Nel 2007 i prezzi internazionali delle materie prime hanno continuato a crescere per il sesto anno consecutivo. Non solo: lo scorso anno essi hanno re-gistrato in media un tasso di crescita nettamente superiore a quello degli anni precedenti. L’indice dei prezzi dell’insieme delle commodity elaborato dall’Economist ha segnato nel 2007 un incremento del 28,4% rispetto all’anno precedente contro un +13,5% del 2006 sul 2005. Si può affermare che in ter-mini assoluti, ossia a prezzi correnti, non era mai accaduto che i prezzi inter-nazionali delle materie prime raggiungessero livelli tanto elevati.
Pressoché tutte le materie prime hanno beneficiato di importanti aumenti di prezzo. Ma a dominare le cronache dell’anno e le preoccupazioni del mondo economico e politico per la straordinaria crescita delle loro quotazioni e per la gravità dell’impatto di questa crescita sull’economia mondiale e sul benessere delle famiglie sono stati il petrolio e i prodotti agro-alimentari.
Nel caso del petrolio è impressionante la progressività dei suoi corsi e il li-vello da essi raggiunto. A partire dalla fine del gennaio 2007 le quotazioni del greggio leggero americano (light sweet crude) al New York Mercantile E-xchange, che a quel momento oscillavano intorno ai 59-60 dollari il barile, continuano a crescere, salvo poche temporanee interruzioni sino a superare nelle prime ore di mercoledì 2 gennaio 2008 la soglia dei 100 dollari il barile per poi terminare la seduta a 99,62 dollari il barile. In meno di un anno il prez-zo di questo petrolio ha segnato un aumento del 67%. E questo non è l’incremento più alto tra gli incrementi di prezzo stimati dai vari indici che ri-guardano il petrolio. L’indice dei prezzi delle commodity dell’Economist cal-cola nel caso di questa materia prima per il periodo che va dall’inizio del 2007 all’inizio del 2008 una crescita pari a ben il 73,7 per cento.
Si va così diffondendo tra gli osservatori l’opinione, confermata dall’ulteriore forte crescita delle sue quotazioni nel primo trimestre del 2008, che per questa commodity si possa parlare di un terzo shock, un terzo shock petrolifero. Il primo, lo ricordiamo, fu quello degli anni 1972-73 quando, in concomitanza con la guerra del Kippour, il prezzo del barile passò nel breve arco di 24 ore da 3 a 13 dollari. Il secondo shock, con il prezzo che balza dai 13 ai 40 dollari il barile, fu quello della crisi iraniana degli anni 1979-80 cau-sata dalla cacciata dal trono e dall’esilio dello Scia di Persia.
Ma, a differenza di quanto è accaduto nel passato, l’esplosione dei corsi del petrolio dello scorso anno non è di natura contingente, la conseguenza della rottura di equilibri politici. Nel caso di questo terzo shock petrolifero è il mer-cato il fattore determinante. L’impennata del prezzo è fondamentalmente la ri-sultante di un crescente squilibrio tra la domanda e l’offerta e allo stesso
tem-po della bassa elasticità-prezzo della sua domanda.
La verità è che la domanda del petrolio è sempre più sostenuta a seguito della sempre maggiore fame di energia delle economie sviluppate e, soprattut-to a causa dell’esplosione della domanda dei paesi emergenti dell’Asia. La Ci-na è ormai il secondo consumatore mondiale di petrolio – essa è responsabile di circa il 10% del suo consumo globale – ed è già oggi la destinataria di circa il 40% del totale delle sue esportazioni. Al contrario, l’offerta incontra scenti difficoltà nello stare al passo con la domanda sia a causa dei costi cre-scenti richiesti dallo sfruttamento di nuovi giacimenti, sia perché già 33 dei 48 paesi produttori hanno dovuto ridurre la produzione. Occorre poi aggiungere che è aumentata, almeno così sembra, la coesione tra i paesi membri dell’OPEC e di conseguenza il potere di controllo della produzione mondiale di petrolio da parte di questa organizzazione. Ad accrescere il prezzo del pe-trolio concorre infine la bassa elasticità-prezzo della sua domanda. I due terzi del suo consumo mondiale dipendono dai trasporti, ossia da un settore dove non esistono per il momento delle concrete alternative alla benzina e al gaso-lio. Il continuo sviluppo di questo settore e il conseguente aumento della sua domanda di carburante è destinato pertanto a provocare un aumento, che può essere più che proporzionale, del suo prezzo internazionale.
