hanno destinato all’aumento o al mantenimento dello stock di capi-tale circa 1.851 miliardi contro i 2.469 dell’anno precedente.
Rispetto a quanto successo nel 1990 risulta diminuita, in particolar modo, la quota destinata all’acqui-sto, ampliamento o rinnovo di fab-bricati e costruzioni e di mobili e macchine per ufficio a vantaggio specialmente della ricerca.
E’ rimasta, invece, stabile la spesa in formazione delle 625 imprese del campione ammontante complessi-vamente a poco meno di 7 miliardi (soltanto lire 30.000 per addetto).
L’aumento sia come quota che co-me livello della spesa in ricerca, specie se diventerà una tendenza di lungo periodo, evidenzia un cambiamento importante nei com-portamenti aziendali per troppo tempo incapaci di promuovere in-ternamente innovazioni di prodotto e organizzative e dipendenti in lar-ga parte dall’introduzione di pro-gresso tecnico incorporato nel ca-pitale fisso acquisito all’esterno.
Inoltre, nell’attuale fase competitiva è chiaro oramai che premiano in misura maggiore la tecnologia e la qualità piuttosto che l’esasperata competitività di prezzo. In ogni ca-so non si tratta di vie alternative, in quanto le prime agiscono nel me-dio-lungo periodo e l’altra nel bre-ve termine.
Utilizzando come indicatore la spe-sa per investimenti rapportata al numero di addetti, emerge un
dra-stico calo degli investimenti fissi passati dai 26,5 milioni per addetto del 1990 ai 12 milioni del 1991.
La struttura degli investimenti in base alle aree aziendali di destina-zione mostra un accentuarsi della tendenza rilevata lo scorso anno, sono cioè ulteriormente aumentate le risorse destinate alle funzioni a monte e a valle del momento pro-duttivo in senso stretto. Cala di quasi due punti percentuali l’inve-stimento in produzione, crescono invece le risorse indirizzate alla progettazione e ingegnerizzazione, al commerciale e marketinge, in particolare, alla ricerca e sviluppo che, in linea con quanto detto in precedenza, guadagna circa un punto percentuale e mezzo rispetto all’anno precedente (dal 5,2% del
’90 al 6,6% del ’91).
Per il complesso delle imprese in-tervistate l’autofinanziamento si è confermato la principale fonte di fi-nanziamento (43,5%) che, tuttavia, rispetto all’anno precedente, è ap-parso in calo. E’ risultato in forte espansione l’indebitamento verso gli istituti di credito ordinario: nel 1990 le imprese del campione ave-vano ottenuto dalle banche circa il 34% dei finanziamenti, nel 1991 si è arrivati al 39,5%; l’esposizione fi-nanziaria è apparsa, quindi, in con-tinua crescita se si considera che nel 1989 si è arrivati al 39,5%; l’e-sposizione finanziaria è apparsa, quindi, in continua crescita se si considera che nel 1989 era pari al 30%. In particolare la quota
relati-va all’indebitamento bancario a breve risulta elevata in considera-zione dell’allungamento dei tempi di ritorno degli investimenti nelle fa-si recesfa-sive e del fatto che il veico-lo finanziario è divenuto abbastan-za cogente per il suo costo e per la limitata disponibilità dei mezzi re-peribili. Il credito bancario a breve termine comporta infatti, per l’im-presa, l’assunzione di maggiore ri-schio rispetto a quello a medio-lun-go termine, ciò non crea problemi se l’investimento rende ritorni, in termini di cash-flow, elevati fin dal 1° periodo. La situazione si aggra-va invece in condizioni di stagna-zione appunto perché i ritorni sono dilazionati e più lontani nel tempo.
Va rilevato che ai livelli di investi-mento inferiori (< 88.5 milioni) corri-sponde una composizione delle fonti di finanziamento assai poco di-versificata ed il peso dell’indebita-mento a breve è maggiore. Al con-trario, le imprese che effettuano in-vestimenti per importi superiori ai 1800 milioni possiedono un portafo-glio più diversificato ed equilibrato.
