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Programma di attività dell’Unioncamere per l’anno 1998

Nel documento Emilia-Romagna Regione d’Europa (pagine 157-161)

Seduta del Consiglio di Amministrazione nella sede di Via Montegrappa

156 Estratto dalla Relazione del Presidente di Unioncamere al Consiglio di Amministrazione una struttura autonoma di erogazione

di servizi alle imprese: sarà il modo di interpretare la domanda di servizi, nonchè l’approccio ai servizi stessi (l’informazione, le modalità di eroga-zione, la verifica ed il controllo dei ri-sultati) che dovranno sempre più ca-ratterizzare il “modello” camerale ed il suo linguaggio.

Interpretare nell’ottica del servizio tut-ta l’attività delle Camere di commercio significa compiere il passaggio dall’”orientamento alla pratica” a quel-lo della soddisfazione del “cliente-utente”, cioè l’impresa.

In questo contesto si devono collocare:

A) le funzioni amministrative di regi-strazione del mercato che rappre-sentano il primo grande terreno sul quale le Camere di commercio so-no chiamate a giocare la loro sfida.

Uno dei motivi che hanno legittimato l’Ente camerale alla tenuta ed alla ge-stione del nuovo Registro delle Impre-se è costituito dall’esistenza di un pa-trimonio di dati e di informazioni sulle imprese che non ha eguali in Italia e dalla disponibilità di un sistema infor-matico già diffuso a rete sull’intero ter-ritorio nazionale.

Questo significa tre vantaggi:

1) un contributo fondamentale alla tra-sparenza del mercato garantita dal-la completezza ed organicità deldal-la pubblicità legale di tutti gli operato-ri del mercato, nonché dalla tempe-stività dell’informazione;

2) la creazione, quindi, di un sistema di pubblicità effettiva e non presun-ta delle informazioni

economico-giuridiche che consente l’accesso ad un archivio nazionale consulta-bile da chiunque ed in qualsiasi parte del territorio;

3) la possibilità di uno scambio conti-nuo di documenti e di dati.

B) le funzioni amministrative di infor-mazione economica che devono garantire il coordinamento provin-ciale delle statistiche economiche di rilevazione diretta, quindi l’utiliz-zazione statistica dei registri e degli albi camerali anche mediante inte-se con altri enti ed organismi.

Collocare quelle che sono le funzioni amministrative di registrazione del mercato e di informazione economica delle Camere di commercio (quindi le azioni non discrezionali) nell’ottica del

“servizio” al sistema delle imprese, superando quello che si definiva co-me un semplice ed anacronistico

“orientamento alla pratica”, rappre-senta uno degli obiettivi che le nuove Camere e che il sistema camerale, nelle sue varie articolazioni, devono porsi come assolutamente prioritario perché questo è un campo nel quale le Camere hanno già maturato delle esperienze, delle competenze e delle professionalità e nel quale le Camere hanno degli strumenti tali da poter garantire un approccio moderno, in-novativo ed avanzato.

Si tratta di rendere sempre più agevo-le per l’imprenditore il rispetto degli adempimenti certificativi, di garantire velocità e semplicità di accesso.

Le Camere hanno di fronte un’altra

grande sfida, quella di maturare, cioè, una propensione

• ad una nuova cultura organizzativa nella logica, come si diceva, del ser-vizio e dell’orientamento all’utente ed

• a proporsi come “sistema” nel mo-mento in cui tale scelta possa ga-rantire riduzione dei costi ed accen-tuazione dell’efficienza e dell’effica-cia dei servizi.

C’è, infatti, una parte di azioni, nel-l’ambito delle molteplici attività delle Camere di commercio, che rientrano, a differenza di quelle che abbiamo analizzato in precedenza, nella discre-zionalità delle stesse, una parte di azioni che possiamo definire “opziona-li” e nel cui ambito la politica camerale dei servizi ha assunto una notevole va-rietà di forme in tema, ad esempio, di formazione manageriale, di export, di innovazione tecnologica. Rispetto a queste azioni ci si deve chiedere che cosa possono fare le Camere di com-mercio come “sistema” visto che, co-me sistema, anche e soprattutto nella nostra regione, le Camere stesse han-no evidenziato un potenziale di offerta molto interessante e che va ben al di là dei servizi per i quali, singolarmente, le Camere di commercio sono general-mente conosciute.

E qui si colloca la riflessione sull’Unione regionale delle Camere di commercio e sulle ragioni profonde che ispirano il suo programma di attività per il 1998.

