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NUOVE RIFORME E NUOVE DOMINAZIONI

3.1 LA PRUSSIA, L’AUSTRIA E GLI STATI ITALIANI

“Perché è assolutamente necessario che tutti facciano la stessa cosa nello stesso tempo? Perché questa disciplina della classe che non è per nulla una disciplina dello spirito? […] Perché bisogna ridurre il bambino - considerato come una materia prima - alla docilità dell’uniformità?” gli interrogativi di De Rougemont1, che piombarono come sassi nello stagno della scuola pubblica del Novecento, suonano oggi quasi suadenti nelle nostre case disseminate di PC, iPhone e altri supporti mediatici. Gioielli che rendono il sogno della home schooling2 sempre più a portata di mano e la classe, magari con l’insegnante, un vecchio arnese da relegare in soffitta. Eppure per due secoli, in Europa, una lavagna nera e una sfilza di banchi tutti uguali rappresentarono per milioni di bambini una porta spalancata sul futuro, la sola in grado di riscattarli dalla povertà, dal duro lavoro nei campi e poi nelle fabbriche, dalla cieca obbedienza a un padrone. E il metodo detto “normale” è quello tuttora in uso indicando, né più né meno, l’insegnamento collettivo e la divisione in classi. È grazie a questo metodo che le riforme avviate in Prussia, nell’Austria teresiana e nella Lombardia austriaca finirono per rappresentare in Europa un punto di svolta nel processo di trasformazione dei sistemi scolastici3. Non è un mistero che tra Sette e Ottocento “l’archetipo didattico ufficialmente adottato nell’intera Penisola apparisse sostanzialmente mutuato dalle scuole normali asburgiche, o in via diretta o attraverso la mediazione francese. Si volle poi “un sol metodo generale nell’insegnare””. Ma si trattava di pratiche didattiche avviate nel secolo dei Lumi e, se intese come insegnamento “uniforme” cioè impartito a più alunni contemporaneamente, già vecchie di qualche decennio. Di nuovo, nel sostenere quel metodo da parte dei funzionari del Regno d’Italia, c’era la ferma volontà di pianificarne dall’alto un utilizzo esteso investendolo di una carica ideologica, diretta emanazione della Rivoluzione francese, destinata a farsi sempre più marcata in quegli anni4. A dire il vero sin dal Cinquecento i Gesuiti avevano strutturato il loro insegnamento per classi - per esiti conseguiti, non per età - e gli Scolopi avevano innovato contenuti d’insegnamento e metodi didattici creando una scuola dotata di maestri ben preparati, organizzata per corsi e materie, articolata in classi omogenee che sostituirono al vecchio insegnamento individuale il simultaneo5. Erano seguiti, nella Francia del primo Settecento, i Fratelli delle Scuole cristiane, congregazione laicale fondata da Jean Baptiste de La Salle, che avevano istruito il popolo al leggere, scrivere e far

1

D. DE ROUGEMONT, Seguito dei misfatti 1972, in I misfatti dell'istruzione pubblica, Soveria Mannelli 2005 (1°ed. 1929), pp. 99-100.

2

Il termine homeschooling o scuola a casa indica la possibilità per le famiglie d’impartire ai propri figli l’istruzione obbligatoria prevista dalle leggi a condizione che posseggano mezzi e competenze adeguate, comunichino a chi di dovere la loro decisione, presentino il proprio figlio agli esami con domanda di ammissione corredata del programma svolto.

3

R.SANI, Educazione e istituzioni scolastiche nell’Italia moderna (secoli XV-XIX), Milano 1999, p. 672.

4

M. ROGGERO,L'alfabeto conquistato. Apprendere e insegnare nell'Italia tra Sette e Ottocento, Bologna 1999, pp.121-123. vi si cita

a p. 123 la frase sul metodo generale del Bovara trata dalla Relazione sulla riforma e nuova sistemazione degli studi provinciali

dell’abate Giuseppe Bovara, 22.5.1775 in ASMi, Studi, p.a., c.206.

