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Il sistema delle piccole e medie imprese dell’Emilia-Romagna e i distretti industriali

Nel documento Emilia-Romagna Regione d’Europa (pagine 167-172)

Il Presidente della CCIAA di Modena Antonio Camellini, il Presidente Romano Prodi e il Presidente Pietro Baccarini

166 Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini Università di Bologna a Buenos Aires, 5 Aprile 1998 Il sistema produttivo regionale:

imprese, unità locali e addetti A fine 1998 in Emilia-Romagna ope-ravano oltre centomila imprese indu-striali, più di una ogni 40 abitanti. Il settore manifatturieroè composto dal 55,6% delle imprese e impiega l'80% degli addetti dell’industria re-gionale. In particolare è da notare l’importanza dell’industria meccani-ca in Emilia-Romagna. Caratteristimeccani-ca dell'industria regionale è l’elevato numero di imprese di piccola e me-dia dimensione, la dimensione meme-dia in termini di addetti delle unità locali manifatturiere è di 8,4 addetti. La concentrazione degli addetti dell’in-dustria regionale nelle unità locali di minore dimensione è andata aumen-tando dalla fine degli anni ’80, per effetto di un progressivo fenomeno di disintegrazione verticale dell’attivi-tà, che ha visto aumentare l’impor-tanza delle medie dimensioni.

Le piccole imprese in Emilia-Romagna

Le piccole imprese hanno un’elevata diffusione in Emilia-Romagna, ope-rano all’interno di sistemi produttivi industriali, caratterizzati da un’eleva-ta disintegrazione verticale delle atti-vità, da un clima di forte concorren-za e cooperazione tra imprese, dalla produzione di una gamma ampia-mente differenziata di prodotti simili e da un elevata apertura verso i mer-cati internazionali. Le piccole impre-se regionali operano sia come pro-duttori finali, sia hanno il ruolo di subfornitori o contoterzisti. La sub-fornitura regionale è caratterizzata da un elevato livello di

specializza-zione tecnologica e da una stretta rete di relazioni tra subfornitori e committenti. Il processo produttivo è realizzato dall’interconnessione in re-te di numerose imprese che operano ciascuna su una singola fase del processo.

Il sistema industriale di piccole e me-die imprese regionale e il suo am-biente sociale

Nel sistema produttivo emiliano-ro-magnolo le piccole imprese si trova-no pienamente inserite in una rete di relazioni, non sono mai isolate. Le imprese regionali si caratterizzano per l’alto livello tecnologico e/o quali-tativo delle produzioni realizzate, che garantisce posizioni di leadership a li-vello mondiale, difficilmente contra-stabili da sistemi produttivi impronta-ti alla massima standardizzazione, come avviene per le produzioni di nicchia di beni strumentali, grazie al-la produzione di pezzi unici o in pic-cole serie, alla capacità di innovazio-ne e all’attenzioinnovazio-ne al cliente. Nel si-stema regionale di piccole imprese è diffusa una forte etica del lavoro con-divisa. Ne deriva che nel sistema economico è elevato il livello di fidu-cia. La separazione di classe tra la-voratori e imprenditori non è elevata, spesso l’imprenditore è un ex-dipen-dente messosi in proprio. Linguaggio e riferimenti morali comuni sostengo-no la collaborazione. Il clima di colla-borazione costituisce un vero van-taggio competitivo, da cui derivano la flessibilità degli orari di lavoro, l'attivo apporto dei dipendenti ai processi di innovazione, condizioni di lavoro e salariali vantaggiose, l'identificazione

dei lavoratori con l’impresa e l’attac-camento all’impresa e al prodotto. Il clima delle relazioni sociali è forte-mente orientato alla costruttiva com-posizione dei conflitti. A fronte di cri-si aziendali, pubbliche amministrazio-ni, sindacati, e associazioni imprendi-toriali collaborano per individuare in-terventi capaci di garantire l’impresa e l’occupazione. Esiste un positivo quadro istituzionale favorevole all’at-tività imprenditoriale. Le pubbliche amministrazioni hanno fornito soste-gno all’imprenditoria e in particolare alle piccole e medie imprese, con una politica delle aree attrezzate e dei villaggi artigiani, con una politica di servizi a favore delle imprese, so-stenendo l’azione delle associazioni di categoria e coinvolgendole nelle scelte e nell’attività dell’operatore pubblico. Una delle basi del clima fa-vorevole all’imprenditorialità regiona-le è data dall’eregiona-levata mobilità sociaregiona-le.