A livello settoriale spicca la perfor-mance del ceramico nel cui ambito si è proceduto a razionalizzare la composizione delle passività: nel corso del 1991 una parte consi-stente del debito a breve è stato quindi consolidato a medio-lungo termine o sostituito con risparmio d’impresa o credito agevolato. An-che nel meccanico si sta andando nella stessa direzione anche se gli scostamenti rispetto al ’90 sono
Rapporto sugli investimenti
nell’industria manifatturiera in Emilia-Romagna
nel 1991
28 Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini Bologna, 30 Giugno 1992 molto più contenuti. Il ricorso al
credito speciale per interventi a breve termine è risultato in espan-sione pur ricoprendo ancora un ruolo marginale nel finanziamento degli investimenti (1,3%); in calo è risultato, invece, il ricorso ad inter-venti oltre i 18 mesi.
Il costo dell’indebitamento banca-rio è considerato dalle imprese del campione la difficoltà di maggiore rilevanza incontrata nel corso della
“gestione 1991”: la forte espansio-ne espansio-nel ricorso all’indebitamento bancario come fonte di finanzia-mento coniugata con l’elevato livel-lo dei tassi di interesse giustifica pienamente tale giudizio.
La penetrazione commerciale è ri-sultata l’ostacolo più frequente e di importanza pari al costo dell’inde-bitamento bancario. La recente svalutazione della nostra moneta dovrebbe avere attenuato tale pro-blema per quanto concerne i flussi commerciali destinati all’estero, tuttavia, anche in questo caso, l’acquisizione di competitività com-merciale ha connotati strutturali as-sai rilevanti che comprendono la competitività tecnologica e di qua-lità. Fra le ulteriori difficoltà incon-trate nello svolgimento dell’attività aziendale le più diffuse e sentite sono state: la reperibilità di perso-nale qualificato, la conoscenza dei mercati e della concorrenza, il so-stegno pubblico ed infine i fattori relativi all’organizzazione interna dell’azienda.
Le imprese del campione hanno se-gnalato come finalità prioritaria la sostituzione del macchinario e delle attrezzature non più funzionanticon macchinari innovativi; tale indicazio-ne unita al forte ridimensionamento del livello degli investimenti effettua-ti nel 1991, rispetto al ’90, induce a pensare che, in linea generale, la tendenza sia stata quella di investire solo quanto strettamente necessa-rio a causa del logonecessa-rio tecnico ed economico delle attrezzature già esistenti. Con l’instabilità ambienta-le e l’aggravarsi della situazione economica si fanno più stringenti i vincoli finanziari ed aumenta il ri-schio legato a ciascuna decisione d’investimento, di conseguenza le imprese tendono a puntare sulla flessibilità a breve termine cercando rapidi rientri ed immobilizzando al minimo il capitale. Questo potrebbe indurre a pensare che il ridimensio-namento degli investimenti sia avve-nuto per motivazioni finanziarie, ol-tre che per le aspettative di mercato sfavorevoli, più che per questioni di strategia industriale.
Per le imprese con un numero di addetti superiore a 500 unità, le fi-nalità nettamente prioritarie degli investimenti sono risultate il miglio-ramento delle qualità rilevanti delle produzioni e l’introduzione di pro-dotti nuovi: le imprese di maggiori dimensioni appaiono orientate l’adozione di strategie dirette al-l’acquisizione di potere di mercato concentrando la propria attenzione sul prodotto.
Per quanto riguarda la distribuzio-ne territoriale dei flussi degli inve-stimenti, la provincia di Parma ri-sulta essere quella che investe di più: 26 milioni per addetto, corri-spondenti al 9,2% del fatturato provinciale. Il flusso degli investi-menti risulta, inoltre, in crescita ri-spetto all’anno precedente. Gli in-vestimenti sono aumentati nel ’91 soltanto in altre due province: Fer-rara e Forlì pur mantenendo, in va-lore assoluto, importi piuttosto contenuti. Calo negli investimenti è stato rilevato a Modena e Ravenna.
Nell’area di Modena vengono, tut-tavia, destinate più risorse alla ri-cerca rispetto a quanto succede nelle altre province. Particolarmen-te elevaParticolarmen-te rispetto alle altre aree sono le risorse destinate all’acqui-sizione di partecipazioni finanziarie nella provincia di Reggio Emilia.
