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4.1 Il post-URSS: trovare una collocazione nel nuovo ordine internazionale

4.1.1 La nascita della Federazione Russa

“The Russian Federation that entered the global arena in December 1991 was a state qualitatively different from all its predecessors”1

. Queste parole di Igor Ivanov, Ministro degli Esteri russo dal 1998 al 2004, chiariscono le convinzioni ideologiche della nuova classe dirigente all‟indomani del crollo dell‟Unione Sovietica. La Russia era un soggetto diverso sia dall‟URSS sia dall‟Impero Zarista; a variare non erano soltanto le

1 A. KREUTZ, Russia in the Middle East: Friend or Foe?, Westport, Praeger Security International, 2007,

129 strutture politiche del Paese, ma anche la nuova configurazione territoriale e il sistema internazionale. Il concetto di lotta di classe, che per anni aveva influenzato le scelte politiche adottate dai leader sovietici e che aveva indotto il colosso comunista a scontrarsi con la potenza americana, perse ogni validità. Improvvisamente il messianismo rivoluzionario terzomondista spariva dall‟agenda del Cremlino; adesso la Russia doveva curarsi solo e soltanto dei propri interessi.

La Guerra fredda si era conclusa con il successo del sistema occidentale. Il capitalismo, vuoi per la sua capacità di conquistare nuovi mercati vuoi per la sua abilità nel presentarsi come l‟unica soluzione ai mali del mondo, aveva sconfitto il modello proposto da Karl Marx. La fine della storia di Francis Fukuyama divenne la formula con cui molti critici e storici presero a sottolineare la supremazia dei valori occidentali e il crescente unipolarismo americano. Foreign affairs, rivista americana di politica internazionale, emise lo storico verdetto:

The Soviet system collapsed because of what it was, or more exactly, because of what it was not. The West „won‟ because of what the democracies were – because they were free […], because they did justice, or convincingly tried to do so2.

I proclami sulla superiorità del sistema occidentale ebbero un enorme impatto sulla nuova leadership russa, più che mai intenzionata a integrare il Paese nel nuovo ordine internazionale (in particolar modo tra il 1992 e il 1993): sia il Presidente Boris El‟cin che il Ministro degli Esteri, Andrej Kozyrev, espressero apertamente la loro preferenza per il modello di sviluppo capitalista (del resto non si intravedevano alternative a tale modello)3. Allo stesso modo, molti dei principali esponenti politici del Cremlino scoprivano in quegli anni la loro vena occidentalista: la nuova Russia doveva dimenticare il suo passato bolscevico e ritornare ad aderire a quei valori occidentali che per troppo tempo erano stati trascurati durante l‟esperienza sovietica4.

Il nuovo corso russo passò attraverso tre strade principali. La prima fu immancabilmente una riforma economica di stampo capitalistico, un progetto che molti definirono shock therapy (dato che, di fatto, aderire al capitalismo comportava lo smantellamento e la distruzione del sistema economico fondato sulla pianificazione). Il

2 A.P. TSYGANKOV, Russia’s Foreign Policy – Change and Continuity in National Identity (Second

Edition), Lanham-Boulder-New York-Toronto-Plymouth, Rowman & Littlefield Publishers, 2010, p. 56.

3 Cfr. G.J. IKENBERRY, The Restructuring of the International System after the Cold War, in M.P.

LEFFLER, O.A. WESTAD, Cambridge History of the Cold War, vol. III, Cambridge, Cambridge University Press, 2010, p. 535.

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130 secondo aspetto fu l‟adesione alle organizzazioni internazionali occidentali: visto che gli Stati Uniti e i Paesi europei non erano più i nemici giurati, la Russia doveva ottenere un ruolo speciale nelle istituzioni quali il Fondo Monetario Internazionale e il G-7. Infine, la Federazione Russa puntò sul distacco (politico ma anche economico) dai Paesi che avevano fatto parte dell‟ex-Unione Sovietica.

