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LE SCUOLE ANTICHE

2.1 IL QUADRO DEL 1798

La scuola nel Settecento, lungi ancora dal costituire una tappa obbligata nelle fasce sociali più basse, continuava a costituire solo una delle vie possibili di formazione nel mondo multiforme dei mestieri. Prima limitata al leggere, poi gradualmente estesa allo scrivere e al far di conto, non rappresentava nemmeno un valore assoluto e significante, specie nelle campagne1.

Se le preoccupazioni per l’istruzione dei fanciulli poveri finivano non appena si fosse potuto avviarli a un mestiere, diverso era il caso delle bambine, che occorreva preservare dal rischio futuro della perdita dell’onore. Si aprivano dunque per loro due sole vie: il matrimonio o il chiostro. Venivano in genere soccorse con una “grazia” o dote necessaria per potersi accasare e nel frattempo, destinate o meno che fossero al matrimonio, venivano accolte in un istituto dove si puntava a dare loro una formazione di base2, a cominciare da quella al lavoro domestico. Perché se l’addestramento al lavoro avveniva per i maschi nelle botteghe, quello delle femmine aveva luogo nell’istituto in cui la fanciulla, futura monaca o futura madre di famiglia, veniva avviata alla vita. Il metodo variava a seconda dei maestri, pur caratterizzato da un graduale passaggio dal semplice al complesso e in presenza di alunni diversi per età e conoscenze, e soprattutto dall’uso del maestro di rivolgersi individualmente a ciascuno mentre gli altri potevano dedicarsi a compiti precedentemente assegnati o restare oziosi, o nei casi peggiori disturbare la lezione: situazioni comuni sia alle scuolette private con pochi allievi, sia a quelle con classi più numerose.

La frequenza era discontinua, mancavano i libri e altri sussidi didattici com’era varia, e spesso insufficiente, la preparazione dei maestri3. La didattica, pur avendo registrato progressi in momenti e luoghi diversi, era ancora fondata in gran parte su un apprendimento mnemonico e analitico: alla lettura seguiva, solo dove la si praticava, la scrittura, quindi i rudimenti di grammatica latina che, prima della diffusione delle scuole di base, costituivano di fatto l’unico tipo d’insegnamento. Chi infatti a quel tempo arrivava a porre mano a carta e calamaio, era avviato a una formazione imprescindibile dagli studi classici. I pochi manuali in uso subirono i primi effettivi rinnovamenti solo a fine Settecento, e non certo ovunque. In quei contesti la figura del maestro doveva avere

1

M.ROGGERO, L’alfabeto conquistato. Apprendere e insegnare nell’Italia tra Sette e Ottocento, Bologna 1999, p. 28 e passim.

2

B.VERTECCHI, Le parole e le idee. Educazione, istruzione e formazione, in“Tuttoscuola”, XXXIV, 486, 2008, p. 28, ricorda che

prima degli anni Sessanta del Novecento per indicare la formazione professionale si usava più la parola addestramento, corrispondente all’inglese training. All’epoca parve opportuno attenuare i contrasti ideologici che l’uso di educazione e istruzione implicava, ricorrendo al più “neutro” formazione, il quale però ha mantenuto il significato ambiguo fatalmente impressogli dalle sue origini indicando l’atto di “dare forma” sia conferendo a qualcuno abilità nuove, sia favorendo lo sviluppo di una personalità, e allora s’intende l’educazione. Anche se la formazione lavorativa non è oggetto di questo studio tale aspetto dell’apprendimento è separabile dagli altri nel caso dell’educazione femminile e popolare che comportava sempre momenti di addestramento lavorativo.