A livello settoriale, nello corso del 1991, gli investimenti nel settore meccanico sono caduti vertigino-samente. Rispetto all’anno prece-dente è stata destinata alla proget-tazione e ingegnerizzazione ed alla ricerca e sviluppo una maggiore quota di tali risorse.
Anche nel tessile e nel calzaturiero gli investimenti sono diminuiti di al-cuni punti percentuali; nell’abbiglia-mento gli investimenti hanno rappre-sentato soltanto il 2,4% del fattura-to. Gli investimenti sono aumentati in due settori dell’industria manifat-turiera emiliano-romagnola: nel set-tore della plastica e nel ceramico.
Rapporto sugli investimenti nell’industria manifatturiera in Emilia-Romagna nel 1991
Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini 29 Bologna, 30 Giugno 1992
Nell’ambito del settore ceramico la spinta è apparsa essere la necessi-tà di controllare più direttamente la fase della distribuzione e commer-cializzazione del prodotto, ma an-che di orientare l’attività di ricerca verso la creazione di nuove possi-bilità di impiego del prodotto.
In base all’andamento della produ-zione e della produttività vi sono settori quali l’elettronica (produzio-ne: + 3,1%; produttività + 7,5%) ed il ceramico (produzione: + 2%; pro-duttività: + 5,5%) che hanno ripor-tato nel corso del ’92 performance migliori rispetto a quanto rilevato negli altri settori.
Come nel 1990, nel ’91 l’elettroni-co l’elettroni-continua a puntare sulla ricerca e sviluppo e sulla progettazione e ingegnerizzazione in misura assai maggiore che negli altri settori. A conferma del suo elevato grado di innovatività il settore elettronico è risultato l’unico assieme a quello dei mezzi di trasporto in cui preval-gono gli investimenti effettuati per la realizzazione di nuovi prodotti.
Positivo è il fatto che la quota im-piegata nell’area progettazione e ingegnerizzazione abbia riscontra-to aumenti pressoché generalizzati in tutti i settori industriali.
Nell’ambito del settore ceramico è stato intrapreso un processo di raf-forzamento strutturale evidenziato dall’aumento degli investimenti fissi lordi passati dai 18,2 milioni per addetto nel 1990 ai 19,6 del ’91 (e nettamente superiore alla media:
12 milioni per addetto), tali risorse
sono state destinate all’area pro-duttiva e, in misura maggiore che in passato, alla ricerca.
Per quanto riguarda le valutazioni circa il contenuto tecnologico degli investimenti effettuati dalle imprese del campione si rimanda all’indagi-ne stessa.
Le imprese con un numero di ad-detti compreso fra i 250 e i 499 hanno mostrato alcuni segnali ne-gativi in termini di produzione, fat-turato e produttività del lavoro.
Il forte aumento della produttivitià per le imprese delle altre classi in molti casi è stato ottenuto attraver-so l’espulsione di lavoratori dall’in-dustria, complessivamente la dimi-nuzione media dell’occupazione è stata pari a –3,6%.
Tale fenomeno è stato meno forte per le imprese medio-grandi che appunto sono le uniche ad avere registrato un segno negativo per quanto concerne la produttività: la necessità di intraprendere un pro-cesso di razionalizzazione dei costi della produzione è confortato an-che dal fatto an-che tali aziende han-no indicato fra le finalità principali dei propri investimenti proprio il ri-sparmio di manodopera.
Le aziende con più di 500 addetti hanno fatto registrare le perfor-mance migliori. I risultati assai po-sitivi e, comunque migliori rispetto a quanto accaduto mediamente per le imprese delle altre classi di-mensionali sono da attribuire alla concentrazione degli investimenti nell’area produttiva e verso la ricer-ca e sviluppo nonché all’attenzione
dedicata al processo di razionaliz-zazione dei costi finanziari e pro-duttivi. Le grandi imprese sono, in-fatti, quelle che sono ricorse meno al finanziamento bancario scontan-do di conseguenza in misura mino-re l’effetto depmino-ressivo degli oneri fi-nanziari sulla redditività aziendale.