In verità le quotazioni di questa commodity sono influenzate anche dal fat-to che da alcuni anni i mercati finanziari la considerano un importante e pro-mettente bene di investimento. In particolare, la crisi dei mutui subprime ha spinto i vari fondi speculativi, come gli hedge fund a fare acquisti massivi di
“pétrole papier”. Ma l’esperienza degli anni passati e ancor più degli ultimi mesi – il 12 dicembre scorso la decisione delle banche centrali europee e nor-damericane di immettere liquidità nei propri sistemi bancari ha determinato al-la Borsa di New York in un solo giorno un aumento delle quotazioni del light sweet crude del 4,9% - dimostra che questi acquisti, e le relative vendite, sono per loro natura solamente responsabili della maggiore volatilità del prezzo e non del suo andamento di fondo.
In ultima analisi, il recente aumento del prezzo internazionale del petrolio è in misura preponderante di carattere strutturale. E’ quindi difficile pensare che nel futuro, a meno che l’intera economia mondiale entri in una crisi profonda, esso possa essere oggetto di importanti riduzioni.
Per le economie sviluppate l’aumento del prezzo internazionale del petrolio è causa di costi certamente assai elevati. In particolar modo esso è causa di una forte crescita del costo dell’energia e conseguentemente una forte ripresa dell’inflazione, di uno spostamento del potere economico verso i paesi produt-tori di energia, di un enorme trasferimento di ricchezza a favore di questi pae-si. Una ricerca del Fondo Monetario Internazionale è giunta alla conclusione
che il valore del petrolio esportato lo scorso anno dai paesi del Medio Oriente e dell’Asia Centrale abbia superato i 750 miliardi di dollari, si sia cioè quadru-plicato rispetto al 2001.
Ma, come contropartita, un simile aumento può rappresentare per le eco-nomie sviluppate un forte stimolo ad accrescere l’efficienza dei loro consumi energetici e a ricercare nuove fonti di energia. La crescita del prezzo del petro-lio può avere pertanto a lungo andare un effetto positivo perché può essere più che largamente compensata da una maggiore indipendenza energetica, da una più valida protezione dell’ambiente e, allo stesso tempo, da un ulteriore svi-luppo dell’economia.
E’ ben diverso invece il caso dei paesi più poveri, circa un miliardo di per-sone, in buona parte nell’Africa subsahariana. L’aumento della bolletta ener-getica li può obbligare a tagliare le spese in altri settori essenziali quali:
l’istruzione, la sanità, la casa, le infrastrutture produttive.
1.4. L’esplosione dei prezzi delle materie prime agro-alimentari Il fatto veramente nuovo, eclatante e ancor più ricco di implicazioni della crisi dei mercati finanziari e per molti aspetti della stessa impennata delle quo-tazioni del petrolio, che viene offerto dalle vicende dell’economia mondiale dell’anno 2007 è l’esplosione dei prezzi internazionali delle materie prime a-gro-alimentari e, di riflesso, la crescita forte e generalizzata dei prezzi al con-sumo dei prodotti alimentari di prima necessità. In questo caso, a differenza del passato, a segnare rapidi e intensi aumenti delle quotazioni internazionali non è solo un prodotto o un determinato gruppo di prodotti, ma pressoché tutte le maggiori categorie di materie prime destinate direttamente o indirettamente all’alimentazione umana.
Per la prima volta dopo la crisi del frumento della campagna 1972-73, l’embargo americano della soia del 1973, il crollo della produzione di zucche-ro del 1974, e dopo decenni contraddistinti da eccedenze di pzucche-roduzione e di prezzi in flessione, da politiche agricole tese a contenere le produzioni, dagli scontri in sede GATT e poi WTO sul tema dei sussidi all’esportazione dei prodotti agricoli – nel periodo 1974-2005 i prezzi dei prodotti alimentari si so-no più che dimezzati in termini reali – il mondo intero è obbligato a prendere atto che i prodotti alimentari di base possono non abbondare e che vi può esse-re un serio pericolo di scarsità della loro offerta a besse-reve e ancor più a medio termine.