3

Sulle motivazioni del metodo individuale G.VIGO, Istruzione e sviluppo economico in Italia nel secolo XIX, Torino 1971, p. 27 e sul metodo M.GECCHELE,Fedeli sudditi e buoni cristiani. La “rivoluzione” scolastica di fine Settecento tra la Lombardia austriaca e la Serenissima, Verona 2000, pp. 365-368.

molto in comune col denso identikit che ne traccia Tommaso Garzoni4, il quale a fine Cinquecento descrisse pure una tipologia di scolari le cui turbolenze non appaiono inferiori a quelle che si registravano a Udine duecento anni dopo5, né a quelle di oggi. C’è poi da dire che solo nella seconda metà dell’Ottocento si sarebbe cominciato, nel solco di Francia e Germania, a usare il termine “scuola” per indicare un istituto che aveva o poteva avere parecchie classi: in precedenza, s’intendeva con esso una semplice classe, o anche un'aula.

Del resto, irriducibili a un solo modello continuarono a essere i luoghi dell’apprendimento, variabili in qualità e in quantità a seconda degli istituti, delle fasce d’età e dello status sociale degli educandi, mentre a fine Settecento sul piano dei contenuti gradualmente si rinnovarono grammatica e cultura latina, teologia e filosofia, ampliandosi progressivamente alle lingue moderne e alle discipline legate alle nuove scoperte quali scienze, matematica e fisica, geografia e storia. Se poi ricerchiamo nell’ampia gamma degli orari possibili e delle festività motivo di vacanza, alcune linee ricorrenti, ritroviamo che in epoca sia veneziana che napoleonica la scuola iniziava a novembre e terminava ad agosto o a settembre, e vi si andava il mattino e il pomeriggio dal lunedì al sabato, con uno o due giorni di riposo infrasettimanale: oltre alla domenica, in genere il giovedì. L’anno scolastico, inframmezzato com’era da festività liturgiche, poteva comprendere da 190 a 240 giorni6 e a livello medio superiore era scandito da esami semestrali con corollario di cerimonie pubbliche, eclatanti e fastose soprattutto nel Settecento, dov’erano di routine specie nei collegi ecclesiastici7. Gli obiettivi erano quelli di motivare i fanciulli allo studio e garantire visibilità ai frutti del lavoro scolastico: agli occhi delle famiglie anzitutto, poi a quella parte della comunità che in varia misura contribuiva a sostenere, anche economicamente, le scuole.

A Udine, l’istruzione di nobili e possidenti locali avveniva per una buona parte presso i Barnabiti, o anche semplicemente tra le mura domestiche. È inutile parlare di università per i benestanti nell’Ancien Régime: “… i nobili non hanno bisogno della laurea, requisito necessario solo per chi è costretto a esercitare professioni lucrose perché non può viver d’entrate, oppure per chi mira a carriere prelatizie, che sovente (ma non sempre né necessariamente, almeno sino a metà Settecento) richiede il dottorato in utroque jure. Per tutti gli altri giovani nobili, l’educazione comincia con la madre o un’aia o un aio in famiglia, prosegue in convento per le femmine; per i maschi, dai 12-14 ai

4 T.GARZONI, La piazza universale di tutte le professioni del mondo, (15851), Torino 1996, II, pp. 1152-70.

5

Qualche problema disciplinare nelle scuole dei Barnabiti risulta in ASUd ACU p.a., b. 134, fasc. II, in due proclami d’epoca veneziana: n. 2, 19.1.1741 si raccomandava di portare obbedienza e reverenza ai Padri, non portare armi a scuola, non far schiamazzi, non gettar neve nei portoni, non introdurre “giochi, tresche, crapole o altre dissolutezze”; in n. 8, 26.4.1757, si ripetevano quei divieti.

6

E.BECCHI, L’istruzione di base tra Quattro e Seicento: scuola laica e occasioni di alfabetizzazione, in Chiesa e scuola. Percorsi di

storia dell’educazione tra XII e XX secolo, a cura di M.SANGALLI, Siena, s.d., pp. 35-37.

7

“Bisogna partire dal processo di rifondazione della rete scolastica iniziato nel secondo '500 per comprendere la realtà scolastica settecentesca, poiché è nel '500 che avvengono le modifiche più significative grazie soprattutto a quegli ordini religiosi che avevano assunto l'istruzione del popolo come terreno privilegiato del proprio apostolato”. G.P.BRIZZI, Premessa, in Il catechismo e la

grammatica. Istituzioni scolastiche e riforme nell'area emiliana e romagnola nel '700, II, a cura di ID., Bologna 1986. Si vedano anche i progetti PRIN citati nella Introduzione di questa tesi.