Più consistente è stato invece il corso al credito speciale (15,4% ri-spetto ad una media del 9,6%) e al risparmio d’impresa. Ai positivi ri-sultati registrati in termini di produ-zione, fatturato e produttività fa ri-scontro l’elevata quota delle espor-tazioni sul fatturato: circa il 39%
conseguente all’attenzione che le grandi aziende hanno riservato nel concentrare i propri investimenti sul miglioramento qualitativo dei prodotti esistenti e sull’innovazione di prodotto vera e propria.
In sostanza le imprese del campio-ne con più di 500 addetti sono ap-parse in grado, più delle altre, di controllare l’evoluzione del proprio prodotto e del proprio mercato presentandosi sulla “scena” inter-nazionale un po’ meno come inse-guitrici e un pò più come protago-niste del mercato in grado non tan-to di fornire sempre un prodottan-to nuovo quanto di garantire lo svilup-po innovativo e costante della pro-pria gamma di prodotti.
Va rilevato d’altra parte che la cre-scita debole è un ostacolo specie per le piccole imprese. Nelle fasi di espansione rapide del sistema pro-duttivo le imprese minori possono fruire di ampi spazi per produzioni
Rapporto sugli investimenti nell’industria manifatturiera in Emilia-Romagna nel 1991
30 Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini Bologna, 30 Giugno 1992 specializzate che ancora non sono
di interesse per la grande impresa.
Con l’avvento dell’automazione fles-sibile, tali spazi per le piccole impre-se si sono andati riducendo e ri-schiano di essere completamente annullati in periodi di rallentamento o recessione dell’attività economica.
Le grandi aziende investono di più in partecipazioni finanziarie. Esse appaiono, quindi, più strutturate anche dal punto di vista finanziario o patrimoniale.
Sono anche quelle che tendenzial-mente investono in misura maggio-re in ricerca: d’altra parte le inno-vazioni hanno assunto sempre più caratteristiche radicali che necessi-tano di ingenti risorse non sempre disponibili presso le imprese mino-ri. Non si notano, invece, differenze di rilievo per quanto concerne la quota di investimenti destinati alla progettazione e ingegnerizzazione mettendo in evidenza come le im-prese di piccole dimensioni siano attive nella fase di implementazione delle nuove realizzazioni e nell’otte-nimento di miglioramenti tecnici.
Al crescere della dimensione au-menta anche la tendenza a porre al centro delle strategie aziendali il prodotto, finalizzando in misura maggiore gli investimenti al miglio-ramento qualitativo della produzio-ne e all’introduzioproduzio-ne di nuovi pro-dotti.
Brevi conclusioni
A livello complessivo va detto dun-que che molte delle piccole e
me-die imprese della nostra regione in-dipendentemente dal settore di ap-partenenza non hanno per il mo-mento saputo fare il salto di quali-tà, erano vincenti quando, rispetto ad un andamento favorevole del ci-clo economico, era sufficiente l’a-deguamento alla domanda.
Le difficoltà che nella fase attuale gravano sulle imprese emiliano-ro-magnole sono legate al fatto che alla forte capacità di utilizzare infor-mazioni concrete, tali aziende non sembrano associare capacità al-trettanto significative di governare e di sfruttare le conoscenze astrat-te; tuttavia il maggior peso assunto dagli investimenti destinati alla ri-cerca e alla progettazione induce a pensare che sia stato “imboccato”
il sentiero di sviluppo più adeguato.
Lo scenario generale che emerge è quello di un tessuto di imprese non tecnologicamente arretrate, ma con alcune debolezze rispetto al ruolo produttivo e di mercato che svolgono.
Rapporto sugli investimenti nell’industria manifatturiera in Emilia-Romagna nel 1991
Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini 31 Bologna, Sala del Consiglio Regionale, 2 Luglio 1992
- Le domande poste dalla relazione che accompagna il rapporto sono di enorme rilievo e mi pare che ne sottintendano una più generale al-la quale è più difficile dare rispo-sta. La domanda sottointesa io la porrei così: quali settori ci posso-no assicurare domani la prosecu-zione dello sviluppo a tassi di cre-scita tali da garantire l’assorbi-mento della forza lavoro?