Gli sforzi della nuova leadership stentarono tuttavia a produrre i risultati auspicati. Se da un lato il mondo occidentale continuava a osservare con scetticismo l‟operato del Cremlino, dall‟altro le riforme interne non riuscirono, nel breve periodo, a migliorare la situazione sociale5. Lo stesso El‟cin, visto l‟appeal dei nazionalisti e dei gruppi comunisti (le due forze politiche ottennero un significativo successo alle elezioni della Duma nel dicembre 1993), tentò nei primi mesi del 1994 di avviare una politica estera più patriottica6.

Fu proprio intorno alla metà degli anni „90 che la Russia cominciò a nutrire i primi sospetti sulle intenzioni amichevoli degli Stati Uniti7. Numerose testate giornalistiche americane presero ad accusare l‟operato della nuova classe dirigente russa: all‟improvviso l‟erede dell‟Unione Sovietica non era più un‟aspirante democrazia ma uno Stato anarchico e in preda a una classe politica di cleptocrati. I promotori del libero mercato e dei valori democratici scelsero inoltre, in maniera molto ipocrita, sia di negare al Cremlino la clausola della nazione più favorita (confermando di fatto la decisione del Congresso che risaliva al 1974) sia di limitare il turismo russo nel Paese8. A complicare ulteriormente la situazione, la NATO invitò i Paesi dell‟Est Europa ad aderire all‟organizzazione9.

Il mutamento di scenario indusse El‟cin, nel gennaio 1996, a compiere un gesto carico di significato, ovvero la sostituzione di Kozyrev con Yevgeny Primakov al Ministero degli Esteri. Wahington non accolse positivamente il cambiamento operato dal Cremlino: “By selecting him [Primakov], President Boris Yeltsin has signaled that he cares more about assuaging nationalism at home than soothing U.S. fears”10

.

5 Cfr. J. MANKOFF, Russian Foreign Policy – The Return of Great Powers Politics, Lanham-Boulder-New

York-Toronto-Plymouth, Rowman & Littlefield Publishers, 2009, p. 29.

6 Cfr. A. KREUTZ, Russia in the Middle East: Friend or Foe?, cit., p. 4.

7 Secondo Vladimir Zubok, fu proprio in quel periodo che gli USA persero la Russia; cfr. V.M. ZUBOK,

op.cit., p. XI.

8 Cfr. Ivi, p. XII.

9 Repubblica Ceca, Polonia e Ungheria sarebbero entrate ufficialmente a far parte della NATO nel marzo

1999. Nel 2004 fu invece la volta di Bulgaria, Estonia, Lettonia, Lituania, Romania e Slovacchia.

10

131 L‟atteggiamento di Primakov fu, subito, molto distante da quello di Kozyrev. Il nuovo Ministro degli Esteri non ambiva, a tutti i costi, a trovare un‟intesa con l‟Occidente ma intendeva porre al centro della scena gli interessi vitali della Russia. Le sue convinzioni ideologiche sconfessavano l‟atteggiamento rinunciatario del 1992- 1993; le posizioni stataliste di Primakov presupponevano infatti un più acceso confronto con il sistema occidentale (ma non per questo le differenti vedute dovevano condurre a uno scontro). Il Ministro promosse una strategia incentrata su pragmatismo e multipolarismo11: il pragmatismo si fondava sulla necessità di dialogare con gli Stati Uniti; il multipolarismo segnalava invece l‟intenzione di non voler soccombere alla retorica del più forte (e quindi all‟unipolarismo americano). In un‟intervista rilasciata nel 1996 al quotidiano Rossiyskaia Gazeta, Primakov definì in tali termini gli obiettivi esteri della Federazione Russa:

Russia‟s foreign policy cannot be the foreign policy of a second-rate state. We must pursue the foreign policy of a great state. The world is moving toward a multipolar system. In these conditions we must pursue a diversified course oriented toward the development of relations with everyone, and at the same time, in my view, we should not align ourselves with any individual pole12.

L‟impatto delle teorie di Primakov sul Cremlino fu enorme: da quel momento in poi la Federazione Russa avrebbe smesso di accettare, passivamente, la supremazia americana. Pragmatismo e multipolarismo sarebbero inoltre divenuti due elementi imprescindibili della futura politica estera russa.

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