La promozione e il sostegno della piccola impresa hanno offerto una possibilità di promozione a molti la-voratori. La figura dell’imprenditore è considerata portatrice di valori so-cialmente positivi.

Innovazione, internazionalizzazione e strutture proprietarie. Alcuni proble-mi di sviluppo

Il sistema economico regionale di piccole e medie imprese ha un’ele-vata flessibilità, a fronte delle varia-zioni del quadro economico naziona-le e internazionanaziona-le, delnaziona-le condizioni degli specifici mercati, e ha una grande capacità di innovazione. È elevato il carattere innovativo delle piccole imprese, ma i processi

inno-Il sistema delle piccole e medie imprese dell’Emilia-Romagna e i distretti industriali

Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini 167 Università di Bologna a Buenos Aires, 5 Aprile 1998

vativi sono spesso strettamente con-nessi e indistinguibili dalla ordinaria attività produttiva delle piccole e me-die imprese.

L’apertura dei mercati internazionali, la crescente concorrenza, in partico-lare a seguito dell’unificazione mo-netaria europea e la forte innovazio-ne tecnologica e di prodotto hanno determinato una accelerazione del processo di selezione delle imprese e un forte processo di ristrutturazio-ne, cui anche le piccole imprese hanno fatto fronte con capacità di adattamento. Per le piccole imprese, prive di una compiuta struttura orga-nizzativa, accentrata nella figura del-l’imprenditore, appare più problema-tica la soluzione dei problemi legati alla successione.

Questo complesso di condizioni ha favorito le acquisizioni di piccole e medie imprese regionali, di tutti i set-tori industriali, da parte di medie e grandi imprese nazionali ed estere, nonché da grandi multinazionali.

Questa condizione, se segnala una debolezza del sistema di piccole im-prese, ne evidenzia anche un ele-mento di forza. All’interno del vivace sistema delle piccole e medie impre-se, la cessione di impreimpre-se, che con-tinuano comunque ad operare, forni-sce anche uno strumento per smo-bilizzare risorse, disponibili per co-gliere altre opportunità di sviluppo di attività imprenditoriali.

Le piccole imprese e la politica indu-striale a livello locale

Le piccole imprese sono abituate ad avere relazioni tra loro, ad associarsi in organizzazioni di categoria, ad

en-trare in contatto con centri di servizi, istituiti in collaborazione da associa-zioni di categoria e pubbliche ammi-nistrazioni locali, ad essere coinvolte nelle azioni di politica industriale del-le pubbliche amministrazioni. La col-laborazione tra pubblico e privato garantisce il consenso sociale e so-stiene la credibilità dell’operare degli enti locali.

Dal primo dopoguerra, le ammini-strazioni pubbliche locali regionali hanno fornito sostegno allo sviluppo delle piccole imprese industriali met-tendo a disposizione aree attrezzate per un ordinato sviluppo delle attività industriali e artigiane, a costi sensi-bilmente inferiori a quelli di mercato, grazie alle notevoli economie di sca-la ottenibili con sca-la realizzazione di grandi strutture immobiliari fraziona-bili. Le piccole e medie imprese, sot-tocapitalizzate e con difficoltà di ac-cesso al credito, hanno avviato l’atti-vità con una minore dotazione finan-ziaria. L’istituzione di centri servizi, in collaborazione tra amministrazioni pubbliche locali e associazini di ca-tegoria ha reso disponibili alle picco-le e medie imprese, a costi economi-camente convenienti, funzioni azien-dali che richiedono una scala supe-riore, quali il marketing, la gestione finanziaria e l’informazione tecnolo-gica e di mercato. Le associazioni di categoria regionali svolgono un ruo-lo di rappresentanza politica, ma an-che compiti di assistenza e sostegno allo sviluppo economico, fornendo servizi alle imprese associate, in par-ticolare nel campo dell’amministra-zione, della contabilità e degli

adem-pimenti dipendenti da obblighi di legge. Ciò permette alle imprese di esternalizzare parte delle attività am-ministrative, in una sorta di outsour-cing organizzato su base associati-va. La forma del consorzio è stata ampiamente utilizzata per costituire strumenti di sostegno all’attività del-le piccodel-le e medie imprese regionali.