Un Programma che tende proprio a concentrarsi sulle azioni che abbiamo definito “discrezionali” e sulle quali le Camere di commercio sono chiamate

Programma di attività dell’Unioncamere per l’anno 1998

Estratto dalla Relazione del Presidente di Unioncamere al Consiglio di Amministrazione 157 a verificare la loro propensione a fare

“sistema”.

L’Unione regionale delle Camere di commercio dell’Emilia-Romagna ha promosso nel 1995 l’avvio del “Pro-getto di sviluppo organizzativo del net-work camerale dell’Emilia-Romagna”

che è entrato nel vivo della sua fase sperimentale e che nel 1998 dovrebbe portare ai primi concreti risultati.

I gruppi intercamerali di lavoro, creati nell’ambito del “Progetto network”, hanno infatti già avanzato alle dirigen-ze delle Camere di commercio alcune ipotesi di sperimentazione di networ-king, di servizi, cioè, da gestire in rete, attivando tra le singole Camere di commercio tutte le possibili sinergie in termini di contenuti e modalità di of-ferta dei servizi stessi.

In particolare, le ipotesi progettuali sulle quali sta convergendo l’intesa tra le Camere di Commercio riguardano la Certificazione di Qualità dei Registri Imprese ed il Controllo di Gestione.

L’Unione regionale, con l’obiettivo di farsi garante di quelle logiche di rete destinate a fare funzionare meglio il si-stema, segue con particolare atten-zione i progetti di sperimentaatten-zione di networking che sono stati avanzati, progetti che sono diventati parte inte-grante e rilevante della propria attività, in particolare nel campo della interpre-tazione normativa e della riorganizza-zione dei servizi amministrativi.

A sua volta l’Unione stessa ha voluto fortemente che i suddetti progetti, ai quali stanno lavorando praticamente tutte le Camere di commercio della re-gione, fossero presentati al Fondo

in-tercamerale nazionale di Perequazio-ne al fiPerequazio-ne di accedere ai finanziamenti destinati proprio alle più interessanti ed innovative sperimentazioni di rete che si stanno sempre più diffondendo in tutta Italia.

I progetti delle Camere di commercio dell’Emilia-Romagna sono stati tutti ammessi ai suddetti finanziamenti e possono pertanto godere di un sup-porto in più al fine della loro concreta realizzazione.

Ma un altro ambito nel quale le Came-re di commercio della Came-regione devono proporsi come sistema è quello dei rapporti con l’Ente Regione.

Le prospettive di riforma degli assetti istituzionali nel nostro paese si fonda-no sull’esigenza, da tempo richiama-ta, di un decentramento equilibrato di funzioni e poteri da troppo tempo ac-centrati negli apparati statali.

Il percorso è in pratica cominciato tra la fine degli anni ’80 e l’inizio degli an-ni ’90 ed ancora oggi il tracciato non è privo di insidie ed ostacoli.

Fino ad oggi, quando si è parlato di

“federalismo”, si è inteso il supera-mento definitivo del centralismo e la configurazione di un sistema ammini-strativo che deve operare, con appa-rati amministappa-rativi organizzati a livello regionale, intorno alle Regioni e agli enti locali.

Ma quello che, in realtà, si va prefigu-rando è un “federalismo delle autono-mie”, dove le “autonomie” non sono solo quelle territoriali, bensì sono an-che quelle funzionali, tra le quali anan-che le Camere di commercio, il

riconosci-mento delle cui funzioni fondamentali garantisce alle stesse piena dignità istituzionale.

Le Regioni sono comunque destinate a diventare il centro propulsivo del si-stema delle autonomie, in virtù di im-portanti poteri anche di tipo ordina-mentale, ma nel rispetto di quelle au-tonomie da un punto di vista organiz-zativo e normativo e nella valorizzazio-ne delle loro riconosciute vocazioni funzionali.

E’ con la legge “Bassanini”, 59/97, che è stato forse compiuto il passo decisivo nella costruzione di questa prospettiva: le Camere di commercio vengono confermate tra i soggetti tito-lari del decentramento, nel contesto di questo embrionale ed ancora informe regionalismo, ma con una premessa che ne rinforza ulteriormente il ruolo.

Tale premessa consiste

• nell’affermazione del principio di sus-sidiarietà, con la previsione dell’attri-buzione delle responsabilità pubbli-che alle autorità territorialmente e funzionalmente più vicine ai cittadini interessati e, conseguentemente

• nel riconoscimento dei “compiti esercitati in regime di autonomia funzionale dalle Camere di com-mercio, industria, artigianato, agri-coltura”.