5

di conto in volgare, sostituendo al vecchio il nuovo insegnamento e facendosi carico di un cristianesimo concreto in un Paese attraversato dalle dispute di libertini e giansenisti e adempiendo, oltre ai tre voti canonici, a quello d’insegnare gratuitamente6. Anche quel modello aveva in fondo radici cinquecentesche essendo in parte ispirato a san Pierre Fourier (1565-1640) che con Alexis Lecrercq (beata Teresa di Gesù) aveva messo a punto il metodo simultaneo e fondato le insegnanti Canonichesse regolari di Notre-Dame. Ma né l’uno né l’altro godettero degli appoggi che Prussia e Austria avrebbero poi riservato rispettivamente ai pietisti e ai cattolici: e la locuzione “metodo normale” ci evoca oggi solo, e ingiustamente, la koiné germanica.

La “rivoluzione scolastica” che estese a tutti il diritto-dovere di un’istruzione di base sarebbe nata infatti nei paesi di lingua tedesca dell’Europa centrale e non nella culla dell’industrializzazione, l’Inghilterra - dove l’istruzione fu opera della borghesia imprenditoriale che esautorò di quel compito i cattolici prima e gli anglicani poi - sfatando il postulato del vincolo causa-effetto tra industrializzazione e alfabetizzazione7. Se poi si volesse vedere, dietro le premure del principe, un piano per disciplinare le masse, si potrebbe ricordare con Marina Roggero che “non a caso a cogliere appieno tutte le virtualità dell’istruzione e a impegnarsi senza riserve sul fronte della riforma sarebbe stata in Italia una monarchia polinazionale come quella asburgica il cui dominio era privo tanto di radici storiche quanto di compattezza territoriale”8.

In Sassonia si avviarono le prime scuole sotto l’influenza di Lutero e Melantone e del movimento riformatore ispirato a Comenio, e si approvarono nel 1619 a Weimar le prime disposizioni obbligo scolastico per i fanciulli9. Nel 1717 in Prussia Federico Guglielmo I (1688-1740) impose, pur con scarso successo, la frequenza dai 5 ai 12 anni. Suo figlio Federico II il Grande (1712-1786) nel 1763 promulgò una legge in cui si riformulava in termini più precisi l’obbligatorietà dell’istruzione elementare ma nemmeno quegli intenti illuminati diedero molti frutti perché poco si fece per facilitare concretamente ai contadini la frequenza alle scuole10.

Più gravidi di sviluppi futuri furono invece gli esordi del metodo, elaborato al tempo di Federico II. Fu a Berlino che il pedagogo pietista Johann Julius Hecker fondò nel 1747 la prima Realschule con accanto una scuola per formare i maestri, detta appunto “normale” in quanto doveva costituire un modello per istituti analoghi. Johann Friedrich Hähn, ispettore di quella scuola dal 1753 al 1759, fu pure l’ideatore del Tabellar und Litteral Methode, basato su una suddivisione dei testi che per essere sintetizzabili più facilmente andavano appresi in paragrafi e in sottoparagrafi, poi ulteriormente ridotti in una tabella in cui si riportavano solo le iniziali delle parole dei loro titoli. Il

6

Y. POUTET, Saint Jean-Baptiste de La Salle. Un saint du XVII siècle, Paris 1992.

7

E.BUTTURINI, Prefazione, inM.GECCHELE, Fedeli sudditi e buoni cristiani. La “rivoluzione” scolastica di fine Settecento tra la

Lombardia austriaca e la Serenissima, Verona 2000, pp. 5-6.

8

M.ROGGERO, op. cit.,p. 118.

9

B.SPADOLINI, Educazione e società. I processi storico-sociali in Occidente, Roma 2007, pp. 194-195.

10

sistema, ispirato a Comenio, doveva favorire la memorizzazione dei contenuti mostrando agli scolari, al primo sguardo, tutti i rapporti logici tra i vari punti di uno scritto. L’insegnamento s’impartiva in modo simultaneo con gli scolari che leggevano insieme a voce alta su appositi libri di scuola, ma il primo sussidio didattico era dato dalla “tavola nera” o lavagna. Le scolaresche potevano essere divise sia per età che per capacità11.

