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3. INTERNAZIONALIZZAZIONE E PROSPETTIVE TEORICHE

3.3 Le teorie post Hymer e il Paradigma eclettico

L’influenza del contributo di Hymer si continuò a percepire per anni all’interno della letteratura sull'internazionalizzazione. Le teorie fornite negli anni seguenti al 1960 non fecero altro che ribadire i principi esposti da Hymer, adattandoli però al contesto storico di riferimento. Le teorie post-Hymer sono state raggruppate in due insiemi: le teorie di Cambridge, e le teorie di Reading.

Le teorie di Cambridge, sono state elaborate presso l'università di Harvard e presso il M.I.T e possono a loro volta essere suddivise in due filoni di studio: La teoria del ciclo di vita del prodotto (Vernon, 1966), ed il filone oligopolistico.

La teoria di Vernon, si basa sull'ipotesi che le imprese dei paesi industrializzati, pur essendo dotate di uguali probabilità di accesso alle nuove conoscenze scientifiche, non abbiano uguali probabilità di applicarle nella creazione di nuovi prodotti. Le imprese localizzate nei paesi avanzati godono infatti di un vantaggio innovativo che permette loro di anticipare le dinamiche della domanda di altri paesi.

Vernon parte dalla constatazione del fatto che gli Stati Uniti si trovano in una situazione particolare rispetto al resto del mondo. Negli States infatti le caratteristiche della domanda dei beni al consumo e dei prodotti industriali sono influenzate da elementi strutturali quali, l'elevato livello di reddito pro-capite dei consumatori, l'abbondante capitale e l'elevato costo del lavoro. Le imprese USA, consapevoli quindi delle opportunità connesse a tali caratteristiche, trasformano le nuove conoscenze in nuovi prodotti commerciabili, prima delle imprese di altri paesi, investendo maggiormente quindi nello sviluppo di prodotti

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innovativi in grado di sostituire il lavoro con il capitale e di soddisfare le esigenze di consumatori con redditi elevati.

Il modello propone una dinamica localizzativa articolata su tre fasi.

Nella fase di introduzione il nuovo prodotto ha un disegno ancora incerto e non ha ancora raggiunto un livello di standardizzazione sufficiente. Proprio per questo vi è la necessità da parte dei produttori di mantenere un grado elevato di flessibilità e di comunicare rapidamente con clienti, fornitori e concorrenti. La produzione di nuovi prodotti sarà quindi localizzata in prossimità dei paesi dove questi verranno commercializzati. Nella fase di maturità il prodotto, dopo essersi affermato sul mercato domestico,in virtù dei vantaggi di differenziazione posseduti inizia ad inserirsi sui mercati esteri. Tale inserimento avviene in un primo momento attraverso la sola attività di esportazione; in seguito vengono dislocate fuori dai confini nazionali, e più precisamente nei paesi sviluppati, anche le attività produttive con una graduale riduzione, ed in fine la scomparsa, delle esportazioni. Nella terza ed ultima fase oramai il prodotto è standardizzato. La scomparsa della differenziazione, riduce ed annulla il vantaggio iniziale del paese innovatore, e spinge a ricercare la redditività nella riduzione dei costi di produzione. Per raggiungere tale obiettivo, le imprese spostano le unità produttive nei paesi in via di sviluppo in virtù dell'esistenza di bassi costi del lavoro. A questo punto, il paese innovatore, in conseguenza alla diminuzione della produzione interna del bene in questione, si trasforma gradualmente da paese esportatore a paese importatore.

L’idea di fondo quindi, è che esista una stretta relazione tra ciclo di vita del prodotto, caratteristiche dei paesi e l’espansione internazionale delle imprese. Le principali critiche mosse al modello di Vernon riguardano l'aver focalizzato l'attenzione sul prodotto e non sull'impresa, escludendo dall'analisi le imprese multi-business; l'aver considerato unicamente l'innovazione tecnologica di tipo demand-pull sottovalutando l'impatto dell'innovazione tecnology-push, il privilegiare le innovazioni di prodotto trascurando quelle di processo.

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Ciò che accomuna invece gli studi del filone oligopolistico risulta essere la descrizione dell'impresa multinazionale come un'impresa di grandi dimensioni, la cui esistenza è supportata da un vantaggio competitivo di origine oligopolistica o monopolistica, che la rende capace di compensare i vantaggi che le imprese locali possiedono quando operano nel proprio contesto ambientale nazionale. Caves (1971) sottolinea che gli investimenti diretti esteri hanno luogo in quei settori caratterizzati da un mercato oligopolistico e sono rappresentati da processi di estensione orizzontale (produzione all'estero dello stesso bene) e verticale (aggiunta di uno stadio del processo produttivo a monte o a valle). Prendiamo come riferimento quanto analizzato nella teoria di Hymer in relazione alle barriere naturali derivati dallo svantaggio informativo delle imprese non- nazionali; per quanto riguarda l'estensione orizzontale le imprese estere dovranno compensare il gap informativo attraverso un vantaggio che Caves individua nella differenziazione del prodotto, tipica dei settori oligopolistici. Nel caso degli investimenti diretti verticali invece, la presenza estera delle imprese è riconducibile ai vantaggi che queste possono ottenere attraverso l'aumento delle barriere all'entrata nei confronti dei nuovi concorrenti sia nazionali che internazionali. Tali vantaggi aumentano naturalmente nei mercati oligopolistici, in cui le barriere all'entrata permettono l'esistenza di un numero limitato di imprese.