18 anni c’è un collegio di preti e poi, come ha mostrato uno studio di Boutier, spesso anche per gli italiani il viaggio in Europa, il Grand Tour per l’educazione politica e militare, diplomatica e mondana”8.

Se fu metà Settecento che i governi cominciarono a occuparsi in prima persona di scuola e ad avviare le prime riforme, tra essi vi si cimentò, pur con minore determinazione, la Repubblica Veneta9: sui suoi rapporti con la Patria del Friuli sotto il profilo delle istituzioni scolastiche, si è già detto10. Delle scuole di Udine in età veneziana ci parlano soprattutto i documenti dell’archivio comunale antico11 e una storiografia otto - novecentesca che generalmente concorda sulla loro decadenza nel Seicento12. Ongaro ricorda che alla fine del Cinquecento erano sparite le scuole municipali di diritto e filosofia morale; resistevano a inizio Seicento le scuole di grammatica, umanità e aritmetica, che però via via si ridussero e scomparvero nel corso di quel secolo13. Caustico soprattutto Marchesi: “Correva il secolo XVII, l’età del gesuitismo e della reazione cattolica, nella quale la povera Italia, perduto tutto il suo sangue, si lasciava docilmente insultare dal più barbaro tra gli stranieri. Qual meraviglia pertanto se l’educazione della gioventù fosse

abbandonata ai preti e ai frati…”14. Fattorello ricorda come a Udine, dal 1638 al 1660 “le scuole

furono costantemente tenute da ecclesiastici e nulla di notevole si ha nel tempo in cui essi svolsero il loro magistero”15. Alla decadenza si accompagnò tuttavia una domanda d’istruzione in continua crescita: tra le voci, quella del bresciano Polidoro Faventini che nel 1675, in un’istanza al comune, denunciò oltre cento scolari presenti alle sue lezioni di umanità e aritmetica con l’ausilio di ripetitori16. È uno dei pochi dati, riferiti alla frequenza, di cui disponiamo per questo periodo. Seguì l’ingresso nella città dei Chierici di San Paolo, cui furono affidate le scuole pubbliche cittadine che rifiorirono sotto la loro direzione, specie nella prima metà del Settecento: un secolo che segnò anche il massimo splendore per la Congregazione. L’opera educativa fu poi bruscamente

8

BRAMBILLA E., Selezione delle élites tra vecchi e nuovi luoghi di educazione (da fine Settecento all’età napoleonica), in Educare

la nobiltà: atti del convegno nazionale di studi, Perugia 18-19 giugno 2004, a cura di G.TORTORELLI, Bologna 2005, p.11.

9

Sulla questione dei motivi di debolezza politica della Repubblica, che si tradusse anche in una minore forza propulsiva sul terreno delle riforme, cfr. M. BERENGO, La società veneta alla fine del ‘700. Ricerche storiche, Firenze 1956 e D. CARPANETTO, G.

RICUPERATI, L'Italia del Settecento. Crisi, trasformazioni, Lumi, Roma - Bari 2008, pp. 246-252. Più articolato il giudizio in F.

VENTURI, Settecento riformatore, V, t. 2, La Repubblica di Venezia (1766-1797), Torino 1990, che entra nel merito dei dissidi in seno

al patriziato.

10

Al par. 1.3.

11 Si trovano alla Biblioteca comunale di Udine, Archivio comunale antico, Annales Civitatis Utini, per ciò che riguarda gli atti fino al 1739; all’Archivio di Stato, Archivio comunale di Udine, parte antica, in b. 134, fasc. II, docc. 1-68, per gli anni 1740-1813.

12 V.MARCHESI, Le scuole di Udine nei secoli XVI e XVII,in "Annali del regio istituto tecnico di Udine Antonio Zanon", Udine 1890,

pp. 14-15; F.FATTORELLO, Storia della Letteratura Italiana e della coltura nel Friuli, Udine, La Rivista Letteraria, 1929, p. 169; G.

