dei testi drammatici parte da questo presupposto, anche se lo scopo non è solo quello di esprimere la funzione del poeta in uno spazio culturale che da postcoloniale diventa globalizzato, bensì quello di ridimensionare l'ambiente caraibico in uno spazio ampio, sprovincializzato, inserito nella dimensione dei letteratura mondiale. Se il punto di partenza resta incentrato in questa volontà di conquista attraverso l'atto linguistico, Walcott resiste all'uso del linguaggio come rivendicazione dell'ex-colonizzato nei confronti del colonizzatore. La lingua walcottiana si affida alla sua stessa metafora, titolo del saggio, legandosi ad una conformazione ibrida e obliqua, come può essere la luce crepuscolare. Come essa, è definita da oscurità e luce, e in quanto tale, inafferrabile, spesso indefinibile. Non permette la visione, a volte, ma definisce di nuova luce gli oggetti e i loro contorni. Affascina ma allo stesso tempo può inquietare. Lo spazio di questa luce crepuscolare è quello che per l'autore corrisponde al suo modo di concepire la lingua. In polemica con ogni radicalismo, Walcott sa che non può scindere l'eredità inglese da quelle caraibica, di conseguenza la sua lingua si posizionerà in quell'interstizio che comprende referenti al folklore caraibico e, contemporaneamente, alla tradizione inglese:
Pastoralists of the African revival should know that what is needed is not new names for old things, or old names for old things, but the faith of using the old names anew, so that the mongrel as I am, something prickles in me when I see the word Ashanti as with the word Warwickshire, both separately intimating my grandfathers' roots, both baptising this neither proud nor ashamed bastard, this hybrid, this West Indian. 222
Walcott è consapevole che la realtà delle Antille è già materia "grezza" per i suoi testi teatrali e, spesso, il suo problema non è semplicemente dove rappresentare gli spettacoli, ma in quale lingua scrivere. Considerando quanto sopracitato, il poeta si pone la questione pertanto di quale lingua possa coniugare una realtà che è multipla culturalmente, socialmente e anche linguisticamente. Come già pare abbastanza chiaro la posizione di Walcott riflette un in-betweeness che trova riscontro nell'ibridismo che egli stesso sottolinea. La sua risposta è il blending: un mescolamento o una creolizzazione che fanno confluire in un unico spazio culturale non solo le molteplici influenze e richiami letterari che si ritrovano in Walcott, ma anche diversi codici linguistici o espressivi. Questo concetto del blending è esplicitamente formulato dallo stesso Walcott nell'ultimo poema pubblicato, The Prodigal, dove si legge:
(...)Are both places blent?
Blent into this, whatever this thing is?223
Il termine “blending”, da un punto di vista puramente linguistico, rimanda alla teorie elaborate da Guido Monte nel saggio Per un multilinguismo cosmopolita, apparso nel 2005, un anno dopo la pubblicazione del poema walcottiano. Lo studioso delinea concetti che permettono di individuare nella poesia -- e quindi nella lingua di Walcott -- la possibilità di inserirsi in un panorama ampio, inteso come mondiale e globale, dove le cosiddette “contaminazioni” agiscono sulla lingua nutrendola di tutte le culture del mondo.
Se ammettiamo che alcune idee archetipe siano comuni tra gli abitanti del nostro pianeta, allora è borgesianamente possibile dire che sia stato scritto un unico "Libro", testimonianza dell'originaria e permanente unità culturale del mondo che è
221Derek Walcott The Castaway in Collected Poems 1948 1984, New York, Farrar Straus and Giroux, 1987. 222Derek Walcott “What the Twilight Says” op. cit. p. 10.
