LE SCUOLE ANTICHE
5. Scolari dei Barnabiti 1775 - 1801
2.4 LE SCUOLE DEL SEMINARIO
Il seminario patriarcale detto Aquileiese80, fondato su decreto del patriarca Francesco Barbaro emesso il 24 settembre 1594 per disposizione del Concilio di Trento81, aprì i battenti a Udine il 15 agosto 1601 con 38 giovani, tra alunni e convittori82. L’edificio eretto nel 1597, ingrandito negli anni 1659-1662, fu arricchito nel 1711 con l’acquisto di una casa adiacente e ampliato tra il 1720 e il 1724 dal patriarca Dionisio Dolfin con vari interventi che portarono il seminario ad affacciarsi sulla piazza Patriarcato. L’arcivescovo Gian Girolamo Gradenigo vi aggiunse, spendendovi di suo ingenti sostanze, un grande palazzo che venne ultimato nel 1783 ma che ebbe il triste destino di servire assai più a caserma che a palestra di futuri sacerdoti, data la stabile occupazione dei locali nei periodi francese e austriaco. Fu poi adibito a tribunale nei primi anni del Novecento83.
La decisione del Concilio di fondare seminari nelle singole diocesi era stata dettata dalla necessità primaria di curare l’istruzione del clero, al culmine di un lungo periodo di decadenza culturale e spirituale, con programmi uniformi e adeguati alle esigenze del ministero ecclesiastico. Soprattutto nelle province austriache del patriarcato, al degrado dei costumi e della disciplina si erano unite le infiltrazioni degli eretici e dei loro scritti: non a caso ad adoperarsi con maggior forza per la nuova istituzione, sin dal Sinodo diocesano di Udine del 1584, era stato il vicario del patriarca Giovanni Grimani, Paolo Bisanti, che ciò aveva personalmente constatato in diverse visite pastorali in quelle terre84.
Nei primi anni gli alunni rimasero dell’ordine di poche decine. I primi insegnamenti impartiti nel nuovo istituto erano la grammatica, il canto e il computo ecclesiastico, cui si aggiunsero
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Il Seminario doveva servire, all’epoca della sua fondazione, il vasto territorio del patriarcato di Aquileia ch’era metropoli anche di Vicenza e Verona. La più ricca fonte di notizie sulle sue scuole, principalmente utilizzata in questo paragrafo, rimane G.ELLERO…,
op. cit., che dedica alla disputa settecentesca con le scuole barnabitiche numerose pagine. Inoltre C.MORO, Cultura ed educazione
nel Seminario di Udine in età moderna, in La lavagna nera…, cit., pp. 141-147.
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XXIII sessione, 15 luglio 1563, can. XVIII nella traduzione di M.MARCOCCHI, La riforma cattolica. Documenti e testimonianze, vol. I, Brescia 1970, pp. 549-550: “… che tutte le chiese cattedrali, metropolitane e maggiori di queste, a seconda dei mezzi e dell’ampiezza delle diocesi, siano tenute a nutrire, educare religiosamente ed istruire nelle discipline ecclesiastiche un certo numero di fanciulli della stessa città o diocesi, o, se non sono molto numerosi, della provincia, in un collegio che il vescovo sceglierà a questo scopo presso le stesse chiese o in altro luogo conveniente. In questo collegio siano ricevuti ragazzi che abbiano almeno dodici anni, che siano nati da legittimo matrimonio, che sappiano sufficientemente leggere e scrivere, e la cui indole e volontà facciano sperare che essi serviranno perpetuamente nel ministero ecclesiastico. Il santo Concilio vuole che siano scelti soprattutto i figli dei poveri, senza però escludere quelli dei ricchi, a condizione tuttavia che siano mantenuti a loro spese e che manifestino zelo di servire Dio e la Chiesa. [il vescovo distribuirà] questi fanciulli in tante classi, quante a lui sembrerà opportuno, secondo il numero, l’età ed i progressi nella disciplina ecclesiastica”.
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G.ELLERO…, op. cit., p. 69. In ASUd ACU p.a., b. 134, f. II, doc. 23, Informazione e proseguimento fino in presente del
Seminario…, annessa alla Nota al Luogotenente della Deputazione dei Dieci Savi, 24.3.1772. Si ricordano nel 1601 18 alunni e 14
convittori.