Le teorie di Reading, si sviluppano nell'omonima università inglese dopo la seconda metà degli anni '70 e si rifanno all'approccio dei costi di transazione di Buckley e Casson (1976) che applica i concetti elaborati da Coase (1937) e in modo particolare da Williamson (1975, 1981) al contesto dell'impresa multinazionale. L’impresa multinazionale viene qui rappresentata come un organizzazione istituzionale complessa che estende le proprie attività all’estero attraverso forme riconducibili agli investimenti diretti, in quanto più efficienti rispetto al mercato. L'uso del mercato infatti comporta costi di transazione elevati, riconducibili in primis alla distanza geografica e alla diversità ambientale

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dal punto di vista economico culturale e sociale e al rischio (in termini di ritardo e correttezza delle comunicazioni) relativo.

L’espansione internazionale di un’impresa attraverso investimenti diretti viene interpretata facendo riferimento al fallimento di alcuni tipi di mercato, che inducono l'impresa ad operare oltre confine: l’investimento estero di tipo verticale, che si riferisce all'integrazione dei processi a monte o a valle, è spiegato in termini di internazionalizzazione dei mercati dei prodotti intermedi al fine di sostituire i processi di mercato, o di supportarlo quando questi non esistono; l’investimento diretto di tipo orizzontale (allargare gli impianti produttivi in un altro paese) è invece riconducibile alla necessità di sostituire il mercato per supportare la crisi del know-how o per evitarne la diffusione.

Nell'ambito della scuola di Reading emerge la Teoria del il paradigma eclettico elaborata da Dunning (1977, 1980, 2000) che si propone di fornire un'interpretazione generale delle attività dell'impresa multinazionale.

Gli studi svolti da Dunning partono dall'assunto che le imprese operano con l'obiettivo generale di ottenere una redditività nel medio/lungo periodo, e in base ai principali obiettivi specifici perseguiti attraverso gli investimenti diretti le imprese vengono classificate in: imprese rivolte ai mercati degli input (che ricercano vantaggi nell'acquisto di fattori produttivi all'estero), imprese rivolte ai mercati di sbocco (che internazionalizzano le attività commerciali), imprese rivolte all'efficienza (che razionalizzano la struttura degli investimenti sui mercati delle risorse o sui mercati di sbocco), e le imprese rivolte allo sviluppo degli asset strategici (che acquistano imprese straniere per rafforzare la propria posizione competitiva o indebolire quella dei concorrenti).

A prescindere dall'obbiettivo perseguito, secondo Dunning l'internazionalizzazione è determinata da tre tipologie di vantaggi:

i vantaggi di proprietà (Ownership) volti a spiegare il "perchè" delle attività delle imprese. L'impresa deve possedere un qualche tipo di vantaggio competitivo unico e sostenibile rispetto alle imprese straniere locali. I vantaggi di proprietà possono a sua volta essere raggruppati in due macroaree ovvero i vantaggi di

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proprietà statici, derivanti dal possesso o dall'accesso esclusivo o privilegiato ad uno specifico asset, e i vantaggi di proprietà dinamici, basati invece sulle competenze e sulle abilità di gestione degli asset posseduti;

i vantaggi di localizzazione (Location) volti a spiegare il "dove" localizzare queste attività. Tale tipologia di vantaggi determina il grado di attrazione di alcuni paesi o regioni nei confronti delle imprese multinazionali. Le variabili che incidono sull' attrattività di un paese riguardano ad esempio la presenza di risorse naturali, la disponibilità, il costo ed il grado di qualificazione del lavoro, le infrastrutture, la distanza geografica e culturale rispetto al paese investitore e i fattori istituzionali e politici;

 i vantaggi di internazionalizzazione (Internalization) volti infine a spiegare "come" organizzare le attività estere. Tali vantaggi sono quindi necessari per interpretare le modalità di internazionalizzazione (esportazione diretta o indiretta, licensing etc). Se la presenza del possesso di una serie di vantaggi competitivi di un'impresa, combinata all'immobilità di risorse e competenze di una nazione straniera, determinano la localizzazione di alcune attività in quella nazione, entrambi le componenti non sono in grado di spiegare se tali attività saranno svolte dalle stesse imprese o da imprese locali estere che acquistano tale vantaggio o il diritto di utilizzarlo.

Vi sono diverse teorie che possono essere ricondotte al paradigma eclettico. Pur riconoscendo la loro validità nei limiti degli aspetti presi in considerazione, nessuna di queste teorie è in grado di fornire una spiegazione esaustiva del fenomeno dell'internazionalizzazione; solo se considerate congiuntamente possono offrire un quadro concettuale completo e sufficientemente adeguato a spiegare l'evoluzione delle imprese nazionali. Stesso discorso varrà per le tre componenti del paradigma, che solo se considerate nel loro insieme offriranno un'interpretazione articolata del fenomeno.

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