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Il fallimento del progetto di riforma di al-Asad

4.1 Il post-URSS: trovare una collocazione nel nuovo ordine internazionale

4.1.2 Il fallimento del progetto di riforma di al-Asad

Il crollo dell‟URSS fu vissuto con grande apprensione da Damasco. Perdere l‟alleato sovietico significava rinunciare sia alla cooperazione militare che alle linee di credito messe a disposizione da Mosca. Vista l‟impossibilità di continuare a sfruttare a proprio vantaggio le dinamiche del bipolarismo, la Siria fu costretta a trovare una collocazione nel nuovo ordine internazionale, ovvero dovette scendere a compromessi con quel sistema capitalista e imperialista che, negli anni passati (se si escludono alcuni temporanei riavvicinamenti), era stato oggetto di accuse13. L‟integrazione nel mondo

11 C. COMMITTERI, „When Domestic Factors Prevail Upon Foreign Ambitions: Russia‟s Strategic Game in

Syria‟, IAI, Ottobre 2012, p. 5, http://www.iai.it/pdf/DocIAI/iaiwp1226.pdf.

12 I. BERMAN, „Russia and the Mideast Vacuum‟, IASPS Research Papers in Strategy, Giugno 2001,

n. 12, p. 7, http://www.mafhoum.com/press/55P3.pdf.

13

132 occidentale presupponeva tre cambiamenti essenziali: le aperture democratiche, il tentativo di trasformare l‟economia siriana e, in politica estera, l‟ammorbidimento della linea radicale (con conseguente avvicinamento agli Stati Uniti). Tutti e tre i tentativi, come si vedrà, si sarebbero tuttavia rivelati vani.

Per prima cosa, Hafiz al-Asad cercò di rispondere alla fame di riforme della società siriana dando luogo a quella che Raymond Hinnebusch definisce decompressione politica calcolata14. L‟obiettivo di tale decompressione fu quello di dare alla società l‟impressione che le cose stessero cambiando senza però alterare gli equilibri del potere. Nello specifico, la strategia di al-Asad fu duplice: da un lato bisognava migliorare le condizioni delle classi sociali in ascesa (su tutte la nuova borghesia e il ceto medio); dall‟altro, con questa mossa, occorreva dimostrare ai fedelissimi (vale a dire all‟esercito, al blocco alawita e ai ba‟thisti) che il regime non rimaneva in piedi solo ed esclusivamente grazie al loro sostegno. Stando ai mezzi di informazione del regime, al- Asad stava realmente trasformando la Siria: il popolo poteva viaggiare, arricchirsi e consumare alla maniera degli occidentali; le forze dell‟ordine persero alcuni dei loro privilegi; le scuole religiose ottennero una forma di autonomia. Si trattò tuttavia di un cambiamento di facciata. Nel complesso, infatti, il Paese rimase profondamente legato alla sua struttura politica autoritaria: il sistema giudiziario restò nelle mani del regime; la stampa, i sindacati e i partiti non godettero di alcuna libertà; gli attivisti politici continuarono a essere incarcerati15.

Un altro aspetto determinante fu quello della riforma economica. Sin dalla prima metà degli anni „80 il Paese dovette far fronte a un significativo crollo dei tassi di crescita16 (frutto delle scelte operate dalla leadership ba‟thista). Alla base della crisi siriana vi erano tre fattori: per prima cosa i forti investimenti nel settore pubblico fruttavano molto poco in termini di rendimento; in secondo luogo il comparto industriale nazionale era particolarmente debole; infine la Siria sosteneva i costi del suo enorme apparato pubblico prendendo in prestito ingenti somme di denaro dai finanziatori esteri17. Le risposte del regime non fecero che peggiorare la situazione: il tasso di crescita passò dal 4,7% del periodo 1980-1983 al -2,9% del 1983-198718. La

14 Cfr. R. HINNEBUSCH, Syria – Revolution from Above, cit., p. 103. 15 Cfr. Ivi, p. 104.

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Cfr. A. GEORGE, op.cit., pp. 25-26.