- la crisi, se di crisi si può parlare, dell’industria in regione dipende oggi soprattutto dalle difficoltà del settore meccanico, che è stato un settore trainante nel ciclo 1984-1990, come anche le nostre inda-gini congiunturali hanno testimo-niato. Di fronte a tale crisi, che ha aspetti sia congiunturali, che strutturali, quali politiche indu-striali abbiamo intrapreso? Pur-troppo il panorama delle politiche è lo stesso da anni, sia a livello lo-cale che nazionale. E’ evidente che le tensioni che oggi avvertia-mo sul mercato del lavoro proven-gono principalmente da questo settore, come pure da questo set-tore, per quanto riguarda l’indu-stria, sono venuti gli incrementi occupazionali più significativi. Ora occorre che sia data una risposta, indipendentemente dalle risorse che si è in grado di mobilitare, credo sia importante chiarire la di-rezione nella quale le politiche vo-gliono indirizzare il settore. Voglia-mo favorire la crescita dimensio-nale? L’innovazione tecnologica?
Vogliamo l’internazionalizzazione
dell’impresa, ma quale tipo di in-ternazionalizzazione? Aumentan-do le quote di export o incentivan-do la nascita di impianti produttivi, ad esempio, nei paesi dell’est con capitale di imprese regionali?
L’imprenditore che si ponga oggi queste domande non trova una ri-sposta chiara, non riesce a capire in quale direzione si spinge la po-litica industriale, non può quindi regolare la propria attività rispetto ad un punto di riferimento.
- Naturalmente ho parlato della meccanica come esempio più rile-vante ma avrei potuto parlare di qualsiasi altro settore industriale e non. Credo che le politiche ed i ri-sultati che esse sortiranno o non sortiranno siano decisive per il fu-turo del mercato del lavoro. Tutta-via esistono politiche specifiche per il mercato del lavoro che riten-go però possano essere indipen-denti dalla fase congiunturale se opportunamente strutturate.
- Il primo obiettivo di queste politi-che buone per tutte le stagioni credo sia quello di ridare mobilità al lavoro o, se si vuole, di dare meno rigidità al mercato del lavo-ro. Un primo pallido esempio di ciò è costituito dai servizi che fa-voriscono l’incontro fra domanda ed offerta di lavoro. Nonostante possiamo contare su un numero crescente di tali servizi di orienta-mento, essi soffrono di notevoli difficoltà a dare risposte reali alle esigenze di mobilità. Coesistono
infatti difficoltà a reperire manodo-pera specializzata in alcune im-prese e contemporaneamente dif-ficoltà a ricollocare i cassaintegra-ti. Ritengo che il primo passo ver-so la river-soluzione di questo tipo di problema possa essere il coinvol-gimento non formale di imprese e sindacato in questi centri. E’ inte-resse di entrambi infatti ricollocare la manodopera momentaneamen-te in esubero presso alcune im-prese in altre realtà produttive. Ma è altresì evidente che questo non può accadere se imprenditori e rappresentanze sindacali non si accordano e non si strutturano per tempo, per non farsi trovare impreparati dall’insorgere di stati di crisi, sia a livello settoriale che territoriale. Questo dovrebbe ren-dere più facile programmare l’u-scita dall’impresa e l’entrata in al-tre imprese dello stesso settore o di altri settori, prevedendo even-tuali periodi di riqualificazione presso strutture formative che nel-la nostra regione non mancano.
- La mobilità non è solo mobilità ex-tra e inex-trasettoriale, ma è anche mobilità sul territorio. Ci sono si-curamente molti fattori che la in-fluenzano, sia soggettivi che og-gettivi. Tra quelli oggettivi possia-mo solo ricordare quelli che ri-guardano le politiche per i traspor-ti e le abitazioni. In certe aree ur-bane, come quella di Bologna, non è difficile integrare solo i lavo-ratori extracomunitari, ma anche quelli riminesi e piacentini. Una