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La rilevanza del consenso nel quadro dell’istituto concessorio: la natura delle concessioni.

L A CONCESSIONE DI SERVIZI NELLA DISCIPLINA NAZIONALE

4. La rilevanza del consenso nel quadro dell’istituto concessorio: la natura delle concessioni.

La natura giuridica della concessione costituisce una questione altrettanto controversa.

La ricostruzione tradizionale propendeva per ricondurre la concessione nel novero dei provvedimenti amministrativi onde attribuire all’amministrazione un costante governo dell’interesse pubblico anche quando la gestione di un certo servizio fosse stata attribuita ad un terzo soggetto 345.

Il consenso del privato, pur se indefettibile, era confinato a mera condizione d’efficacia, non essendogli riconosciuto il potere di negoziare il rapporto, bensì solo quello di accettare contenuti determinati unilateralmente dalla pubblica amministrazione attraverso il provvedimento di concessione 346.

345 B.GILIBERTI, La concessione di pubblico servizio tra sistematiche nazionali e diritto comunitario, in Dir. amm., 1/2011,

p. 187, alla cui più ampia disamina si rinvia, nel ricostruire il dibattito sulla natura della concessione, afferma che tradizionalmente vi era la convinzione che “allorquando la cura di un certo servizio sia attribuita ad una pubblica

amministrazione, questa ne detiene il costante governo, sicchè le concessioni di pubblici servizi hanno intrinseca dimensione pubblicistica e all’amministrazione spetta sempre il potere di disporne per motivate ragioni di pubblico interesse”.

346 Favorevole a tale ricostruzione A.ROMANO,La concessione di pubblico servizio, in G.PERICU,A.ROMANO,V.

SPAGNOLO VIGORITA, La concessione di pubblico servizio, Milano, 1995, p. 75, in cui è affermato che la costituzione del rapporto concessorio può avvenire “solo per effetto di un atto il cui carattere non può che essere ugualmente pubblico; il

che esclude di per sé che esso possa avere natura di contratto di diritto privato. […] Conseguentemente, la concessione medesima, oltre che atto di diritto pubblico, appare essere atto unilaterale”. Ciò tuttavia, “non implica affatto che il suo effetto tipico si produca coattivamente a carico del concessionario”; F.FRACCHIA, Concessioni amministrative, in Enciclopedia del diritto, p.

251, riferendosi a tale ricostruzione afferma che “la soluzione offerta configura l’atto di concessione tutto e soltanto nel

prevedimento amministrativo, posto in vista di interessi pubblici da un soggetto che opera come autorità”. Trattano l’argomento

F.BENVENUTI, Il ruolo dell’amministrazione nello Stato democratico, in G.MARONGIU,G.C.DE MARTIN (a cura di),

Democrazia e amministrazione, Milano, 1992; F.LIGUORI, I servizi pubblici locali, Torino, 2004; O.RANELETTI, Concetto e natura delle autorizzazione e concessioni amministrative, in Giur. It., 1984, IV, p. 7; M.GALLO, I rapporti

contrattuali nel diritto nel diritto amministrativo, Padova, 1936;AMORTH, Osservazioni sui limiti all’attività amministrativa

Successivamente si registrarono scostamenti rispetto a siffatta ricostruzione. A non convincere era la marginale rilevanza che stata attribuita al consenso del privato nel processo di instaurazione del rapporto concessionario.

Non si comprendeva come fosse possibile riconnettere al solo provvedimento amministrativo, e dunque ad un atto unilaterale, l’attitudine di fonte del rapporto quando nel concreto lo stesso si dimostrava incapace di produrre effetti senza una conforme manifestazione di volontà da parte del privato 347.

Tali criticità furono superate attraverso la proposizione di una teoria che faceva perno sulla presenza di due momenti: uno pubblicistico ed uno privatistico348.

Questa tesi sosteneva che fosse possibile ricondurre il rapporto a due distinti atti-fonte: da un lato, il provvedimento, al quale competeva la costituzione del rapporto, dall’altro, il contratto, a cui era demandata la regolazione degli aspetti patrimoniali del rapporto 349.

La presenza del contratto, tuttavia, non impediva all’amministrazione di incidere sulla concessione per ragioni di pubblico interesse.

Ad avviso la dottrina, occorreva pur sempre riconoscere all’amministrazione pubblica una costante disponibilità del rapporto

347 B.GILIBERTI, La concessione, cit., p. 195, a riguardo, precisa che si trattava di provvedimenti “sforniti non solo di imperatività, ma anche di reale autoritatività, ovverosia di attitudine a rilevare quale centro autonomo ed esclusivo di definizione ed imputazione dell’effetto giuridico di genesi e regolamentazione del rapporto concessorio”.