DABALÀ, Le scuole pubbliche di Udine dal 1297 al 1851, in “Annuario del R Liceo Ginnasio ‘J. Stellini’ di Udine” a. s. 1925-26,

Udine 1927, pp. 18-19; G.ELLERO,G.MARCUZZI,P.PASCHINI,G.VALE, Il seminario di Udine, Udine, 1902, pp. 117-118. G.B.

PASSONE,inNote storiche sulla istruzione classica pubblica a Udine. Il Liceo Ginnasio Jacopo Stellini, Udine 1977, p. 18, collega

alla crisi dell’istruzione pubblica, che si traduceva nella crescita di studenti iscritti al seminario, la difficoltà nell’operare uno stabile reclutamento degli insegnanti.

13

Cit. come DALL’ONGARO, Le scuole in Udine, misc. Biblioteca del Seminario, cc. 300 ss., in G.ELLERO…,op. cit., pp. 140-141.

14

V. MARCHESI, op. cit., p. 15

15

F.FATTORELLO, op. cit., p. 169, secondo il quale anche per l’aumento della gioventù indigente i deputati della città ritennero

necessario assumere nuovi insegnanti.

16

interrotta dal decreto napoleonico sulla soppressione degli ordini e congregazioni religiose emanato a Compiègne il 25 aprile 181017.

Se poi si guarda, prima di quel momento, alle dominazioni francese e austriaca, si osserva che la prima si limitò a risparmiare dalle soppressioni quegli istituti che servivano all’educazione18 mentre la seconda, grazie anche a un più lungo dominio, poté raccogliere una messe di dati sulle scuole. Nel 1805 fu emanato in Austria un nuovo piano scolastico che certo sarebbe stato esteso alle nuove province se a fine anno gli Austriaci, dopo le sconfitte subite nella Terza coalizione, non avessero dovuto lasciarle nuovamente ai Francesi19.

A quest’ultimo periodo appartiene la relazione indirizzata il 5 maggio 1798 dai deputati del consiglio cittadino alla Regia Commissione Camerale20 che aveva chiesto notizie sui collegi d’educazione e sulle scuole pubbliche e private di Udine e circondario. Essa ci dà un’efficace istantanea di quel sistema scolastico nell’ultimo periodo veneziano (1). Nel documento si rileva l’assenza di scuole nei luoghi posti sotto la giurisdizione di Udine, si danno invece nella città due istituti residenziali d’educazione della gioventù: “un collegio, come da decreti del Senato veneto, diretto dai Barnabiti per la sola nobiltà udinese, friulana e forestiera”, “un seminario arcivescovile per li giovani di qualunque condizione e massime per gli iniziati allo stato ecclesiastico”. Seguono le scuole pubbliche “dalla gramatica inferiore alla filosofia” affidate dal 1679 ai Barnabiti; e quelle “dalla gramatica alla teologia sostenute da religiosi secolari scelti dipendenti dall’Arcivescovo”. Esisteva inoltre una scuola pubblica di aritmetica dove “oltre a questa scienza per cui fu unicamente istituita, s’insegna gratis a leggere e scrivere a que’ poveri giovani della città che vengono ogni anno invitati ed ammessi sotto la direzione di abile precettore”. Infine le scuole private, tenute da preti secolari e definite “senz’alcuna pubblica dipendenza, contro le leggi nel proposito, e solo per inveterato abuso”21.

Dati questi istituti, vediamo ora di delineare un’ipotetica, o meglio potenziale, popolazione scolastica cittadina. L’importanza del dato rimane però relativa, in quanto varie testimonianze concordano sul fatto che numerosi ragazzi giungevano alle scuole udinesi dalle campagne o da altri centri minori. I dati non offrono solidi appigli, a cominciare dall’ultimo periodo veneziano, non

17

Bollettino delle leggi del Regno d’Italia, 1810, I, pp. 264-267

18 Par. 3.5.

19

L.STEFANELLI, Il Friuli provincia austro-veneta (1798-1805) in EAD.,R. CORBELLINI,E.TONETTI,La provincia imperfetta, il

Friuli dal 1798 al 1848, Udine 1992, pp. 64-65. Quattordici mesi dopo il trattato di Amiens, la pace fu interrotta dalla dichiarazione

di guerra dell'Inghilterra nel maggio 1804.