Dall’inizio di questo decennio e sino ai primi mesi dell’anno 2006 i corsi delle principali commodity agro-alimentari hanno registrato, come aggregato,
anche se in modo altalenante, una tendenza all’aumento, ma in termini relati-vamente contenuti e tali comunque da non influenzare il prezzo dei prodotti a-limentari di base dei consumatori delle economie sviluppate. Come era già ac-caduto in occasione delle fiammate delle quotazioni internazionali dei decenni precedenti – si pensi ad esempio ai bruschi aumenti dei corsi dei cereali degli anni 1981-82, 1989-90 e 1996-97 – l’alto livello del sostegno accordato da questi paesi e dall’Unione Europea al prezzo dei prodotti delle loro agricolture aveva isolato al loro interno e protetto in misura sostanziale il prezzo al con-sumo dei prodotti alimentari di base dalle vicende del mercato internazionale.
Per questi primi anni del secolo e sino alla fine dell’estate di due anni fa – nel corso cioè di un periodo successivo ad anni, quelli della seconda metà del decennio precedente, in cui i corsi dei cereali, dei prodotti oleaginosi, delle carni e dei prodotti lattiero-caseari avevano subito importanti flessioni – l’indice dei prezzi delle materie prime agro-alimentari elaborato dall’Economist ha segnato una crescita del 35% rispetto all’anno base, il 2000, dovuta prevalentemente all’aumento dei corsi dell’olio di soia e dell’olio di palma e, in misura minore, dei prodotti lattiero-caseari.
Ma a partire dalla fine dell’estate 2006 questa situazione muta rapidamente e in misura drastica. Nel solo trimestre ottobre-dicembre 2006 il prezzo inter-nazionale del mais registra una crescita del 34% che lo porta a segnare un au-mento del 55% su base annua. Allo stesso tempo inizia, dapprima timida e poi sempre più accelerata, una corsa al rialzo delle quotazioni della maggior parte delle altre materie prime agro-alimentari che le porta a superare alla fine dell’anno 2007 in gran parte dei casi ogni precedente record. Nel breve arco di tempo dello scorso anno il prezzo all’esportazione del frumento statunitense aumenta, a seconda delle varietà, tra il 76 e l’82 per cento e il prezzo all’esportazione del mais dello stesso paese segna un ulteriore aumento del 10%. I prezzi internazionali dell’olio di soia e dell’olio di palma registrano crescite rispettivamente del 65 e del 74 per cento. Nel caso del burro e del latte in polvere l’aumento dei corsi è addirittura, nell’ordine, del 125 e del 128 per cento e solo, si fa per dire, dell’88% per il formaggio. Ristagnano invece i prezzi delle carni; in questa categoria di prodotti solo il prezzo all’esportazione dei broiler segna, a seconda che si tratti di prodotto di provenienza statunitense o brasiliana, aumenti pari rispettivamente al 17 ed al 29 per cento. Una simile evoluzione di queste quotazioni è sintetizzata in modo quanto mai efficace dall’indice dei prezzi delle commodity agro-alimentari dell’Economist:
all’inizio del 2008 esso segna rispetto al corrispondente periodo dell’anno prima una crescita dell’ordine del 49%.
Né l’andamento del mercato mondiale dei primi mesi del 2008 consente di intravedere una inversione di tendenza o almeno un rallentamento di questa
corsa all’aumento dei prezzi. Con la fine dell’autunno 2007 è iniziata a sua volta la crescita dei corsi del riso suscitando forti preoccupazioni in tutta l’Asia dove questo cereale è l’alimento base di circa 3 miliardi di persone. Nel breve arco di tempo di tre mesi, tra la metà del dicembre 2007 e la metà del marzo 2008 in Thailandia e in Vietnam, i due maggiori esportatori mondiali di riso, il suo prezzo all’esportazione ha segnato un aumento del 72% e nelle due settimane successive una ulteriore crescita di circa il 10 per cento.