Quel modello suscitò in Slesia l’interesse del monaco agostiniano Ignaaz Felbiger che aveva conosciuto Hecker e Hähn quando nel 1762, durante la Guerra dei sette anni, si era recato a Berlino: in incognito, perché poteva riuscire sgradito che un cattolico andasse a imparare dai protestanti. Felbiger introdusse la nuova didattica nel 1765 in Slesia, nelle scuole di Sagan, città ch’era allora frontiera civile e religiosa: strappata infatti con le armi nel 1740 da Federico II agli Asburgo, vi convivevano pietisti e cattolici. Qui, con l’ispettore delle scuole Benedikt Strauch, Felbiger pubblicò tre catechismi che si diffusero, oltre che in Slesia, ovunque si parlasse tedesco12. nel 1772 ne promosse l’uso in Boemia e in Austria dove dal 1750 era diffuso il catechismo ispirato al modello borromaico del gesuita Ignaz Parhamer, dal 1759 direttore dell’Orfanatrofio viennese e dal 1768 pioniere del metodo normale nella capitale13. Ma intanto si difondeva anche in Austria il pensiero anti gesuita di La Chalotais14, e quando i Gesuiti nel 1773 furono soppressi e sostituiti da altri ordini regolari, i loro beni furono incamerati per servire alla riforma della scuola di base15. A quelle riforme contribuì anche il seguace muratoriano Giambattista Gaspari, dal 1758 docente di storia dell'Impero nell'università di Vienna, l’anno dopo eletto sovrintendente degli studi di umanità e belle lettere e consigliere nella commissione per gli affari degli studi delle province ereditarie. Fu lui a emanare nuovi piani di studio e a visitare le scuole, partecipando alla neonata deputazione milanese per i nuovi statuti e regolamenti scolastici. Del 4 febbraio 1764 è il decreto imperiale sulla riforma delle scuole di umanità cui seguì il suo programma Instructio pro scholis humanitatis16. La questione scolastica fu indicata come prioritaria nel 1769 dal vescovo di Passau Leopold Ernst Firmian che in un Promemoria all’imperatrice imputò alla scarsa diffusione delle scuole la diffusione dell’eresia protestante, questione come si sa cruciale in quelle aree di confine. Maria Teresa ordinò allora l’apertura di scuole normali in tutta l’Alta e la Bassa Austria: la prima “normale”, nell’accezione prussiana di “norma”per le altre scuole, fu aperta a Vienna nel 1771 ma

11 J.V.H.MELTON, Absolutism and the Eighteenth-Century Origins of Compulsory Schooling in Prussia and Austria, Cambridge

University Press, 1988, pp. 23-59.Sul metodo cfr. ancheS.POLENGHI, La pedagogia di Felbiger e il metodo normale, in “Annali di storia dell’educazione e delle istituzioni scolastiche”, 8 (2001), pp. 247-248.

12

Ivi,pp. 255-256.

13

S.POLENGHI, “Militia christiana”. La pedagogia militare di Ignaz Parhamer nell’Austria teresiana, in “Pedagogia e Vita”, 5

(2000), pp. 122-156.

14

Louis-René de Caradeuc de La Chalotais (1701-1785) Procuratore generale al parlamento di Bretagna, contribuì all’espulsione dei Gesuiti dalla Francia col Compte rendu des constitutions des Jésuites (1761). Anche il suo Essai d'éducation nationale (1763) che suscitò un moto di opinione favorevole a un’educazione nazionale statale.

15

S.POLENGHI, La pedagogia di Felbiger…, cit., pp. 256-258.

16

A.CETTO, Uno storico trentino muratoriano e riformatore di scuole in Austria nel Settecento, G. Battista Gaspari (1702-1768), in “Studi Trentini”, 29 (1950), pp. 32-71, 358-383; 30 (1951), pp. 55-90, pp. 211-240.

la sua cattiva gestione convinse l’imperatrice a chiedere l’aiuto di Felbiger, del quale ottenne l’espatrio da Federico II.