17 Cfr. R. HINNEBUSCH, Syria – Revolution from Above, cit., pp. 124-125.

18 Questa complessa situazione economica era da imputare anche all‟isolamento siriano nella regione; un

isolamento dovuto sia alla decisione di al-Asad di sostenere l‟Iran nella Guerra contro l‟Iraq, sia alla Guerra in Libano.

133 necessità di attrarre investimenti per risanare l‟economia interna19 e il crollo improvviso dell‟URSS convinsero a quel punto al-Asad ad aprire il Paese al mercato capitalistico globale. La liberalizzazione economica, o infitah (apertura), avvenne in due fasi. La prima, avviata nei tardi anni „80, puntò sulla riduzione dei limiti imposti agli investitori privati e sulla cancellazione del monopolio statale sulle importazioni. La seconda ondata conobbe invece il suo apice con l‟approvazione della legge sugli investimenti (numero 10, 1991)20 grazie alla quale il Paese si apriva agli investimenti industriali stranieri: non solo si consentiva il rimpatrio dei guadagni ma si abbattevano anche i dazi sulle importazioni. In apparenza, le liberalizzazioni stimolarono la crescita del settore privato; basti pensare che nei primi anni „90 il valore degli investimenti privati superava di gran lunga quello degli investimenti pubblici21. Tuttavia si trattò di un successo parziale; il sistema politico-economico del Paese rimase infatti ancorato alle vecchie dinamiche: la lentezza dell‟apparato burocratico, la corruzione, le normative sulla valuta e l‟assenza di una riforma del sistema bancario rallentarono in maniera determinante la politica di infitah avviata dal regime di al-Asad.

Infine, il regime siriano cercò di cambiare la sua linea di politica estera. La decisione di sostenere la coalizione anti-Saddam guidata dagli Stati Uniti nel 1991 rappresentò un primo segnale della volontà di Damasco di abbandonare le sue posizioni radicali. Il nuovo atteggiamento fu poi ribadito nell‟ottobre dello stesso anno quando al- Asad accettò di dialogare con Israele in occasione della Conferenza di Madrid (co- sponsorizzata da USA e URSS). Nel frattempo il crollo del‟Unione Sovietica non sembrava lasciare speranze al Presidente siriano: il nuovo ordine mondiale, sempre più ostile al regime22, imponeva infatti di scendere ulteriormente a compromessi con il nemico sionista. Secondo il leader di Damasco, occorreva portare avanti i negoziati con Tel Aviv nella speranza di normalizzare i rapporti (almeno in parte) e di recuperare il Golan23. Le trattative tra i due Paesi proseguirono, tra alti e bassi, fino al 1996. Nel corso di tali incontri, non solo al-Asad accettò il dialogo con l‟avversario rinunciando

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Secondo il regime occorreva sia attrarre gli investimenti dei Paesi del Golfo, sia gli investimenti degli espatriati siriani che risiedevano all‟estero; cfr. R. HINNEBUSCH, Syria – Revolution from Above, cit., p. 128.

20 Cfr. F. LEVERETT, op.cit., p. 33.

21 Cfr. R. HINNEBUSCH, Syria – Revolution from Above, cit., p. 130. 22

Al-Asad dichiarò infatti che „i principali vincitori [della Guerra fredda] erano i nemici degli arabi‟; cfr. R. HINNEBUSCH, The Foreign Policy of Syria, in, R. HINNEBUSCH, A. EHTESHAMI, The Foreign Policies of Middle East States, Boulder-Londra, Lynne Rienner Publishers, 2002, p. 159.

23 Per approfondire la questione dei negoziati di pace tra Siria e Israele, si rimanda a D. PIPES, Syria

134 alla prospettiva di negoziati che coinvolgessero tutti i Paesi arabi, ma decise anche di demilitarizzare alcune zone lungo il confine con Israele24. Le speranze di concludere un accordo definitivo si arenarono tuttavia nel 1996 in seguito alla morte del leader israeliano Ytzhak Rabin e dell‟affermazione elettorale del Partito Likud (di stampo nazionalista liberale). La politica estera siriana ritornò presto sulle sue posizioni anti- sioniste; al contempo, il divieto americano sulla vendita di armi alla Siria e il mantenimento del Paese nella lista degli Stati terroristi, allontanò in maniera definitiva Damasco da Washington.

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