A determinare una simile esplosione dei prezzi internazionali delle materie prime agro-alimentari hanno certamente dato un contributo importante i fattori che per loro natura sono alla base della variabilità della produzione e, di rifles-so, dell’offerta. Le vicende climatiche sfavorevoli in primo luogo. Una stagio-ne calda e asciutta in Canada e la peggiore siccità a memoria d’uomo in Au-stralia hanno fortemente ridotto le produzioni del secondo e del terzo esporta-tore mondiale di frumento. Sempre in Australia la siccità ha poi condotto ad una sensibile contrazione della produzione destinata al mercato mondiale di orzo, di carne e di prodotti lattiero-caseari. E in Francia, il primo produttore di cereali dell’Unione Europea, il raccolto del frumento è stato anch’esso cattivo a causa delle troppe piogge, tanto da obbligare la stessa Europa, uno dei granai del mondo degli ultimi decenni, a diventare importatore netto di cereali.
Si sono così ridotte sensibilmente le scorte mondiali, l’altro importante fat-tore di natura temporanea dell’offerta. Negli Stati Uniti, il maggiore esportato-re mondiale di frumento, le scorte di questo ceesportato-reale sono tanto scese, quest’anno dovrebbero toccare il livello più basso degli ultimi 60 anni, da in-durre l’industria del pane a proporre una riduzione delle sue esportazioni. An-zi, taluni degli altri maggiori esportatori, come il Kazakistan, la Russia, e la stessa Argentina hanno deciso, al fine di proteggere la domanda interna, di imporre delle tasse all’esportazione del frumento e altri, come l’Ucraina, le hanno addirittura sospese. A sua volta, la preoccupazione di non intaccare le scorte di riso e di mantenerne basso il prezzo interno ha indotto l’India e il Vietnam a ridurre drasticamente le sue esportazioni. L’Egitto e la Cambogia, altri esportatori di questo cereale, le hanno addirittura bloccate. La drastica ri-duzione delle scorte di burro dell’Unione Europea è stata, da parte sua, un’importante determinante dell’aumento dei corsi di questo prodotto.
Ma è la domanda, in particolare la sua componente strutturale, il vero mo-tore di questa rapida e violenta crescita dei prezzi. Prima di tutto, l’aumento in termini quantitativi e qualitativi della domanda di prodotti alimentari dei paesi emergenti. Le crescenti disponibilità finanziarie di questi paesi e lo sviluppo delle loro classi medie stanno determinando cambiamenti di lungo periodo nelle abitudini alimentari che modificano radicalmente i loro modelli di con-sumo. In generale, dilaga la tendenza a privilegiare una dieta basata su
alimen-ti ad alto contenuto di proteine animali, come carne e prodotalimen-ti latalimen-tiero-caseari, e aumenta quindi sul mercato internazionale la domanda di questi prodotti e, unitamente ad essa, la domanda di cereali e di prodotti proteaginosi da destina-re, oltre che al consumo diretto, all’alimentazione degli animali. E questa do-manda è particolarmente agevolata dalla debolezza del dollaro. Il declino gra-duale di questa moneta nei confronti delle altre principali valute in atto a parti-re dal 2005 consente infatti di importaparti-re a più basso pparti-rezzo dagli Stati Uniti.
In secondo luogo, ma non meno importante, la crescita, accanto a quella della domanda di prodotti alimentari, di una domanda di prodotti agricoli de-stinata a soddisfare un bisogno del tutto nuovo, ossia la crescita esponenziale della domanda di mais, di zucchero, di soia, di colza, di olio di palma e di altri prodotti oleaginosi e persino di frumento da destinare alla produzione di bio-carburanti. Data la limitatezza dell’offerta dei principali fattori di produzione dell’agricoltura, di terra coltivabile e di acqua in special modo, questa seconda domanda è entrata rapidamente in forte competizione per l’uso di queste risor-se con la domanda di prodotti alimentari. Si sono così determinate le condizio-ni per un sostanziale e duraturo aumento, almeno per il breve e medio periodo, dei prezzi delle materie prime agricole. E’ esemplare in proposito il caso del mais negli Stati Uniti, il paese che da solo controlla i due terzi delle esporta-zioni mondiali di questo cereale. La crescita dei suoi consumi per la produzio-ne di etanolo ha concorso in misura determinante a spingere il prezzo di questo cereale alla Borsa di Chicago dai circa 2 dollari per bushel dell’anno 2005 ai 5,78 dollari di fine marzo 2008. Il prezzo più alto ha indotto gli agricoltori ad aumentare la superficie destinata alla coltivazione di questo cereale: tra il 2001 e il 2007 la quota della superficie totale del paese coltivata a mais destinato al-la produzione di etanolo è passata da meno del 5% al 19%. Ma questo aumen-to di superficie è avvenuaumen-to in competizione con altre colture come la soia, l’orzo, il cotone. Come risultato finale, l’aumento della domanda di mais per la produzione di etanolo ha condotto alla crescita dei prezzi di tutti questi prodot-ti. Non solo: questa produzione ha determinato un aumento del costo di gran parte delle materie prime dell’industria alimentare e delle bevande, e un au-mento particolarmente elevato del costo degli alimenti per uso zootecnico. Si sono determinate in questo modo le condizioni per un aumento pressoché ge-neralizzato dei costi di produzione dell’industria alimentare e per un aumento particolarmente elevato dei costi dei prodotti dell’allevamento: dalle carni, al latte, alle uova.