Essendo ad esse attribuite per leg-ge “funzioni di supporto e promozio-ne degli interessi gepromozio-nerali delle im-prese” (legge 580/93), la suddetta premessa ci consegna il sistema ca-merale come autorità funzionalmen-te più vicina all’infunzionalmen-teresse delle im-prese.

Programma di attività dell’Unioncamere per l’anno 1998

158 Estratto dalla Relazione del Presidente di Unioncamere al Consiglio di Amministrazione Dalla 580/93 alla legge Bassanini

c’è un filo conduttore che ci rivela l’intenzione del legislatore che è quella di prendere in considerazione le Camere di commercio come “si-stema”. Ma questo sistema, che ancora deve prendere forma orga-nizzativa, non può che darsi un’im-pronta regionalista: la regione è la dimensione giusta, lo si intuisce an-che dalla nuova architettura istitu-zionale, per la definizione di quelle economie di scala adatte a costrui-re un sistema paese competitivo con i mercati globali.

Le Camere di commercio possono pertanto proporsi di aiutare le Re-gioni a diventare il centro delle fun-zioni di indirizzo, di legislazione di programmazione disimpegnandosi gradualmente dalle funzioni di ge-stione e scongiurando il rischio di nuovi modelli centralistici, questa volta a livello regionale.

Queste sono le sinergie che il siste-ma camerale deve garantire, collo-candosi coerentemente nel percor-so di ridefinizione degli assetti istitu-zionali del nostro paese e, contem-poraneamente, valorizzando appie-no la propria rinappie-novata vocazione, di autonomia funzionalmente votata al sostegno ed alla promozione degli interessi generali delle imprese.

Ecco il perché di un nuovo regiona-lismo anche nel sistema camerale, perché è a questo livello che le Ca-mere di commercio possono assu-mere più efficacemente le responsa-bilità alle quali sono state chiamate.

Dalla legge 580/93 (di riordino delle Camere di commercio), alla legge 549/95 (la finanziaria 1996 che ha previsto, con riguardo alle funzioni attinenti al sistema delle imprese, che le regioni, nell'ambito delle ma-terie ad esse trasferite o delegate, possano delegare le Camere di commercio, industria, artigianato e agricoltura) alla legge 59/97 (la leg-ge Bassanini sulle nuove funzioni e compiti a Regioni ed Enti Locali) c’è un filo conduttore che ci rivela l’in-tenzione del legislatore che è quella di prendere in considerazione le Ca-mere di commercio come “sistema”.

Ma questo sistema, che ancora de-ve prendere forma, non può che darsi un impronta regionalista: la re-gione è la dimensione giusta, lo si intuisce anche dalla nuova architet-tura istituzionale, per la definizione di quelle economie di scala adatte a costruire un sistema paese compe-titivo con i mercati globali.

Le Camere di commercio devono pertanto aiutare le Regioni a diven-tare il centro delle funzioni di indiriz-zo, di legislazione di programmazio-ne disimpegnandosi gradualmente dalle funzioni di gestione e scongiu-rando il rischio di nuovi modelli cen-tralistici, questa volta a livello regio-nale.

Queste sono le sinergie che il siste-ma camerale deve garantire collo-candosi coerentemente nel percor-so di ridefinizione degli assetti istitu-zionali del nostro paese e, contem-poraneamente, valorizzando appie-no la propria rinappie-novata vocazione, di

autonomia funzionalmente votata al sostegno ed alla promozione degli interessi generali delle imprese.

Ecco perché un nuovo regionalismo anche nel sistema camerale, perché è a questo livello che le Camere di commercio possono assumere più efficacemente le responsabilità alle quali sono state chiamate.

In questo contesto nello Statuto di Unioncamere regionale si propone di aggiungere un nuovo articolo 3 dedicato ai “Rapporti con la Regio-ne Emilia-Romagna” che preveda la possibilità per l’Unione di concor-dare “specifici strumenti di consul-tazione con la Regione Emilia-Ro-magna per definire le linee di azione e di coordinamento di iniziative co-muni e defiire la propria partecipa-zione al processo di programmazio-ne regaionale ed alla sua realizza-zione”; i rapporti con la Regione po-tranno prevedere, inoltre, “attribu-zione di funzioni, deleghe esercita-bili in via diretta o attraverso stru-menti specifici.