20

Istituita con ordinanza del 31 marzo 1798 del Conte Oliviero de Wallis, comandante generale dell'armata austriaca in Italia, la componevano patrizi veneti ed esercitava la tutela dei diritti dello Stato sovrintendendo al censimento e al controllo di un gran numero d’istituti in vari ambiti, incluso quello dell’istruzione. Fu soppressa il 27 settembre dello stesso anno e le sue competenze ripartite tra diverse istituzioni. Guida generale degli Archivi di Stato italiani, IV, Roma 1994, p. 1017.

21

ASUd ACU p.a., b. 134, fasc. II, doc. 44, richiesta della Regia commissione del 22 aprile 1798 a firma dei patrizi Francesco Donado e Gradenigo; in risposta la relazione dei deputati della città, 5 maggio 1798 dalla quale emergevano pure le tre stamperie attive all’epoca: di Mario Gallici, di Girolamo Murero “di special privilegio della città” che serviva alle stampe degli uffici comunali e di altri, pubblici e privati e dei fratelli Domenico e Gabriele Pecile che serviva a vari usi pubblici e privati e al Monte di Pietà.

tanto per l’assenza di rilevazioni quanto per la dispersione dei documenti. Da alcune delle Anagrafi venete, definite “le rilevazioni della popolazione più importanti ed accurate mai promosse dalla Repubblica”22 essa risulta divisa per genere, classi di età, estrazione sociale. L’ultima Anagrafe, del 1790, esclusi i religiosi ci dà 15.169 abitanti, 7.247 maschi e 7922 femmine23. I soli maschi fino ai 15 anni erano 1.967. Fatte le debite proporzioni, e sulla base dell’ipotesi non eccessivamente lontana dal vero che la struttura della popolazione femminile fosse la stessa di quella maschile, le donne d’età inferiore ai 15 anni dovevano essere 2.150. Si può dunque stimare, dati gli alti livelli di mortalità infantile e dei primi anni di vita di allora, che gli udinesi tra i 5 e i 15 anni fossero nel complesso poco più di 2.00024. A questa cifra vanno collegati i numeri degli iscritti alle scuole udinesi e quelli, quanto mai evanescenti, delle fanciulle e dei figli dei ceti più disagiati, che affioreranno dalle prossime pagine.

A proposito di questi ultimi, la consapevolezza del problema da parte del governo del Regno si tocca con mano nell’ordinanza trasmessa nel marzo 1810 dal prefetto Somenzari al podestà, della quale però s’ignorano ulteriori sviluppi: “All’oggetto di moltiplicare alla classe degl’indigenti i mezzi gratuiti d’istruzione senza crescere gl’aggravj dei varj comuni, è mente superiore, che alle scuole di leggere, e scrivere ed aritmetica negli orfanatrofj e conservatorj sì di maschi, che di femine, esclusi però quelli dove si raccolgono gl’esposti, possano intervenire rispettivamente anche i fanciulli, e le fanciulle delle famiglie povere abitanti nelle vicinanze di ciascuno de’ sudetti stabilimenti”25. Quanto agli istituti per gli orfani e fanciulli in stato di abbandono, un altro documento evidenzia come generalmente solo una condizione di comprovato bisogno - non povertà ma miseria, quasi sempre aggravata dal decesso o dalla malattia di congiunti - potesse indurre una famiglia ad affidarsi alla carità pubblica: ne fa fede, in proposito, l’attestato in cui il parroco di San Daniele Paolo Berettini dichiara che Margherita Lozzi, sulla quale ritorneremo a proposito delle Rosarie, bambina di 8 anni, orfana di padre e sola con la madre inferma, “trovandosi in penose condizioni, necessita di essere collocata, per la sua educazione cristiana, in qualche pio luogo”26.