Assistenza sanitaria e diritto dell’Unione Europea Una difficile coesistenza
2.2 La libera prestazione dei servizi e l’assistenza medica transfrontaliera
2.2.2 I casi Kohll e Decker
Kohll77 e Decker78 furono i primi fondamentali casi decisi parallelamente dalla Corte di Giustizia il 28 aprile 1998 e da cui è opportuno iniziare l’analisi. Tali controversie, riguardanti rispettivamente la libera prestazione dei servizi e la libera circolazione dei beni, si incentravano sul regolamento n. 1408/1971,allora in vigore al fine di coordinare le varie legislazioni nazionali in materia di sicurezza sociale e proteggere i diritti di previdenza sociale dei lavoratori e dei loro familiari che si spostano all’interno degli Stati membri79. La Corte di Giustizia riuscì a sovvertire con la propria interpretazione il dato letterale dell’articolo 22 del regolamento che, tra l’altro, attribuiva al lavoratore e ai suoi familiari, previa autorizzazione dell'ente competente, il diritto di recarsi in un altro Stato membro per ricevere cure adeguate, secondo la normativa dello Stato in cui le prestazioni sono fornite.
Il primo caso concerneva il diniego della richiesta di rimborso avanzata dal signor Kohll, cittadino lussemburghese, per i costi relativi ad un trattamento medico ricevuto dalla figlia presso un ortodontista in Germania, senza aver ottenuto dall'Union des caisses de maladie, cui era iscritto, la preventiva autorizzazione prevista80. La Corte di Giustizia fu investita dalla Cour de Cassation
77 Corte di Giustizia, 28 aprile 1998, Causa C-158/96, Raymond Kohll contro Union des caisses de maladie, ECR 1998 I-1931.
78 Corte di Giustizia, 28 aprile 1998, Causa C-120/95, Nicolas Decker contro Caisse de maladie des employés privés, ECR 1998 I-1831.
79 Regolamento (CEE) n. 1408/71 del Consiglio, del 14 giugno 1971, relativo all’applicazione dei
regimi di sicurezza sociale ai lavoratori dipendenti e ai loro familiari che si spostano all’interno della Comunità. Tale regolamento è stato abrogato dal regolamento (CE) n. 883/2004 del Parlamento europeo e del Consiglio relativo al coordinamento dei sistemi di sicurezza sociale e dal successivo regolamento (CE) n. 987/2009 del Parlamento europeo e del Consiglio. Attualmente, quest’ultimi due regolamenti risultano modificati dal Regolamento (UE) N. 1372/2013 della Commissione del 19 dicembre 2013.
80 La normativa lussemburghese ricalcava infatti la disciplina prevista dall’articolo 22 del
regolamento n. 1408/71, prevedendo che, tranne i casi eccezionali di cure urgenti dovuti a malattia o incidente avvenuti all’estero, gli assicurati potessero ricevere cure in altri Paesi membri soltanto se previamente autorizzati dall’ente previdenziale. Si confrontino anche i paragrafi 6 e 7 della sentenza Kohll.
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lussemburghese della soluzione di due questioni pregiudiziali. In primo luogo, la Corte si chiedeva se le norme del Trattato concernenti la libera prestazione dei servizi ostassero ad una normativa nazionale che, in caso di trattamenti medici forniti in uno Stato diverso da quello di residenza del paziente, subordinava il rimborso degli stessi ad un'autorizzazione preventiva dell'ente previdenziale dell'assicurato. In secondo luogo se la risoluzione del primo quesito subisse modifiche se la normativa fosse finalizzata a “mantenere un servizio medico- ospedaliero equilibrato e accessibile a tutti in una determinata regione”81. Se è
certamente vero che, in assenza di un’armonizzazione a livello europeo, spetta agli Stati membri organizzare i propri sistemi previdenziali (ad esempio stabilendo il regime facoltativo ovvero obbligatorio di iscrizione ad un determinato regime di previdenza sociale)82, essi sono tuttavia chiamati a rispettare il diritto comunitario, atteso che “la natura particolare di talune prestazioni di servizi non può sottrarre tali attività al principio fondamentale della libera circolazione”83. La Corte passò dunque ad esaminare la normativa lussemburghese che prevedeva la necessità di detta autorizzazione. La questione verteva sul rimborso richiesto dal signor Kohll per la prestazione medica ricevuta all’estero. Non avendo ricevuto la preventiva autorizzazione (necessaria al fine di ottenere il rimborso secondo le tariffe in vigore nello Stato in cui la prestazione è eseguita), la richiesta era stata parametrata sull’importo “al quale avrebbe avuto diritto se la cura fosse stata prestata dall'unico specialista stabilito, all'epoca dei fatti, in Lussemburgo”84. A detta dell’ente
previdenziale, la richiesta avrebbe dovuto essere rigettata poiché ritenuta in contrasto con il regolamento n. 1408/71, che costringerebbe ad un rimborso che non poteva essere parametrato alla tariffa lussemburghese ma soltanto (previa autorizzazione, mancante nel caso di specie) a quella dello Stato in cui la prestazione è stata eseguita. Sul punto però la Corte fu di diverso avviso. Difatti, la circostanza che la norma interna potesse essere “eventualmente conforme” a quanto previsto da una norma di diritto derivato (l’articolo 22 del già citato regolamento 1408/71), non escludeva in alcun caso l’applicazione del Trattato e dei diritti ivi sanciti. Vi era di
81 Causa C-158/96, Kohll, supra nota n. 77, paragrafo 10. 82 Causa C-158/96, Kohll, supra nota n. 77, paragrafi 17-19. 83 Causa C-158/96, Kohll, supra nota n. 77, paragrafo 20. 84 Causa C-158/96, Kohll, supra nota n. 77, paragrafo 23.
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più. La Corte, accogliendo le conclusioni dell’avvocato generale Tesauro, notò infatti come l’articolo 22 e il caso in esame riguardassero fattispecie diverse e ben distinte. Da una parte infatti l’articolo 2285:
“[…] mira a permettere all'assicurato, autorizzato dall'ente competente a recarsi in un altro Stato membro per ricevere ivi cure adeguate alle sue condizioni, di fruire di prestazioni mediche in natura per conto dell'ente competente, ma secondo la normativa dello Stato in cui le prestazioni sono fornite, segnatamente nel caso in cui il trasferimento diventi necessario in considerazione dello stato di salute dell'interessato, e ciò senza andare incontro a spese supplementari”.
Dall’altra, il caso in esame, che riguardava una prestazione medica ricevuta all’estero, da rimborsare sulla base della tariffa dello Stato di provenienza, in cui il paziente è assicurato, anche senza autorizzazione preventiva. Al riguardo, l’articolo 22, non regolamentando anche tale fattispecie, non poteva certamente impedire tale tipo di rimborso. La Corte tornò così ad esaminare la compatibilità della normativa lussemburghese con il diritto alla libera prestazione dei servizi, osservando quanto segue. Posto che la prestazione in esame doveva essere considerata un servizio, si trattava di stabilire se le regole dettate dal legislatore del Lussemburgo costituissero una restrizione alla libera prestazione dei servizi e se, in caso di risposta affermativa, essa potesse essere obiettivamente giustificata. Richiamandosi alla giurisprudenza in materia, la Corte ribadì come articolo 56 TFUE vietasse qualsiasi norma nazionale che avesse “l'effetto di rendere la prestazione di servizi tra Stati membri più difficile della prestazione di servizi puramente interna a uno Stato membro”. Contrariamente a tale principio, la normativa lussemburghese, pur non impedendo ai pazienti di rivolgersi a professionisti medici di altri Stati, subordinava la possibilità di ottenere il rimborso delle spese sostenute ad una autorizzazione preventiva, autorizzazione che invece non era richiesta per i rimborsi delle prestazioni mediche da svolgersi all’interno del Lussemburgo. Risolto il primo quesito affermando che la normativa in questione, scoraggiando gli assicurati dal rivolgersi ai prestatori di servizi medici stabiliti in un altro Stato, costituiva un ostacolo alla libera prestazione dei servizi (citando espressamente anche la sentenza
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Luisi e Carbone), restava da verificare se tale limitazione potesse essere
obiettivamente giustificata da ragioni imperative di interesse generale individuate innanzitutto nella necessità di controllare le spese sanitarie ed il bilancio del sistema previdenziale. Tali presunte motivazioni finanziarie venivano però smentite dal fatto che il signor Kohll aveva richiesto il rimborso sulla base delle tariffe applicate nel Lussemburgo e non sulla spesa effettivamente sostenuta in Germania. Pertanto l’onere “gravante sul bilancio dell’ente previdenziale lussemburghese”86
prescindeva dalla circostanza che l’assicurato si fosse rivolto ad un professionista medico del Lussemburgo o invece di un altro Stato. Peraltro, se è certamente vero che la libera prestazione dei servizi possa subire limitazioni per motivi di sanità pubblica, questa facoltà ha però carattere eccezionale, non consentendo agli Stati di “sottrarre il settore della sanità pubblica, in quanto settore economico e dal punto di vista della libera prestazione dei servizi, all'applicazione del principio fondamentale della libera circolazione”87. Posto che varie direttive avevano ormai provveduto ad armonizzare i requisiti per l’accesso alle attività mediche, i medici dei vari Stati presentano ormai garanzie di professionalità pressoché identiche, con la conseguenza che una disciplina limitativa come quella del caso in esame non poteva essere giustificata dalla necessità di proteggere la qualità delle prestazioni offerte. Gli unici, residuali, motivi di tutela della sanità pubblica potevano dunque riguardare o l’obiettivo di conservare un servizio sanitario equilibrato e accessibile a tutti ovvero il mantenimento del sistema o di una data competenza medica nel territorio nazionale per finalità di protezione della sanità pubblica o della stessa sopravvivenza della popolazione. Esclusi entrambi i motivi, perché non dimostrati dallo Stato88, la Corte statuì che la normativa non poteva essere giustificata da
motivi di sanità pubblica, affermando, di conseguenza, come il regolamento n. 1408/71 non vietasse il rimborso della prestazione medica ricevuta all’estero senza autorizzazione ma quantificata sulla base dei criteri propri del sistema di previdenza sociale del paese di cui il soggetto è residente. Una normativa che preveda tale limitazione, per i motivi suesposti, è dunque contraria alla libera circolazione dei servizi. Del tutto sovrapponibile il caso Decker, su cui è dunque possibile limitarsi
86 Causa C-158/96, Kohll, supra nota n. 77, paragrafo 40. 87 Causa C-158/96, Kohll, supra nota n. 77, paragrafi 45, 46. 88 Causa C-158/96, Kohll, supra nota n. 77, paragrafi 47-52.
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soltanto ad alcune brevi precisazioni. Ancora una volta la questione controversa concerneva un cittadino lussemburghese che, senza l’autorizzazione del proprio ente previdenziale, aveva acquistato un paio di occhiali da vista da un ottico sito in Belgio (ma prescritti da un medico del Lussemburgo), di cui aveva richiesto, senza ottenerlo, un rimborso forfettario. Veniva pertanto in rilievo la libera circolazione delle merci ed in particolare il divieto di restrizioni quantitative all’importazione tra gli Stati membri e di qualsiasi misura di effetto equivalente (attualmente disciplinata dall’articolo 34 TFUE)89 nonché le ipotesi in cui possono eccezionalmente essere
imposti divieti o restrizioni all’importazione anche per motivi di tutela della salute (articolo 36 TFUE). Con un ragionamento del tutto identico a quello seguito nel caso Kohll, la Corte affermò l’applicazione del principio della libera circolazione anche con riferimento all’ambito previdenziale, dichiarando poi ancora una volta come l’articolo 22 del regolamento n. 1408/71 non ponesse il principio della necessità di un'autorizzazione preventiva per ogni tipo di cura da ricevere in un altro Stato membro. Ciò alla luce della già ricordata diversità tra la fattispecie regolata dall’articolo 22 e il caso di specie, attinente ad un “rimborso da parte degli Stati membri, in base alle tariffe in vigore nello Stato competente, dei prodotti medici acquistati in un altro Stato membro, anche in mancanza di un'autorizzazione previa”90. Quanto, infine, al rapporto tra la normativa nazionale e le disposizioni del
Trattato in materia di libera circolazione delle merci, la prima aveva l’effetto di incoraggiare le persone assicurate presso il regime previdenziale lussemburghese ad acquistare gli occhiali da soggetti stabiliti nello stesso Stato (per cui non era richiesta alcuna autorizzazione) piuttosto che all’estero91. Ciò dunque costituiva un ostacolo
alla libera circolazione delle merci che non poteva essere giustificato, come invece asserito dal governo lussemburghese, né dall’obiettivo di controllare l’equilibrio finanziario del sistema previdenziale, stante l’esiguità dell’importo forfettario che sarebbe stata chiamato a restituire, né da quello di tutela della sanità pubblica, posto che, anche alla luce delle direttive in tema di riconoscimento delle professioni
89 Sul significato di tali divieti e sulla loro portata applicativa, si veda Francesco Martinelli, Manuale di diritto dell’Unione Europea. Aspetti istituzionali e politiche dell’Unione, cit., pp. 245-246. 90 Causa C-120/95, Decker, supra nota 78, paragrafo 29.
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regolamentate, l’acquisto di un occhiale presso un ottico presenta le stesse garanzie in qualsiasi Stato membro.
Prima di concludere, possono intravedersi i principali meriti della soluzione proposta dalla Corte di Giustizia nella decisione di questi due casi, che sembrano essere il proseguimento logico di quanto affermato per la prima volta nei casi Luisi
e Carbone e Grogan. Sancendo infatti la contrarietà dell’autorizzazione preventiva
ai diritti di libera prestazione dei servizi e di circolazione delle merci, la Corte rimosse una condizione che fino a quel momento aveva dissuaso i pazienti dalla fruizione di prestazioni mediche e prodotti sanitari in un altro Stato membro. Ciò ha permesso l’estensione dei principi del mercato interno anche ai servizi sanitari, sebbene questi siano forniti mediante schemi di assicurazione sociale, condizionando, di fatto, le politiche interne in materia di previdenza sociale e sanità. Oltre all’effettiva promozione dell’assistenza medica transfrontaliera, le pronunce ebbero anche l’effetto, non secondario, di ridurre fortemente la centralità e la rilevanza del regolamento n. 1408/71, il cui rispetto aveva rappresentato l’unica condizione per il rimborso delle spese mediche sostenute all’estero. Da allora tale facoltà è stata direttamente ricollegata alle disposizioni del Trattato, con la conseguenza che la mobilità dei pazienti non rappresentava più un privilegio subordinato alla concessione di una autorizzazione discrezionale ma stava divenendo espressione di un vero e proprio diritto.