348 V. B.GILIBERTI, La concessione, op. cit., p. 191, il quale evidenzia come tale sistematica si fondi sull’idea di

M.S. GIANNINI, Istituzioni di diritto amministrativo, in A.MIRABELLI CENTURIONE (a cura di), Milano, 2000, p. 501, di riconoscere anche agli enti pubblici piena autonomia privata: “non esiste alcun motivo per cui l’ente pubblico

che agisca usando il diritto privato debba essere posto in condizioni di minorazione rispetto ad altri privati”. Cfr. anche G.

GRECO, I contratti dell’amministrazione tra diritto pubblico e privato, Milano, 1986, p. 127, secondo cui “agli enti pubblici,

in quanto persone giuridiche non può non essere riconosciuta […] una piena capacità giuridica di diritto privato, oltre che una altrettanto piena autonomia privata”.

349 La tesi dualistica cui si accenna fu elaborata dalla giurisprudenza a far data dai primi decenni degli anni

Novanta. A livello dottrinale cfr. U.FORTI, Natura giuridica delle concessioni amministrative, in Giur. it., 1900, IV, p.

concessorio per garantire uno svolgimento dello stesso conforme alle esigenze d’interesse pubblico 350.

Ne conseguiva che il venir meno del provvedimento di concessione per autotutela comportava la conseguente inefficacia del contratto.

Ma anche tale ricostruzione non fu immune da critiche da parte di chi evidenziò come la genesi del rapporto fosse da ricondursi unicamente alla volontà comune delle parti. In particolare, fu rilevato come il provvedimento fosse del tutto incapace di instaurare un rapporto giuridico tra amministrazione e destinatario, dovendosi demandare tale definizione ad un successivo contratto, quest’ultimo da ritenersi costitutivo del rapporto 351.

Le tesi dualistiche furono superate in seguito al diffondersi dell’indirizzo che suggeriva di estendere al settore della concessione la figura degli accordi tra privati e amministrazioni, declinati come sostitutivi o codeterminativi del contenuto discrezionale del provvedimento, che consentivano di meglio affermare la rilevanza del confronto e della negoziazione tra concessionario e concedente 352.

350 G.GRECO, Le concessioni di pubblici servizi tra provvedimento e contratto, in Dir. amm, 1999, p. 401.

351 A sostegno di tale tesi G.FALCON, Le convenzioni pubblicistiche – Ammissibilità e caratteri, Milano, 1984, p. 71

ss., il quale afferma che “Il rapporto, come rapporto specifico e determinato, non sorge se non nel momento nel quale la decisione

discrezionale dell’amministrazione si integra nella disciplina convenzione, come parte di essa, e che d’altra parte lungo tutta la sua esistenza esso deve avere a proprio fondamento – senza il quale cessa di sussistere – quella stessa decisione discrezionale, integrata nella disciplina convenzionale”. A sostegno di tale conclusione, l’A. osservava che “o al provvedimento si collega un autonomo e preciso contenuto, consistente nella creazione di un rapporto giuridico definito tra amministrazione e destinatario, ed allora il contratto appare inutile […] oppure esso non ha altro contenuto che l’individuazione di un soggetto, con il quale è possibile un successivo contratto, avente ad oggetto il bene pubblico: ma allora il provvedimento […] non può dirsi affatto, per contro, costitutivo di un rapporto”.

352 F.FRACCHIA, Concessioni, cit., p. 254; R.GAROFOLI,G.FERRARI, Manuale, cit., p. 1167, evidenzia come anche

la natura di tali accordi, nella specie quelli sostitutivi, fosse controversa. Alla tesi che ne sosteneva il carattere pubblicistico, si contrapponeva quella che ne affermava la natura privata. Diversi erano gli argomenti addotti a sostegno di questa seconda impostazione. In particolare, fu evidenziato che l’art. 11 esprimendosi in termini di “accordo” faceva uso di una terminologia tipicamente privatistica, estranea alla tradizione pubblicistica; il recesso, di cui la p.a. poteva avvalersi, era altresì uno strumento privatistico; in virtù del rinvio operato dal legislatore, la disciplina degli accordi era subordinata all’applicazione dei principi civilistici. Riconoscere agli accordi natura privata, comportava come conseguenza l’impossibilità per la p.a. di avvalersi dei rimedi di autotutela esecutiva.

L’annessione della concessione al terreno del contratto, pur costituendo una operazione anche culturalmente molto significativa, sembrerebbe tuttavia inevitabile, anche a seguito dell’affermazione del principio sancito dall’art. 1-bis della legge sul procedimento amministrativo 353.

La natura contrattuale della concessione sarebbe in via mediata confermata anche da alcune previsioni del Codice, le quali, tra l’altro, per la disciplina di alcuni aspetti relativi alla stipula ed alla fase di esercizio del contratto, rinviano alle norme del codice civile 354.

