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L A CONCESSIONE DI SERVIZI IN AMBITO EUROPEO

2. La concessione di servizi in ambito europeo

Il diritto primario europeo non definisce la concessione di servizi. Nonostante l’inequivocabile rilevanza delle concessioni di servizi per l’effettiva realizzazione del mercato comune, l’unica definizione che negli anni Novanta del secolo scorso era rinvenibile nel diritto europeo derivato era quella relativa alla “concessioni di lavori” 275.

La direttiva 93/37/CEE 276 definiva la concessione di lavori non modo non dissimile dall’appalto di lavori evidenziandone differenze.

Se l’ appalti di lavori era definito come un “contratti a titolo oneroso, conclusi in forma scritta tra un imprenditore e un’amministrazione aggiudicatrice di cui alla lettera b), aventi per oggetto l’esecuzione o, congiuntamente, l’esecuzione e la progettazione di lavori relativi ad una delle attività di cui all’allegato II o di un’opera di cui alla lettera c) oppure l’esecuzione, con qualsiasi mezzo, di un’opera rispondente alle esigenze specificate dall’amministrazione aggiudicatrice”, la concessione di lavori era “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di cui alla lettera a) (id est: dell’appalto pubblico), ad eccezione del fatto che la controprestazione dei lavori consiste unicamente nel diritto di gestire l’opera o in tale diritto accompagnato da un prezzo”.

Il deficit normativo in materia di concessioni di servizi, che aveva agevolato fenomeni di illegittimo utilizzo di tale strumento al quale si ricorreva per

275 Tra gli atti di soft law prodotti dalla Commissione sul tema delle concessioni vedasi la “Comunicazione interpretativa della Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario” (2000/C 121/02).

276 Direttiva 93/37/CEE del Consiglio del 14 giugno 1993 che coordinava le procedure di aggiudicazione degli

sottrarre numerose operazioni economicamente rilevanti alla concorrenza 277, fu colmato dalle Istituzioni comunitarie, le quali, pur escludendo che l’affidamento di concessioni di servizi soggiacessero alla disciplina relativa agli appalti, avevano concluso nel senso di ritenere sempre doverosa l’osservanza delle norme e dei principi del Trattato, in specie quelli di libera circolazione delle merci, di libertà di stabilimento, di libera prestazione dei servizi 278.

Per una definizione di “concessione di servizi” a livello di diritto derivato europeo occorrerà attendere le direttive 2004/17/CE 279 e 2004/18/CE 280.

La nozione di “concessione di servizi” fornita dalle citate direttive risultava pressoché analoga a quella di “concessioni di lavori” in precedenza esaminata.

Così la concessione di servizi era “un contratto che presenta le stesse caratteristiche di un appalto pubblico di servizi, ad eccezione del fatto che il corrispettivo della fornitura di servizi consiste unicamente nel diritto di gestire i servizi o in tale diritto accompagnato da un prezzo” 281.

277 Come osservare da F.MASTRAGOSTINO, Le concessioni di servizi, in M.A.SANDULLI,R.DE NICTOLIS,R.

GAROFOLI (a cura di), Trattato sui contratto pubblici, Milano, 2008, p. 277.

278 La Commissione CE, in data 24 febbraio 1999, ha adottato la “Comunicazione interpretativa sulle

concessioni nel diritto comunitario. Ma vedasi, altresì quanto affermato dalla Corte di Giustizia, 7 dicembre 2000, causa C-324/98, caso Teleaustria, ove fu sostenuto che anche quando un contratto sia escluso dalla sfera di applicazione delle direttive, le amministrazioni aggiudicatrici sono comunque tenute al rispetto dei principi fondamentali dl Trattato. Nello stesso senso il Consiglio di Stato, sezione VI, 2 marzo 2001, n. 1206 secondo cui anche quando un soggetto pubblico non è direttamente tenuto all’applicazione di una specifica disciplina per la scelta del contraente, il rispetto dei principi fondamentali dell’ordinamento comunitario, nonché dei principi generali che governano la materia dei contratti pubblici impone all’amministrazione di operare con modalità che preservino la pubblicità degli affidamenti e la non discriminazione delle imprese, tramite l’utilizzo di procedure competitive selettive.

279 Direttiva 2004/17/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 che coordina le procedure

di appalto degli enti erogatori di acqua e di energia, degli enti che forniscono servizi di trasporto e servizi postali.

280 Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004 relativa al coordinamento

delle procedure di aggiudicazione degli appalti pubblici di lavori, di forniture e di servizi.

281 V. Direttiva 2004/17/CE, art. 1, c. 3, lett. b) e Direttiva 2004/18/CE, art. 1, c. 4. L’appalto pubblico, invece,

era definito “un contratto a titolo oneroso stipulato per iscritto tra uno o più operatori economici e una o più amministrazioni

Il discrimen tra le due istituti – appalti e concessioni - veniva così individuato nel diritto di gestire il servizio. Il concessionario, dunque, non era direttamente remunerato dal partner pubblico ma otteneva da quest’ultimo il diritto di poter sfruttare economicamente il servizio 282.

Il diritto di gestione implicava anche il trasferimento del rischio di non riuscire attraverso la gestione a recuperare gli investimenti ed i costi sostenuti per la fornitura del servizio.

Se i poteri pubblici sopportavano la maggior parte dell’alea gestoria garantendo all’operatore economico, ad esempio, il rimborso dei finanziamenti o la copertura delle perdite, l’elemento rischio veniva a mancare dando luogo ad un contratto di appalto anziché ad una concessione 283.

La circostanza che il diritto di gestione fosse accompagnato da un prezzo non modificava la qualificazione del rapporto.

Si trattava di un’ipotesi che esisteva nella pratica.

282 Si pensi, ad esempio, al contratto mediante il quale un’autorità pubblica attribuisce ad una società il diritto

di gestire una mensa scolastica permettendole di remunerarsi attraverso la vendita dei pasti agli utenti.

283 Cfr. ex multis Corte di Giustizia, causa C-196/08, Acoset s.p.a. c. Saceccav depurazioni Sacede s.p.a., ove è affermato

che “la concessione di servizi è caratterizzata dal fatto che essa implica un trasferimento del rischio legato alla gestione dell’opera

al concessionario. […] Si è in presenza di una concessione di servizi allorquando le modalità di remunerazione pattuite consistono nel diritto del prestatore di sfruttare la propria prestazione ed implicano che quest’ultimo assume il rischio legato alla gestione dei servizi in questione. […] Il mancato trasferimento al prestatario dei rischi legati alla prestazione dei servizi indica che l’operazione in oggetto costituisce un appalto pubblico di servizi e non una concessione di servizi pubblici”. Tali considerazioni erano in

linea con quanto affermato anni prima dalla Commissione europea nella Comunicazione interpretativa della

Commissione sulle concessioni nel diritto comunitario, cit., le cui disposizioni, seppur limitate alla concessione di lavori,

potevano certamente valere anche per la concessione di servizi. L’ orientamento interpretativo della Corte di Giustizia è stato recepito anche dalla giurisprudenza amministrativa. Così, il Consiglio di Stato, sez. V, 9 settembre 2011, n. 5068, ha affermato che le concessioni si distinguono agli appalti “per il fenomeno di traslazione

dell’alea inerente una certa attività in capo al soggetto privato”. Ancora, il Consiglio di Stato, sez V., 13 giugno 2012, n.

3474, afferma che nel rapporto di concessione, l’imprenditore “sopporta il rischio economico dell’operazione in vista del

conseguimento, necessariamente non garantito, di un utile patrimoniale adeguato, mentre la stazione appaltante agisce in vista del conseguimento di un utile non patrimoniale, consistente nell’incremento dei servizi a favore della collettività”.

Poteva accadere, infatti, che il partner pubblico decidesse di sostenere parzialmente il costo di gestione della concessione a seguito dell’imposizione a carico dell’operatore economico di obblighi di servizio pubblico.

La direttiva, tuttavia, precisando che il diritto di gestione poteva essere “accompagnato da un prezzo”, aveva cura di evidenziare come la remunerazione del concessionario dovesse provenire in via principale dalla gestione del servizio. Il prezzo versato poteva dunque coprire solo una parte del costo del servizio e non poteva essere tale da eliminare il rischio inerente alla gestione.

La definizione di concessione di servizi fornita dalla direttiva 2004/18/UE fu recepita in ambito nazionale dal decreto legislativo 12 aprile 2006, n. 163, art. 3, c. 12, che la riproponeva senza alcuna sostanziale variazione.

Alle concessioni de quo era dedicato altresì l’art. 30, del citato decreto, il quale forniva utili precisazioni nell’affermare che la controprestazione a favore del concessionario doveva consistere unicamente nel diritto di gestire funzionalmente e di sfruttare economicamente il servizio; il prezzo, eventualmente corrisposto dal soggetto concedente, purché definito in sede di gara, poteva essere riconosciuto qualora al concessionario fosse imposto di praticare nei confronti degli utenti prezzi inferiori a quelli corrispondenti alla somma del costo del servizio e dell’ordinario utile di impresa, ovvero qualora fosse necessario assicurare al concessionario il perseguimento dell’equilibrio economico-finanziario degli investimenti e della connessa gestione in relazione alla qualità del servizio da prestare.

L’art. 30, infine, onerava le autorità pubbliche che decidevano di coinvolgere un terzo nell’esercizio del servizio a rispettare i principi desumibili dal Trattato e i principi generale relativi ai contratti pubblici e, in particolare dei principi di trasparenza, di adeguata pubblicità, non discriminazione, parità di trattamento, mutuo riconoscimento, proporzionalità.

L’obiettivo di tali principi è permettere a tutti gli operatori economici interessati a concorrere all’aggiudicazione di contratti pubblici a condizioni eque e trasparenti nello spirito del mercato interno europeo, elevando in tal modo la

qualità di questo tipo di progetti e riducendone i costi grazie ad una maggiore concorrenza.

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