• Non ci sono risultati.

I SERVIZI PUBBLICI NEL DIRITTO NAZIONALE

7. I modelli di gestione dei servizi pubblici locali.

7.1. La legge 8 giugno 1990, n 142, e l’affermazione del modello societario

L’azienda speciale fu tra i modelli di gestione quello a cui gli enti locali ricorsero con maggiore frequenza.

Tale modello organizzativo, tuttavia, si dimostrò nel tempo incapace di far fronte alle mutate esigenze della società industriale avanzata, che non traeva più soddisfazione dalla mera erogazione del servizio ma pretendeva l’erogazione di servizi di sempre maggiore qualità 196.

L’aumento della domanda di qualità del servizio comportò anche aumento dei costi di gestione a cui i Comuni e le Provincie non riuscirono a farvi fronte 197.

Si avvertì dunque la necessità di individuare nuovi strumenti di gestione che consentissero di reperire risorse finanziarie da parte di soggetti esterni all’amministrazione 198.

195 M.DUGATO, I servizi, op. cit., p. 2585. 196 M.DUGATO, I servizi, op. ult. cit., p. 2585.

197 Per S.D’ANTONIO, La gestione, cit., p. 120, l’esigenza di introdurre nuovi modelli di gestione dei servizi fu

avvertita in particolar modo a seguito dell’aumento della domanda di qualità dei servizi, dovuto al rapito sviluppo economico e civile della società italiana, che aveva determinato un aumento dei costi di gestione a cui gli enti locali non riuscivano a far fronte.

198 Per una più amplia analisi delle casistiche che hanno determinato la crisi dell’azienda speciale M.MERUSI, Cent’anni, cit., p. 44 e ss; F.MERUSI, Sul finanziamento dei consorzi per l’esercizio di servizi pubblici municipalizzati, in

Fu per tale ragione che il legislatore, con legge 8 giugno 1990, n. 142, a cui la legge 2 aprile 1968, n. 475 faceva rinvio, introdusse la formula di gestione della società per azioni, condizionandone il ricorso ai soli casi in cui si rendesse opportuna la collazione con soggetti terzi, pubblici e privati, e purché la società rimanesse “a prevalente capitale pubblico locale” 199.

Invero, lo strumento societario si diffuse ben prima del suo riconoscimento a livello normativo 200.

Tale società godevano del privilegio dell’affidamento diretto del servizio, a cui accedevano senza alcun confronto concorrenziale.

Per ridurre lo sforzo finanziario che gli enti locali dovevano sostenere per la sottoscrizione del capitale di maggioranza, il legislatore consentì agli enti locali la possibilità di avvalersi di ulteriori formule societarie, quali la società per azioni “senza vincolo di proprietà maggioritaria” 201, il cui socio privato doveva essere

legavano l’azienda-organo all’ente ne rallentassero l’azione imprenditoriale pregiudicandone l’efficacia dell’intervento. A ciò aggiungeva che il legame economico finanziario tra l’ente locale e l’azienda speciale privava quest’ultima di quell’autonomia finanzia necessaria per una autonoma politica degli investimenti e dell’indebitamento.

199 Legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 22. La società a partecipazione pubblica maggioritaria, la cui natura – come

osservato dalla Corte di Cassazione, Sezioni Unite, sentenza 6 maggio 1995, n. 4991, gestiva il servizio in assenza di un presupposto concessorio: l’opzione dell’ente per quel modello di gestione comportava, infatti, l’affidamento diretto e privilegiato del servizio.

200 Sul tema, cfr. M.DUGATO, I servizi, op. ult. cit., p. 2587 precisa, infatti, che per superare la distonia tra le

mutate esigenze ed i mezzi di gestione, gli enti locali risposero tentando di ricorrere agli strumenti del diritto privato pensati per la gestione delle attività economiche. Accadde così che si cominciassero ad avviare procedimenti di costituzione di società per azioni a capitale interamente pubblico o a capitale misto. Poiché il modello societario non era espressamente previsto dalle norme sui servizi pubblici locali, l’affidamento alle società del servizio avveniva per mezzo dell’ordinario provvedimento di concessione.

201 Le società per azioni senza vincolo di proprietà maggioritaria pubblica furono introdotte dalla legge 23

dicembre 1992, n. 498, art. 12, il quale, nel contempo, delegata il Governo a disciplinare i criteri di scelta dei possibili soci mediante procedimento di confronto concorrenziale, che tenesse conto dei principi della normativa comunitaria. A riguardo, il d.P.R. 16 settembre 1996, n. 533, art. 1, c. 4., stabiliva che il socio privato di maggioranza fosse scelto dall’ente o dagli enti promotori mediante una procedura concorsuale ristretta

individuato con procedure concorsuale ristrette, ed la società a responsabilità limitata con prevalente capitale pubblico 202.

Alla pari delle società per azioni a prevalente capitale pubblico, anche per i nuovi modelli di gestione era attribuito il beneficio dell’affidamento diretto, bilanciato dall’imposizione della gara per la scelta del socio.

La legge sull’ordinamento delle autonomie locali continuava ad ammettere la gestione dei servizi pubblici locali per mezzo di aziende speciali che furono trasformate in enti pubblici economici strumentali all’ente locale dotate di personalità giuridica ed a cui fu attribuita autonomia imprenditoriale 203. Tale modello di gestione si prestava ad essere utilizzato anche per la gestione di più servizi di rilevanza economica ed imprenditoriale.

L’azienda municipalizzata veniva conservata, con il mutato nome di “istituzione”, per la gestione dei servizi sociali senza rilevanza imprenditoriale.

Infine, la gestione in economia – ammessa per ragioni inerenti le modeste dimensioni o per le caratteristiche del servizio - e la concessione a terzi – il cui ricorso era subordinato alla sussistenza di ragioni tecniche, economiche e di opportunità sociale - completavano il quadro dei modelli di organizzazione dei servizi pubblici previsti dal nuovo ordinamento delle autonomie locali.

La scelta del modello di gestione da parte dell’ente locale aveva luogo in relazione alla natura del servizio ed in base agli obiettivi d’interesse pubblico ad essi sotteso.

La legge 8 giugno 1990, n. 142, è restata in vigore sino all’adozione del decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sull’ordinamento degli enti locali, il quale, nella sua versione originaria, riproponeva i modelli di gestione previsti in via generale dalla legge del 1990 così come integrati dalle normative che si sono succedute nel tempo.

202 V. legge 15 maggio 1997, n. 127, art. 17. 203 V. Legge 8 giugno 1990, n. 142, art. 23, c. 1.

7.2. Il decreto legislativo 18 agosto 2000, n. 267, sull’ordinamento degli

Outline

Documenti correlati