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Sugli edifici, N.POJANI, Il Seminario di Udine: vicende de' suoi fabbricati, Udine 1901; cenni in ID., L' ospitale civile di Udine e la
sua Chiesa, Udine 1899.
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successivamente discipline quali Sacra Scrittura, teologia, omelie di santi85. Sin dal dicembre 1601 era stato assunto un precettore d’umanità per impartire ai fanciulli i primi rudimenti letterari e il catechismo; nel corso del 1604 si aggiunsero tre precettori rispettivamente di scrittura, musica e logica. Da allora si registrò un costante incremento di iscritti che, salvo qualche battuta d’arresto, nel 1615 raggiunse la frequenza di 65 alunni tra esterni e convittori86.
Seguì una difficile fase di angustie economiche alla quale fu posto rimedio dopo gli anni Trenta del Seicento, all’epoca del patriarca Marco Gradenigo (1629-1655) che si mostrò molto attento alla disciplina e al rendimento scolastico emanando un nuovo minuzioso regolamento e un nuovo programma di studi. In particolare fu attuata, pare per la prima volta, una divisione degli alunni in classi: termine, questo, esplicitamente citato nel decreto conciliare sui seminari che stava a indicare una ripartizione per numero, età, progresso nelle discipline ecclesiastiche87. A umanità e logica furono aggiunte sintassi e fisica, mentre i rudimenti grammaticali dovevano presumibilmente essere ancora appresi a scuole esterne, soprattutto di Udine, Cividale, San Daniele e Gemona. Verso metà secolo fu introdotto un nuovo maestro di scrittura88. Gli alunni, nel periodo del Gradenigo, si aggiravano sulla ventina89.
A partire dal 1661, quand’era patriarca Giovanni Dolfin (1658-1699), l’affluenza di esterni ricominciò a crescere oscillando, negli anni ’60 del Seicento, tra i 63 e gli 84 tra convittori e alunni. Dal 1661 fu anche nominato un maestro per l’apprendimento del leggere e dello scrivere, in un contesto generale di crisi dell’istruzione scolastica cui si puntava a rispondere con un ampliamento dell’offerta formativa fino alle classi inferiori90.
Gli autori del Seminario di Udine ricordano la già citata proposta del deputato Filippo Florio, avanzata il 9 settembre di quello stesso anno in consiglio comunale, di chiedere al patriarca d’aprire scuole pubbliche in seminario, pur nei modi e nelle forme accettate dal Consiglio: in sostanza si sarebbe trattato di lasciar frequentare le cosiddette “scuole basse” di umanità e retorica ad alunni non destinati al sacerdozio. Ma un altro Filippo, il Caimo, replicò che ciò avrebbe ferito il decoro della città sottomettendo la nomina dei precettori alla volontà del patriarca, sia pure unita a quella dei deputati, e ripugnato alla “pubblica e privata utilità” poiché secondo un accordo ufficioso, firmato da alcuni deputati senza il parere del Consiglio, la città avrebbe dovuto fornire 800 ducati annui ai precettori più l’arredo di quattro locali, e la ristrutturazione del palazzo per 3.000 ducati
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M.MARCOCCHI, op. cit.. pp. 551: “… apprenderanno la grammatica,il canto, il computo ecclesiastico e altre conoscenze utili,
studieranno la Sacra Scrittura, le ore di scienza ecclesiastica, le omelie dei santi, tutto ciò che sembrerà opportuno per amministrare i sacramenti e soprattutto per ascoltare le confessioni, le regole concernenti i riti e le cerimonie…”.
86
C.MORO, op. cit., p. 146.
87
G.ELLERO…, op. cit., pp. 101-102.
88
Ivi, p. 104, 108.
89
Ivi., p. 110. In ASUd ACU p.a., b. 134, f. II, doc. 23, Informazione e proseguimento fino in presente del Seminario… cit., si ricordano “dal libro dell’amministrazione nel 1640, 21 alunni e 48 convittori”.
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“gittati”, commentava Caimo, per “fabbricare in casa d’altri”. Altri 2 ducati ancora avrebbe dovuto pagare ciascun scolaro.