Nel maggio 1774 l’agostiniano giunse a Vienna, dove fu nominato direttore della scuola normale e stese il Regolamento scolastico generale per le scuole tedesche normali, centrali e triviali degli Stati ereditari dell’Imperatrice e Regina ispirato a quello prussiano del 1763-65, introducendo di fatto il concetto di obbligo scolastico nei paesi cattolici e un metodo che, già applicato in contesti educativi circoscritti, cominciò lentamente ad agire come leva della scolarizzazione di massa17. Nel 1787 Francesco Soave18 ne pubblicò una traduzione che poi ebbe numerose edizioni19, con le quali divenne prassi una serie di procedure imposte dall’alto: le lezioni impartite contemporaneamente a più alunni, l’uso di libri approvati dal governo, i controlli sulla preparazione dei maestri e sulla conduzione delle scuole dove il clero, conveniente sotto il profilo economico, con più tempo disponibile e spesso ben preparato, continuò a insegnare sotto il controllo statale20. Nella prima parte del Regolamento21 si proclamava l’importanza, per ambo i sessi, di un’istruzione finalizzata al bene nazionale e d’obbligo dai 6 ai 12 anni, pur con possibili deroghe specie nelle campagne. Si dichiarava inoltre la volontà di diffondere e di rendere obbligatorio il nuovo metodo tramite una rete di scuole normali in ogni provincia; di principali nei centri maggiori; di comuni o triviali in tutti i piccoli centri, le ultime due col supporto di istituzioni religiose vicine. Nelle normali, sedi per l’istruzione dei maestri e “norma” di tutte le altre per orari, metodi, discipline si sarebbe dovuto insegnare la religione, il leggere, scrivere e far di conto più altre discipline - storia, geografia, geometria, architettura, meccanica, disegno - per gli allievi destinati agli studi superiori, alla carriera militare, alle professioni in agricoltura, artigianato o industria. Nelle principali si doveva insegnare quanto già detto per le normali escluse le discipline destinate ai futuri maestri mentre l’istruzione superiore si poteva impartire a seconda di numero, abilità e tempo degli

17

M.GECCHELE,Fedeli sudditi e buoni cristiani. La “rivoluzione” scolastica di fine Settecento tra la Lombardia austriaca e la

Serenissima, Verona 2000, p. 350.

18

F. Soave (Lugano 1743 - Pavia 1806), somasco, collaborò alla riforma a Parma nel 1765 su invito del ministro Du Tillot. Nel ‘72 andò a Milano, richiesto da Carlo Giuseppe di Firmian ministro plenipotenziario austriaco per la Lombardia, a insegnare filosofia nel Ginnasio di Brera. Dal ‘74 fu membro della Commissione Letteraria per la riforma dei libri ad uso delle scuole basse, attiva sino al ’77. Ne derivò la Grammatica delle due lingue italiana e latina ad uso delle scuole, uscita nell’‘85.Nell’86 fu chiamato a far parte della Delegazione delle Scuole Normali per estendere alla Lombardia l’esperienza già in atto in Austria. Alla traduzione del

Regolamento del ‘74 seguì il Compendio del Metodo delle Scuole Normali ad uso delle scuole della Lombardia austriaca, dell’86,

che lo diffuse in Italia. Fu lui a creare una prima corposa serie di testi di base su questioni di didattica, e manuali poi adottati anche nel dipartimento di Passariano. Rimasto sino a tutto l’‘89 direttore delle scuole normali lombarde, nel ‘93 tornò a Lugano al collegio del suo Ordine, dove ebbe tra gli allievi il giovane Alessandro Manzoni. Nel 1799 il governo provvisorio austriaco di Lombardia lo richiamò alla cattedra a Brera e al tempo della Repubblica italiana Francesco Melzi d’Eril lo chiamò al Collegio di Modena riorganizzato in Liceo per affidargli la riforma dell’istituto: qui insegnò filosofia, etica e metafisica. Con l’anno accademico 1802-1803 passò all’Università di Pavia dove insegnò sino al 1806, anno della sua morte.Sul Soave cfr.C.ROSSI-ICHINO,Francesco Soave e le prime scuole elementari tra il ‘700 e l’800, in Problemi scolastici ed educativi nella Lombardia del primo Ottocento, a cura di

P. BROTTO ET. AL., Milano 1977, pp. 93-185, e M.PISERI, I Lumi e l’”onesto cittadino”. Scuola e istruzione popolare nella

Lombardia teresiana, Brescia 2004, pp. 113-121.