l'insieme di tutti i frammenti babelici scritti e pensati dagli uomini che ovunque e da sempre sono alla ricerca della profonda verità profonda delle cose. 224
Interessante è anche notare – a favore dell'ipotesi che il blending linguistico possa coinvolgere l'opera di Derek Walcott – che il riferimento ai “frammenti caotici” di Guido Monte si collega all'immagine creata da Walcott nel discorso-saggio scritto per la cerimonia del Nobel: Fragments of Epic Memory. A questo punto l'analisi comporterebbe implicazioni che esulano dagli intenti presenti, in quanto si addentrerebbe in questioni poetiche e linguistiche, che obbligherebbero a prendere in esame i legami con altri poeti, tra cui Ezra Pound, T.S. Eliot, lo stesso Jorge L. Borges, citato da Monte, e pertanto ci si discosterebbe troppo dall'intento specifico di questa ricerca. Ritornando, tuttavia, al verso della poesia di Walcott, da cui si è generata questa digressione sul concetto di blending, pur restando una questione irrisolta, ma presupponendo che la propria poesia sia il mezzo di congiungimento tra diversi punti spaziale e temporali, Walcott mostra come il suo percorso artistico abbia cercato di armonizzare e di unire ciò che appare -- e che in un primo momento egli stesso avvertiva -- come disunito e frammentato. Nel teatro l'autore trova il mezzo espressivo più idoneo per realizzare il progetto contenuto nell'idea del blending, non solo per ragioni legate alla specificità del genere teatrale e dello spettacolo, dove è possibile unire diversi codici espressivi, ma anche perché Walcott ha creato un vero e proprio teatro creolo. Il suo teatro è una creolizzazione letteraria che nasce dall'accostamento di tradizioni inizialmente molto distanti tra loro sia in senso geografico che storico, come ad esempio in Henry Chritophe, dove Walcott utilizzerà il metro elisabettiano per trattare e rappresentare un episodio significativo della rivoluzione di Haiti; l'opera, anche se in maniera del tutto embrionale, rappresenta il punto di partenza di un'analisi di teatro in termini di semiotica interculturale e sviluppa, in questo modo, uno spazio teatrale in cui simultaneamente convivono codici rappresentativi appartenenti a tradizioni considerate diverse e distanti fino a poco prima della rappresentazione. Il potere del testo di Walcott e delle sue rappresentazioni sarà quello di armonizzare le diversità e di, in parte, annullare le distanze, articolando nuove prospettive e nuove visioni.
Da questa angolazione, Walcott spiega come è nata una delle sue prima tragedie, Henri Christophe. Scritta quando l'autore era giovanissimo, appena diciannovenne, questa tragedia nasce dalla consapevolezza dell'artista che la letteratura caraibica, per avere un'identità propria, deve accettare la propria realtà ibrida e come già ampiamente ribadito, deve sapere usare una lingua vecchia in maniera innovativa. L'opera nasce anche dalla consapevolezza che il caraibico si trova straniero nella propria terra , e deve spesso ri-formulare il proprio mondo attraverso la lingua. Il caraibico vive uno stato di esilio costante, anche nella sua terra:
That is the laceration of our shame. Nor is the land automatically ours because we were made to work it. (...) By all the races as one race, because the soil was stranger under our own feet that under those of our captors. Before us they knew the names of the forests and the changes of the sea, and theirs were the names we used. We began again, with the vigour of curiosity that gave the old names life, that charged an old language, from the depth of suffering, with awe.225
224Guido Monte “Cosmopolitan Multingualism” (traduzione dall'italiano di Liliana Lo Giudice ) in
http://www.nobleworld.biz/images/Guido3.pdf. in Nebula (Journal affiliated with the University of Western Sydney's School of Humanities and Languages) Sidney, 2006. visionato il 4 marzo 2007( If we admit that some archetypal ideas are common among our planet inhabitants, then we can state, in the sense meant by Borges, that just one “Book”has been written, as an evidence of the original and permanent cultural unity of the world and it contains all the chaotic fragments ever thought of and written by people searching for the deep truth of things... )
E' proprio da questo termine, “awe”, timore reverenziale, paura che contiene sgomento e meraviglia, che nasce la parola walcottiana, come se la creazione della parola stessa diventasse quasi un rituale. Per questo il giovane poeta-drammaturgo avvertì la necessità di articolare il suo linguaggio non solo in uno spazio intimo e lirico, come quello di una poesia, che anche quando proiettata in una prospettiva epica, non poteva esprimere la potenza della parola recitata, pronunciata, trasformata da parola scritta sulla pagina a quella articolata su un palcoscenico di fonte alla platea. La recitazione, come articolazione della vendetta e dello sgomento per non essere mai stati padroni nella propria terra, avrebbe, secondo Walcott esorcizzato l'impeto rivoluzionario. L'arte, in questo caso il teatro, attiva una rivoluzione più sottile e forse più forte di quella dettata dalla violenza: il ribaltamento di una prospettiva culturale. A ragione scrive:
The future of West Indian militancy lies in art.226
Rivivendo le sue sensazioni giovanili, Walcott descrive sé stesso come :
an elate, exuberant poet madly in love with English, but in the dialect-loud dusk of water-buckets and fish-sellers, conscious of the naked, voluble poverty around me, I felt a fear of that darkness which had swallowed up all fathers. 227