Nella specie:

- l’art. 30, c. 8, del Codice, precisa che, fatto salvo quanto diversamente previsto dal decreto legislativo 18 aprile 2016, n. 50, “alla stipula del contratto e alla fase di esercizio si applicano le disposizioni del codice civile”;

- l’art. 176, del Codice, ammette l’applicazione di rimedi privatistici tra cui la risoluzione per inadempimento del concessionario disciplinata dall’art. 1453 del codice civile. Ma altrettanto ammissibile deve considerarsi la risoluzione per impossibilità e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta rispettivamente disciplinate dagli artt. 1463 e 1467 del codice civile.

Anche le più recenti pronunce giurisprudenziali sull’argomento affermano che deve considerarsi “ormai stabile nella legislazione europea […] e nazionale […] la ricostruzione di tale istituti come contratto a titolo oneroso 355.

353 Sul punto, D.DE PRETIS, L’attività contrattuale della P.A. e l’art. 1-bis della legge n. 241 del 1990: l’attività non autoritativa secondo le regole del diritto privato e il principio di specialità, in. F.MASTRAGOSTINO (a cura di), Tipicità e

atipicità nei contratti pubblici, Bologna, 2007, pp. 29 ss.

354 M.D’ALBERTI, Diritto Pubblico e diritto privato nei contratti pubblici, Convegno di studi La disciplina dei contratti pubblici nel contesto economico, Bologna, 10 novembre 2017, sottolinea come vi sia stato un rafforzamento del diritto

comune nell’ambito della disciplina dei contratti pubblici

355 Tra le più recenti pronunce giurisprudenziali sulla tematica relativa alla natura della concessione si segnala il

TAR Calabria, Catanzaro, sez. I, sentenza 25 ottobre 2017, n. 1600, punto 8.1, ove è affermato che “E’ ormai

stabile nella legislazione europea (art. 1, comma 3, Direttiva 2004/18/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 31 marzo 2004; art. 5, comma 1, n. 1), lett. b) Direttiva 2014/23/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 26 febbraio 2014) e nazionale (art 3, comma 12, d.lgs. 12 aprile 2016, n. 163; art. 3, comma 1, lett. vv), d.lgs. 18 aprile 2016, n. 50) la ricostruzione di tale istituto come un contratto a titolo oneroso”.

L’esercizio del potere di autotutela, dunque, dovrebbe in tal modo essere confinato alla sola fase ad evidenza pubblica, quella anteriore alla stipula del contratto, mediante la quale l’amministrazione procedere ad individuare (id est: scegliere) il contraente.

Non vi è dubbio, infatti, che gli atti di gara, compresa l’aggiudicazione, soggiacciono all’influenza del potere di autotutela decisoria, nei limiti previsti dalle norme generali di cui all’artt. 21-nonies e 21-quinquies della legge sul procedimento amministrativo.

Diversa è l’ipotesi in cui il contratto sia già stato stipulato: in tal caso, la portata del potere pubblico dovrebbe scontrarsi con la presenza di un vincolo di natura privatistica 356.

Il contratto, dunque, dovrebbe considerarsi lo spartiacque tra l’esercizio dei poteri di autotutela e il ricorso a rimedi privatistici.

Tuttavia, occorre evidenziare come l’art. 30 sopracitato, se da un lato, per la disciplina della stipula e della fase di esercizio del contratto di concessione rinvia alle disposizioni del codice civile, dall’altro, a detto rinvio deve comunque essere attribuita rilevanza residuale in quanto opererebbe “per quanto non previsto dal presente codice [dei contratti pubblici] e dagli atti attuativi”.

Il codice, d’altronde, non disciplina unicamente le procedure di scelta del contraente ma, innovandosi rispetto al passato, dedica altresì attenzione alla fase di esecuzione dei contratti.

Si vuole dunque proseguire nell’indagine onde verificare nell’ambito del Codice la presenza di disposizioni che possano attribuire all’amministrazione la possibilità di ricorrere a strumenti di autotutela anche dopo la stipulazione del contratto.

Ci si riferisce alle previsioni di cui all’art. 176, del Codice, a recepimento del già esaminato art. 44 della direttiva 2014/23/UE.

356 Come osservato da A.ARCASENSA, L’esercizio del potere di autotutela dopo la stipulazione del contratto, in www.italiappalti.it, 2016, p. 3.

Detto articolo, collocato nella parte relativa all’esecuzione dei contratti di concessione, rubricato “Cessazione, revoca d’ufficio, risoluzione per inadempimento”, nel suo incipit, facendo “salvo l’esercizio del potere di autotutela”, ammette che il contratto possa “cessare” (così, testualmente) in particolare, quando:

a) il concessionario avrebbe dovuto essere escluso ai sensi dell'articolo 80; b) la stazione appaltante ha violato con riferimento al procedimento di

aggiudicazione, il diritto dell'Unione europea come accertato dalla Corte di Giustizia dell'Unione europea ai sensi dell'articolo 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;

c) la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell'articolo 175, comma 8.

In tali ipotesi, il legisaltore, ai sensi del comma 2 del citato articolo, precisa che “non si applicano i termini previsti dall'articolo 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241”.

Il richiamo operato dall’art. 176, c. 2, all’art. 21-nonies della legge n. 241/90 confermerebbe come anche dopo la stipulazione del contratto sia riconosciuto all’amministrazione la possibilità di esercitare poteri di autotutela nella forma dell’annullamento d’ufficio.

Già in passato il legisaltore aveva riconosciuto la possibilità di annullare l’aggiudicazione dopo la stipula del contratto 357.

Il valore della stabilità del negozio deve dunque considerarsi recessivo rispetto al ripristino della legalità.

357 Tale possibilità era di fatto contemplata dall’art. 1, c. 136, della legge 30 dicembre 2004, n. 311, poi abrogato

dall’art. 6, c. 2, legge 7 agosto 2015, n. 124, il quale recitava: “Al fine di conseguire risparmi o minori oneri finanziari

per le amministrazioni pubbliche, può sempre essere disposto l'annullamento di ufficio di provvedimenti amministrativi illegittimi, anche se l'esecuzione degli stessi sia ancora in corso. L'annullamento di cui al primo periodo di provvedimenti incidenti su rapporti contrattuali o convenzionali con privati deve tenere indenni i privati stessi dall'eventuale pregiudizio patrimoniale derivante, e comunque non può essere adottato oltre tre anni dall'acquisizione di efficacia del provvedimento, anche se la relativa esecuzione sia perdurante”. Anche la giurisprudenza si era mostrata compatta nel sostenere l’ammissibilità

dell’annullamento d’ufficio. Vedasi, ex multis, TAR Puglia, Bari, Sez. I, 12 gennaio 2011, n. 20; TAR Lazio, Roma, sez. II bis, 10 settembre 2010, n. 32215.

Nel contempo, l’art. 176, c. 4, del Codice, ammette altresì che l’amministrazione “revochi la concessione per motivi d’interesse pubblico” 358.

Anche in tale ipotesi, deve ritenersi che nell’intento del legisaltore il termine “revoca” sia stato utilizzato per riferirsi al potere di cui all’art. 21-quiques, legge n. 241/90. A favore di tale tesi: il riferimento ai “motivi d’interesse pubblico”; l’incipit “salvo l’esercizio del potere di autotutela”; la stessa rubrica dell’art. 176 ove si parla di “revoca d’ufficio”.

In tal caso, tuttavia, alla revoca non conseguirà un mero “indennizzo” poiché, per espressa volontà del legisaltore del Codice, essa resta sottoposta alla condizione del pagamento da parte dell’amministrazione aggiudicatrice o dell’ente aggiudicatore di una adeguata compensazione del pregiudizio sofferto dalla controparte.

La revoca dell’aggiudicazione, che sarà svincolata dalla presenza di vizi di legittimità, potrà essere disposta dall’amministrazione per ragioni di opportunità anche dopo la stipulazione del contratto.

Se ne deduce, pertanto, che fermo il ricorso alle regole civilistiche per la disciplina generale del rapporto contrattuale tra amministrazione e privati, la categoria dei contratti di diritto pubblico (o ad oggetto pubblico) si distingue da quella dei contratti di diritto privato per il mantenimento di una posizione di supremazia dell’amministrazione.

In altri termini, può affermarsi che l’amministrazione, nella fase privatistica, si pone con la controparte in una posizione di tendenziale parità, con ciò sintetizzando l’effetto delle disposizioni speciali apprestate in favore dell’amministrazione, derogatorie del diritto comune.

La posizione dell’amministrazione, con la stipulazione del contratto, è definita dall’insieme delle norme civilistiche e da quelle speciali, individuate dal codice dei contratti pubblici, operando l’amministrazione, in forza di queste ultime in via non integralmente paritetica rispetto al contraente privato, fermo

358 Sulla revoca d’ufficio dopo la stipulazione del contratto cfr. Consiglio di Stato, Adunanza Plenaria, sentenza

restando che le sue posizioni di specialità, essendo l’amministrazione comunque parte di un rapporto che rimane privatistico, restano limitate alle singole norme che le prevedono.

L’attività dell’amministrazione, pur se esercitata secondo moduli privatistici dovrà comunque esser sempre volta al fine primario dell’interesse pubblico, con la conseguente previsione su tale presupposto di regole specifiche e distinte.

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