Le politiche tese a ridurre l’effetto serra mediante l’impiego di materie prime agro-alimentari per la produzione di biocarburanti stanno, in sostanza, accrescendo a dismisura l’influsso a livello mondiale della domanda di petro-lio sul prezzo di queste commodity. Sino a ieri l’aumento dei corsi del petropetro-lio
conduceva ad una crescita del costo dei fertilizzanti, dei carburanti, dei tra-sporti, ossia di voci di costo certamente importanti per l’agricoltura, ma non tali da far lievitare in misura drastica il prezzo dei suoi prodotti. Oggi, all’opposto, l’impiego di cereali, di prodotti proteaginosi, di zucchero per la produzione di biocarburanti ha determinato lo sviluppo di uno stretto paralleli-smo tra l’andamento del prezzo del petrolio e il movimento nel tempo del prezzo dei prodotti agricoli. E questo non è tutto; data la inelasticità della do-manda dell’aggregato dei prodotti agricoli, la crescita della loro dodo-manda ge-nerata dall’aumento dei prezzi del petrolio può facilmente condurre, almeno per il medio periodo, ad un aumento più che proporzionale del prezzo dei pro-dotti agricoli destinati direttamente e indirettamente all’alimentazione umana.
La domanda di petrolio è così diventata, accanto alla continua crescita della domanda di alimenti derivante dalla pressione demografica e dai cambiamenti nei modelli alimentari che accompagnano l’aumento del benessere delle eco-nomie emergenti, l’altro elemento base, fondamentale, della domanda mondia-le di medio-lungo periodo delmondia-le materie prime agricomondia-le di interesse alimentare.
A onor del vero, va rilevato che nel 2007 due altri fattori hanno concorso all’esplosione dei prezzi internazionali delle materie prime agro-alimentari.
Ma si tratta di elementi il cui peso è relativamente secondario e contingente.
Uno di questi è l’aumento dei costi dei trasporti marittimi. La forte domanda di spedizioni per nave di cereali, di soia e di minerali ha determinato, come media dell’anno, un aumento di questi costi del 121%. A metà ottobre 2007 il Baltic Dry Index aveva raggiunto il nuovo record di 10.513 punti e segnato così un aumento del 57% rispetto al livello del precedente mese di giugno.
L’altro fattore è rappresentato dal forte sviluppo dei rapporti tra i mercati delle materie prime agricole e i mercati finanziari. Come è accaduto per il pe-trolio, negli ultimi anni una enorme quantità di denaro è stata investita in mer-cati che usano strumenti finanziari legati al funzionamento dei mermer-cati delle materie prime agricole, al fine di meglio distribuire i rischi e massimizzare i guadagni. Lo scorso anno il deprezzamento del dollaro e la diminuzione dei tassi di interesse a breve termine hanno favorito grandemente questi tipi di in-vestimento e, conseguentemente, l’aumento dei prezzi delle materie prime che ne sono state oggetto.
Tuttavia è anche vero che, come è dimostrato dalle fiammate e dalle suc-cessive cadute delle quotazioni del frumento e della soia nei primi tre mesi del
Tuttavia è anche vero che, come è dimostrato dalle fiammate e dalle suc-cessive cadute delle quotazioni del frumento e della soia nei primi tre mesi del