Il resto lo conosciamo: è la proposta già ricordata dalla quale sarebbe scaturita, di lì a qualche anno, la decisione di affidare le scuole pubbliche ai Barnabiti91. Ma a dare il colpo di grazia al parere del Florio fu, in quella stessa seduta, il deputato Fabio Forza, col sostenere che avrebbe contraddetto le stesse disposizioni conciliari: quelle di destinare ai seminari fondi ecclesiastici, non laici92.
Non tardò molto che una nuova crisi investì il seminario, databile all’incirca a quel 1687 che fu poi l’ultimo anno in cui rimase in carica il precettore di lettura e scrittura. Tra l’altro, la Repubblica aveva incominciato a esigere dall’istituto l’onerosa tassa del campatico per la quale in precedenza era stata accordata l’esenzione; crebbero le difficoltà di gestione e di lì a poco il numero dei convittori si ridusse e s’impose la necessità di eliminare gli insegnamenti di logica, fisica e sintassi lasciando solo quelli indispensabili di umanità e canto. Tra il 1687 e il 1693 risultavano presenti il rettore, il prefetto, il precettore umanista e il maestro di canto; nel 1693 19 alunni e 7 convittori93. Alla morte di Giovanni Dolfin quella fase era stata tuttavia superata, grazie anche a un’amministrazione più oculata che portò tra l’altro la retta per gli alunni a L. 186 e a 341 per i convittori: quest’ultima nel 1765/66 era stata ridotta a L. 310. Crebbero così nuovamente di numero gli insegnamenti con filosofia e morale, quest’ultima richiamando anche un buon numero di esterni: 53 nel 1699, e 65 interni a fine anno94.
Il potere di attrazione del seminario raggiunge l’apice all’epoca di Dionisio Dolfin (1699-1734)95. Per sua volontà fu arricchito il programma letterario e scientifico: oltre alla scuola di base si frequentavano lezioni di filosofia, morale, scolastica (teologia dogmatica), umanità e retorica, musica e canto. Dato anche l’incremento di iscritti, si dovette ricorrere all’affitto di aule esterne all’edificio96. Fu questo anche il tempo, lo abbiamo visto, della nascita dell’Accademia di Scienze sotto lo sguardo vigile del patriarca, il cui ruolo di mecenate nell’ambiente culturale del tempo - una cultura non certo limitata alle cose di Chiesa - si espresse anche nell’incremento e nell’apertura al pubblico del patrimonio librario della biblioteca patriarcale.
L’orizzonte si amplia ulteriormente all’epoca di Daniele Dolfin (1734-1762), dal 1734 patriarca d’Aquileia e dal 1751 al 1762 arcivescovo di Udine, una volta decretata la fine del patriarcato e scisso il suo territorio nelle due arcidiocesi di Udine e di Gorizia. Il terzo Dolfin contribuì al prestigio degli studi nel seminario fondandovi una cattedra di lingua greca e incrementando, come
91
Si veda par. 2.3.
92
G.ELLERO…, op. cit., pp. 117-122.
93
Ivi, pp. 127.
94
Ivi, pp. 125, 128.
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C.MORO, op. cit., p. 147, ricorda che quand’era patriarca Dionisio Dolfin iniziò un lento periodo di ripresa e per risollevare le finanze del Seminario si cominciarono ad ammettere alunni esterni, e che in questo periodo il numero medio dei convittori è circa il doppio di quello degli alunni e solo una minima percentuale figura a carico dell’istituzione.
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già i predecessori, il patrimonio librario della biblioteca, concepita come strumento didattico nelle discipline teologiche, ma anche umanistiche e scientifiche.
Fino ad allora pochi avevano avuto da ridire sul libero accesso degli esterni alle scuole “alte” di filosofia, teologia e morale, giudicate un’occasione di arricchimento culturale per la comunità intera. Ma quando si aprirono le porte del seminario anche a quanti desideravano accostarsi alle scuole di umanità e retorica, seppure in numero ancora esiguo97, le cose cambiarono. La scelta del “patriarca arcivescovo” rendeva infatti l’istituto “scuola pubblica” nell’attuale e controversa accezione di “aperta a tutti” mentre il governo locale sostenne sempre che “L’instituzione di pubbliche scuole non può farsi senza il sovrano assenso, e quindi non possono essere tali quelle del Seminario”98. La situazione che si venne a creare non si differenziava di molto da quanto avveniva in quei tempi in altri seminari di Terraferma le cui porte erano state spalancate non soltanto ai chierici ma anche ad altri giovani che intendevano formarsi alle professioni e alla vita civile99. A quello di Udine accorrevano soprattutto giovani giunti dalle campagne e in particolare dalla Carnia, da dove proveniva buona parte del clero100: a quanti erano in grado di pagare la retta, si aggiungeva un numero limitato e variabile di soggetti ammessi agli studi grazie a legati o altre disposizioni testamentarie.