Programma di attività dell’Unioncamere per l’anno 1998

Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini 159 Forlì, 3 Aprile 1998

Sempre più spesso, per definire il nuova assetto dell'economia mondia-le, si ricorre al termine globalizzazio-ne, dove con questa espressione si intende il processo attraverso cui pro-duzione e mercati nei diversi paesi di-ventano sempre più dipendenti tra di loro, a causa della dinamica dello scambio di beni e servizi, e mediante i movimenti di capitale e tecnologia.

Di globalizzazione si parla forse fin troppo e talvolta in maniera impropria, ma è indubbio che la maggior apertu-ra del commercio internazionale e l'in-ternazionalizzaz¡one della tecnologia hanno impresso un impulso senza precedenti al sistema economico dal quale è impossibile prescindere nelle analisi delle dinamiche di sviluppo, an-che a livello locale.

Anche la Regione Emilia-Romagna nel suo recente documento relativo al Piano Territoriale Regionale indica il rapporto locale-globale come un passaggio obbligato per lo sviluppo delle città e delle imprese. Al dibatti-to su internazionalizzazione e globa-lizzazione intende contribuire anche l'Unioncamere, cercando di portare nuovi elementi di analisi estrapolati dalle migliaia di interviste dirette che annualmente il sistema camerale ef-fettua presso le imprese della nostra regione.

Il processo di internazionalizza-zione delle imprese della regione lnnanzitutto occorre valutare il grado di internazional¡zzazione raggiunto dalle imprese dell'Emilia-Romagna:

si può parlare di un'economia regio-nale già integrata con l'ambiente

esterno, oppure si tratta di un feno-meno circoscritto a poche imprese?

Il commercio rappresenta una prima componente importante nel determi-nare la capacità di penetrazione nei mercati esteri del sistema economi-co emiliano-romagnolo. Il buon an-damento degli scambi commerciali intrattenuto dalla nostra regione sembra indicare un elevato grado di apertura verso i mercati esteri. In particolare le imprese dell'Emilia-Ro-magna hanno quadruplicato l'export diretto verso mercati non tradiziona-li. La ricerca di nuovi sbocchi com-merciali è testimoniata anche dalla crescita del numero dei Paesi part-ner commerciali con cui le imprese regionali intrattengono rapporti, pas-sati dai 194 del 1989 ai 217 del 1996.

Tuttavia, non necessariamente ad una crescita delle esportazioni si as-socia una maggior diffusione del fe-nomeno. Limitando l'analisi alle im-prese dell'industria manifatturiera con oltre 9 addetti emerge come quasi un terzo delle imprese non esporta, mentre solo un’az¡enda su quattro realizza oltre la metà del pro-prio fatturato attraverso vendite all'e-stero. Vi è quindi oltre la metà delle imprese manifatturiere emiliano-ro-magnole che non sono coinvolte, o lo sono in misura marginale, dal commercio estero. Rispetto ai primi anni novanta sono addirittura in au-mento le imprese non esportatrici.

L'opportunità offerta dal mercato globale è stata quindi colta solo da un numero ristretto di imprese. Il mo-tivo principale è da ricercarsi nella

polverizzazione dell'Industria regio-nale, caratterizzata dalla presenza di moltissime imprese di piccole di-mensioni. La dimensione aziendale rappresenta infatti una discriminante importante nella scelta di commer-ciare con l'estero. Sette imprese su dieci di piccole dimensioni non esportano o realizzano all'estero una quota di fatturato inferiore al 20%, quasi la metà delle grandi imprese realizza almeno il 50% del propr¡o fatturato attraverso vendite sui mer-cati esteri. Un ruolo fondamentale è da attribuire alla presenza dei di-stretti industriali che in molti casi porta le imprese più piccole a svol-gere l'attività di subfornitura per im-prese di dimensioni maggiori, desti-nando quindi l'intera produzione sul mercato locale. Vi è quindi un'orga-nizzazione all'interno del distretto che delega solo alcune imprese al-l'attività commerciale con l'estero.

In generale, possiamo individuare due differenti modalità di avvicina-mento al mercato estero.

La prima, adottata in particolare dal-le piccodal-le imprese, considera il mer-cato estero come un’estensione di quello interno, che non richiede cioè una diversa struttura organizzativa.

Anche le strategie aziendali rimango-no sostanzialmente invariate negli anni; i periodi in cui il mercato estero offre opportunità favorevoli sono sfruttati intensificando le risorse im-pegnate nella commercializzazione e nell'amministrazione.

Nel secondo modo di vedere il mer-cato internazionale, la domanda estera è legata alla capacità

Nel documento Emilia-Romagna Regione d’Europa (pagine 157-161)

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