19

Regolamento generale delle scuole del 1774, tradotto da p. Soave, con appendice al regolamento generale. Si trova in ASMi, Studi parte antica, 210. Le citazioni che seguono sono tratte dal testo edito nell’opera già citata di M.GECCHELE, pp. 423-457.

20

Ivi, pp. 350-351.

21

insegnanti. Nelle scuole comuni s’insegnava religione, leggere, scrivere, le quattro operazioni, la regola del tre e “l’introduzione alla probità, ed alla economia confacente alle genti di Campagna” in un apposito libretto22.

Nuove scuole si sarebbero edificate primariamente a spese delle amministrazioni e di altre istituzioni locali solo dove non ce ne fossero state; in tutti gli altri casi si sarebbe mantenuto l’esistente. Il diritto d’insegnare restava a chi, ecclesiastico o secolare, l’avesse avuto sino ad allora, con l’imposizione a ciascuno di adeguarsi al nuovo metodo sottoponendosi a un esame governativo. La religione era affidata ai soli ecclesiastici ma gli altri insegnamenti restavano aperti a tutti, e si ordinava ai superiori degli ordini regolari di far prestare al loro clero l’istruzione religiosa gratuitamente là dove i parroci, già tenuti a insegnare il catechismo, non fossero stati sufficienti. Va notato come la divisione degli alunni per classi fosse intesa non tanto per età quanto per abilità effettivamente raggiunte, sul modello gesuita, con la differenza che non solo maschi ma anche femmine di ogni età sarebbero stati raggruppati per classi in ordine ai risultati ottenuti. Si specificava però che solo laddove non v’erano scuole separate per fanciulle, in cui si prevedeva anche l’addestramento ai lavori domestici, queste si sarebbero dovute recare, ben divise dai maschi, alla “Scuola comune”23. Si prevedeva inoltre un numero di classi pari a quello delle materie insegnate e l’obbligo per gli alunni di trattenersi in esse fino ad apprendimento avvenuto.

Il tempo da dedicare alla scuola doveva essere d’inverno dalle 8 alle 11, d’estate “almeno in campagna” dalle 7 alle 10 e tutto l’anno dalle 14 alle 16. L’anno scolastico doveva iniziare nelle città il 3 novembre e terminare a fine settembre. In campagna invece si iniziava il primo dicembre per concludersi a fine settembre con una sospensione di tre settimane nel “tempo della raccolta”. Nelle campagne il corso invernale era destinato soprattutto ai ragazzi dai 9 ai 13 anni affinché nel resto dell’anno potessero aiutare le loro famiglie nei campi; quello estivo principalmente ai fanciulli dai 6 agli 8 anni “giacché nell’inverno a cagione delle strade cattive, e della rigida stagione, essendo per lo più malvestiti, non sono in grado di reggere all’intemperie…”24 pur senza impedire alle rispettive famiglie d’inviare grandi e piccoli per tutto l’anno. La domenica si prevedevano lezioni “di ripetizione” per i giovani sino a vent’anni “dopo le sacre funzioni pomeridiane […] sotto l’ispezione del Parroco, o del suo Vicario”25.

Si richiedeva inoltre ai maestri la compilazione di appositi registri sulla frequenza degli alunni e s’istituivano gli ispettori scolastici per vigilare sull’andamento delle scuole. Ai sopraintendenti, uno per ogni distretto, ispettori e direttori avrebbero consegnato le relazioni sugli istituti loro affidati.