Al breve periodo di Bartolomeo Gradenigo (1762-1765) successe quello del fratello Giovanni Girolamo (1766-1786), nel quale le ostilità crebbero. Le tante memorie dettagliate della contesa, inviate dalla municipalità udinese al governo veneto nella vana attesa di provvedimenti definitivi, ci aiutano a ricostruire quegli anni101. Stando a una già citata Nota del 1772 i giovani entravano allora in seminario pagando 16 lire annuali senz’altri oneri per sola educazione e l’elemosina senza debito al maestro per la celebrazione di una messa nel giorno di San Tommaso; i chierici 2 lire in più per imparare il canto. La retta dei barnabiti era invece di 10 lire all’ingresso più una lira al bidello. Si osservò che quegli alunni causavano ai Barnabiti “una frode di 135 scolari” pur ammettendo che,
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ASUd ACU p.a., b. 134, f. II, doc. 22, Memoriale al Principe, 1772, la municipalità ricorda che negli ultimi anni di vita “del defunto patriarca cardinale Delfino” si cominciò ad ammettere per breve tempo “qualche giovane nobile”, l’uso tuttavia “si dilatò sotto l’arcivescovo successore” e “presentemente si sono rotti tutti gli argini e si dà adito in tutte le scuole anche le più basse, senza riserva o eccezione… ciò ha ridotto le scuole pubbliche, benché ottime, oggi pressoché deserte”.
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Così all’epoca dell’arcivescovo Zorzi, in ASUd ACU p.a., b. 134, f. II, doc. 36, Informazione a sostegno delle scuole barnabitiche
indirizzata dalla municipalità al protettore della città Pietro Pesaro, 17.6.1793.
99 Si veda C.FANTAPPIÉ, Istituzioni ecclesiastiche e istruzione secondaria nell’Italia moderna: i seminari-collegi vescovili, in
“Annali dell’Istituto storico italo-germanico in Trento”, XV, 1989, pp. 189-241. Inoltre X.TOSCANI, I seminari, in L’istruzione in
Italia … cit., I, pp. 211-234.
100
In BCU, F.P., ms. 860/A, Sacra Cesarea Regia Apostolica Maestà, s.d., in una supplica di sindaci friulani all’imperatore durante la prima dominazione austriaca si ricorda che il Seminario aveva da tempo aperto le porte a studenti anche laici come altri nella Repubblica. Poi, aumentate le richieste, la diocesi aveva lasciato libero l’accesso e i “Corpi della Patria” non si erano opposti anzi, nel 1793 “sindaci e deputati della Patria” avevano chiesto all’arcivescovo Zorzi che lasciasse libero l’accesso alle scuole del Seminario, perché ciò “riusciva di maggior vantaggio alla Contadinanza della Patria”. Nel 1801, con i rappresentanti di Carnia e Cadore, per sostenere le loro ragioni inviarono un deputato a Venezia che ad aprile ottenne un nullaosta alle libere iscrizioni al Seminario. Perciò i sindaci chiedevano all’imperatore di lasciare questo vantaggio al popolo. Sulla vicenda cfr. anche G.ELLERO…
op.cit., pp. 178, 230.
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Tra gli altri documenti, oltre a quelli citati in questo paragrafo, ASUd ACU p.a., b. 134, fasc. II, doc. 30, Memoria anonima e senza data nella quale le scuole barnabite e il seminario sono posti a confronto; doc. 58, Informazioni al Governo Generale.., da parte della municipalità, 1803.
indipendentemente da esso, gli iscritti alle scuole pubbliche erano già calati rispetto alle circa 400 unità degli anni Venti del Settecento. Nell’anno 1771 - 1772 vi risultavano 80 convittori dei quali 54 chierici e 26 secolari, e 7 scuole: grammatica, sintassi, umanità, retorica, filosofia, morale, teologia più gli insegnamenti del canto e della lingua greca. Si davano inoltre due prospetti delle frequenze nel decennio 1761-1771102: