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L A CONCESSIONE DI SERVIZI NELLA DISCIPLINA NAZIONALE

14. Lo scioglimento del contratto di concessione

La disciplina dettata dal legislatore in materia di cessazione, revoca d’ufficio, risoluzione per inadempimento del contratto è in parte già stata trattata nel corso della indagine relativa alla natura giuridica della concessione.

Fatto salvo quanto già detto in precedenza, l’art. 176 del Codice individua le condizioni, già previste dall’art. 44 della direttiva 2014/23/UE, che giustificano da parte delle amministrazioni aggiudicatrici e degli enti aggiudicatori l’esercizio dell’autotutela c.d. pubblicistica nella forma dell’annullamento d’ufficio.

A seguito delle modifiche operative dall’art. 104 del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, all’art. 176 del Codice, l’esercizio del potere di autotutela è divenuto facoltativo, e non più obbligatorio, in coerenza con l’assetto nazionale dell’autotutela provvedimentale, sempre discrezionale, risultando necessario, oltre al presupposto della violazione di legge, quello ulteriore della sussistenza

di un interesse pubblico concreto e attuale all’annullamento, fatto eccezione – come si vedrà - per il limite temporale 393.

Le condizioni che giustificano l’esercizio dei poteri di autotutela nella forma dell’annullamento d’ufficio sono individuate dal legislatore, il quale, riproducendo pedissequamente le ipotesi di cui all’art. 44 della direttiva 2014/23/UE, afferma che “la concessione può cessare, in particolare, quando”:

a) il concessionario avrebbe dovuto essere escluso ai sensi dell’art. 80;

b) la stazione appaltante ha violato con riferimento al procedimento di aggiudicazione, il diritto dell’Unione europea come accertato dalla Corte di giustizia dell’Unione europea ai sensi dell’art. 258 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea;

c) la concessione ha subito una modifica che avrebbe richiesto una nuova procedura di aggiudicazione ai sensi dell’art. 175, comma 8.

Ci si potrebbe domandare se l’elencazione delle condizioni proposta dal legislatore debba essere interpretata come tassativa ovvero esemplificativa. Il dubbio sorge in virtù dell’espressione utilizzato tanto dal legislatore nazionale, quanto dal legislatore europeo, “la concessione cessa, in particolare” che pare essere utilizzata come forma di esortazione all’esercizio di un potere di autotutela discrezionale, senza precludere all’amministrazione la possibilità di esercitare poteri di autotutela al ricorrere di vizi di legittimità differenti da quelli espressamente elencati. D’altronde, anche l’analoga disposizione prevista dalla direttiva 2014/24/UE in materia di risoluzione dei contratti di appalto prescrive al legislatore nazionale di riconoscere alle amministrazioni aggiudicatrici la possibilità di risolvere il contratto “almeno” nelle ipotesi dallo stesso tassativamente elencate 394.

393 L’art. 104 del decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, ha disposto modifiche all’art. 176 del decreto legislativo

18 aprile 2016, n. 50, affermando che “1. All’articolo 176 del decreto legislativo 2016, n. 50, sono apportate le seguenti

modifiche: all’alinea, le parole “La concessione cessa” sono sostituite dalle seguenti: “Fermo restando l’esercizio dei poteri di autotutela, concessione può cessare, in particolare,”.

Tuttavia, mentre l’autotutela esercitata al ricorrere delle condizioni di cui all’art. 176, c. 1, del Codice, è sottratta dal rispetto del limite temporale di cui all’art. 21-nonies della legge 7 agosto 1990, n. 241, l’autotutela esercitata per altre ragioni d’interesse pubblico sarà, invece, sottoposta al rispetto dell’intera disciplina generale, tra cui il termine ragionevole, comunque non superiore a diciotto mesi.

Si tratterebbe di un annullamento officioso disposto dopo la stipulazione del contratto, ragione per cui il legislatore regola altresì le sorti del rapporto, con particolare riferimento agli aspetti patrimoniali. In particolare, solo qualora l’annullamento sia stato disposto a seguito di un “vizio non imputabile al concessionario”, ai sensi dell’art. 176, c. 3, citato, dovrà essere riconosciuto al concessionario:

- il valore delle opere realizzate più gli oneri accessori, al netto degli ammortamenti, ovvero nel caso in cui l’opera non abbia ancora superato la fase di collaudo, i costi effettivamente sostenuti dal concessionario;

- le penali e gli altri costi sostenuti o da sostenere in conseguenza della risoluzione, ivi inclusi gli oneri derivanti dallo scioglimento anticipato dei contratti di copertura del rischio di fluttuazione del tasso d’interesse; ù - un indennizzo a titolo di risarcimento del manato guadagno pari al 10 per

cento del valore delle opere ancora da eseguire ovvero, nel caso cin cui l’opera abbia superato la fase di collaudo, del valore attuale dei ricavi risultanti dal piano economico finanziario allegato alla concessione per gli anni residui di gestione.

Dette somme sono destinate prioritariamente al soddisfacimento dei crediti dei finanziatori del concessionario e dei titolari di titoli emessi ai sensi dell’art. 185, limitatamente alle obbligazioni emesse successivamente alla data di entrata in vigore della presente disposizione e sono indisponibili da parte di quest’ultimo fino al completo soddisfacimento di detti crediti.

Il pagamento delle sopracitate somme spettano al concessionario anche in caso di risoluzione del contratto di concessione per inadempimento imputabile

all’amministrazione aggiudicatrice oppure in caso di revoca per motivi di pubblico interesse.

La revoca del contratto deve ritenersi sia sottoposta – nonostante non sussista uno specifico rinvio - al rispetto della disciplina generale prevista dall’art. 21-quinques legge 7 agosto 1990, n. 241, con la sola differenza che, per espressa disposizione codicistica di cui all’art. 176, c. 6, del Codice, l’efficacia della stessa sarà sottoposta alla condizione del pagamento da parte dell’amministrazione o dell’ente aggiudicatore delle somme di cui al comma 3 dell’articolo in esame.

In tutti i casi in cui il rapporto concessorio cessi per causa non imputabile al concessionario, a quest’ultimo il legislatore riconosce il diritto di proseguire nella gestione ordinaria dell’opera, incassandone i ricavi da essa derivanti, sino all’effettivo pagamento delle sopracitate somme per il tramite del nuovo subentrante, fatti salvi gli eventuali investimenti improcrastinabili individuai dal concedente unicamente alle modalità di finanziamento dei correlati costi.

La risoluzione della concessione per inadempimento del concessionario è, invece, disciplinata dall’articolo 1453 in virtù dell’espresso rinvio operato dall’art. 176, c. 7, del Codice. Resta, tuttavia, da chiarire se, fatto salvo il diritto al risarcimento del danno spettante all’amministrazione, al concessionario spetti quantomeno il rimborso delle spese sostenute, nei limiti dell’arricchimento dell’amministrazione. La mancata precisazione potrebbe essere foriera di contenzioso tra le parti del rapporto.

In caso di risoluzione per inadempimento del concessionario, oppure, più genericamente, in caso di risoluzione della concessione per cause imputabili al concessionario, la stazione appaltante comunica per iscritto al concessionario e agli enti finanziatori l’intenzione di risolvere il rapporto affinché sia loro consentita, entro novanta giorni dal ricevimento della comunicazione, la possibilità di indicare un operatore economico, che subentri nella concessione, avente caratteristiche tecniche e finanziarie corrispondenti o analoghe a quelle previste nel bando di gara o negli atti in forza dei quali la concessione è stata

affidata, con riguardo allo stato di avanzamento dell’oggetto della concessione alla data del subentro.

Prima delle modifiche apportate dal Codice dal decreto legislativo 19 aprile 2017, n. 56, il subentro, ai sensi dell’art. 176, c. 10, era, salvo le ipotesi di modificazione soggettiva ammesse dall’art. 175, c. 5, lett. d), “limitato al tempo necessario per l’espletamento di una nuova procedura di gara”. Ciò era coerente alle previsioni di cui alla direttiva 2014/23/UE ove era evidenziata la necessità di subordinare l’aggiudicazione ad una nuova procedura di affidamento anche nell’ipotesi in cui il contratto fosse stato risolto in dipendenza di inadempimento del concessionario 395.

La citata previsione è stata tuttavia abrogata dall’art. 104 del decreto correttivo. Pertanto, nonostante permangono taluni dubbi circa la compatibilità di tale disposizioni alla direttiva europea, allo stato attuale la disciplina nazionale ammette che, previo consenso della stazione appaltante, l’operatore subentrante al concessionario originario, così come indicato dagli enti finanziatori, possa proseguire nell’esecuzione della concessione.

Infine, in virtù del rinvio operato dall’art. 30 del Codice alle norme del codice civile, tra le ipotesi che possono determinare la cessazione del rapporto concessionario occorrerà altresì menzionare la risoluzione per impossibilità e la risoluzione per eccessiva onerosità sopravvenuta rispettivamente disciplinate dagli artt. 1463 e 1467 del codice civile.

15. L’obbligo di esternalizzazione mediante procedura ad evidenza

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