22 Ivi, p. 427. 23 Ivi, p. 431. 24 Ivi, p. 430. 25 Ivi, pp. 431-432.

Infine si stabilivano pubblici esami in ogni ordine di scuola “affinché possa conoscersi il progresso degli Scolari” e premi ai meritevoli “per il loro ulteriore eccitamento, e per stimolo degli altri”26. Nella successiva Appendice al regolamento generale delle scuole normali, principali, e comuni27 si descriveva il “prescritto Metodo” consistente nell’insegnare agli scolari di una classe tutti insieme, soprattutto il leggere28 chiarendo come in esso si sarebbero istruiti i futuri maestri, veri protagonisti della riforma29, i catechisti e tutto il personale impegnato in distinte mansioni: ispettori, direttori, sopraintendenti. Si spiegava anche come dovevano svolgersi gli esami, fissati due volte l’anno, e a chi sarebbero stati affidati30.

Seguiva la terza sezione, Delle cose citate nel precedente regolamento generale delle scuole31 in cui si specificavano le materie d’insegnamento nelle scuole normali, principali e triviali e si stabilivano soluzioni di organizzazione diverse a seconda del tipo di scuola, dei maestri disponibili e degli spazi a disposizione. Il modello, pur compatibilmente con i mezzi delle sedi scolastiche, era dato dalla scansione in 4 classi rispettivamente per fanciulli “piccioli”, “più grandicelli”, “più grandi”, più adulti” in cui s’insegnava religione, leggere e scrivere, sino a storia, geografia, scienze e aritmetica nell’ultima classe. S’indicavano infine i libri scolastici, d’obbligo per i maestri e per gli scolari. Nella Lombardia austriaca, prima dell’arrivo di Felbiger a Vienna, sin dal 1773 la riforma dell’istruzione era stata affidata all’abate Giovanni Bovara quale Regio Visitatore delle scuole lombarde, che tanta parte avrà anche, quale ministro per il Culto, nelle vicende prima della Repubblica Italiana, poi del Regno d’Italia32. I suoi provvedimenti s’indirizzavano a un territorio già innervato di esperienze nell’educazione popolare: legati, cappellanie e canonicati scolastici nel Nord, cui si aggiungevano le scuole di dottrina cristiana fondate nel Cinquecento da Castellino da Castello e rinnovate da Carlo Borromeo. Bovara impose una rigorosa selezione dei maestri attraverso apposite commissioni nominate dal Magistrato agli Studi e pose al centro della sua riforma la separazione del leggere, scrivere e far di conto dal latino rendendo la scuola di base più 26 Ivi, pp. 435-436. 27 Ivi, pp. 438-447. 28 Ivi, pp. 438-439. 29

“Un de’ più sacri, e più importanti doveri della Società assumono i Maestri incaricandosi dell’educazione della gioventù…”, ivi, pp. 362-363.

30

Ivi, pp. 446-447.

31 Ivi, pp. 448-457.

32

G. Bovara (Malgrate presso Lecco 1734 - Milano 1812) di ricca famiglia d’imprenditori della seta, sacerdote e oblato, insegnò Istituzioni canoniche all’Università di Pavia e poi Istituzioni ecclesiastiche alle Scuole Palatine di Milano. Qui divenne funzionario asburgico, membro prima dell’antico Economato poi della Commissione ecclesiastica dove d’intesa con Giuseppe II avviò le prime soppressioni di enti ecclesiastici. Impegnato nella riforma scolastica, continuò a intervenire in ambito ecclesiastico sopprimendo le confraternite e riorganizzando le parrocchie cittadine, pur mantenendo sempre una certa indipendenza e moderazione rispetto alle rigidità accentratrici di Giuseppe II. Portò a compimento la riforma nel 1776 limitatamente a Cremona, Lodi e Casalmaggiore, con tre tipi di scuola: elementare, propedeutica ai ginnasi e, nei borghi maggiori, di addestramento professionale. A quasi settant’anni divenne ministro per il Culto della Repubblica Italiana su invito del vice presidente Melzi, e restò alla guida di quel dicastero durante il Regno d’Italia. Ebbe un ruolo centrale nella pubblicazione del decreto organico per l'attuazione del Concordato con la Chiesa Romana. Sul suo periodo milanese cfr. I.PEDERZANI, "'Teofilo a Callisto': Giovanni Bovara da riformatore asburgico a ministro per