I consorzi fidi o cooperative di ga-ranzia sono strutture mutualistiche di natura associativa, autogestite da imprenditori, al cui sostegno concor-rono la Regione, le associazioni di categoria e il sistema camerale, in un attivo e proficuo rapporto tra pubbli-co e privato. I pubbli-consorzi fidi, per pubbli- con-to delle imprese associate, garanti-scono i crediti che i soci ottengono dagli istituti di credito convenzionati e contrattano collettivamente le con-dizioni di accesso al credito, riuscen-do a ottenere condizioni più vantag-giose dalle banche convenzionate, riducendo il differenziale positivo sui tassi di interessi pagati dalle piccole e medie imprese rispetto alle grandi, e soprattutto ottenendo un più am-pio accesso al credito. Le decisioni di finanziamento dei consorzi sono assunte da un consiglio di ammini-strazione composto da imprenditori, che danno particolare importanza al-le caratteristiche personali, morali e di professionalità, del richiedente e alla validità della sua attività impren-ditoriale, mentre gli istituti di credito danno un peso rilevante alle garan-zie reali del richiedente.

I Consorzi fidi costituiscono un vali-do modello di gestione di risorse pubbliche con strumenti privati, la

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168 Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini Università di Bologna a Buenos Aires, 5 Aprile 1998 Regione svolge una funzione di

indi-rizzo e di controllo, mentre la gestio-ne è lasciata ad un ente privato.

Questo strumento contribuisce inol-tre a fare crescere la contiguità tra banca e impresa, un carattere es-senziale per lo sviluppo. Sono in gran parte convenzionati gli istituti di credito locali, che meglio conoscono il tessuto imprenditoriale in cui ope-rano. Le imprese associate ai Con-sorzi fidi dell’industria sono 3.800 nel 1998. La Regione ha stanziato complessivamente 34 miliardi a fa-vore dei consorzi fidi dell’industria, come contributi a fondo rischi. Nel 1998 tali fondi hanno garantito finan-ziamenti per 430 miliardi e nel tempo i contributi a fondo rischi hanno ga-rantito operazioni per 1.500 miliardi.

La politica industriale regionale pone particolare interesse all’azione svolta da una pluralità di soggetti riguar-dante l’accesso al mercato del lavo-ro e i servizi di formazione plavo-rofessio- professio-nale. In questo campo è attiva la presenza del sistema regionale delle Camere di commercio. La ridotta na-talità e l’invecchiamento della popo-lazione hanno determinato la stasi della crescita della forza lavoro. So-no rilevanti i feSo-nomeni di mismatch tra domanda e offerta di lavoro. Ne risulta un’ampia carenza di alcune fi-gure professionali, quali operai ad elevata qualificazione. Occorre inte-grare nel sistema produttivo regiona-le i lavoratori provenienti da aree svantaggiate del paese e dall’estero e favorire l’inserimento di segmenti marginali dell’offerta di lavoro. Il si-stema delle Camere di commercio,

le Associazioni di categoria, le Am-ministrazioni Pubbliche monitorano i fabbisogni formativi, formano forza lavoro qualificata e hanno fondato e sostengono istituti di formazione professionale di alto livello.

Le specializzazioni territoriali:

i distretti industriali

La struttura del sistema produttivo emiliano-romagnolo è caratterizzata dalla presenza dei distretti industria-li. I distretti industriali hanno dato un rilevante contributo allo sviluppo economico italiano e regionale e le loro produzioni hanno ottenuto un ri-levante successo economico, sia sul mercato italiano, sia sui mercati in-ternazionali.

L’analisi degli specialisti ha messo in luce come i distretti siano capaci di combinare efficienza produttiva ed elevata capacità di risposta ai muta-menti delle condizioni del mercato.

Questo sistema di organizzazione della produzione è caratterizzato da:

capacità di raggiungere alti livelli di specializzazione, che garantiscono un alto grado di competenza ed effi-cienza; rapido e facile accesso a tut-ta la gamma delle specializzazioni della catena produttiva; disponibilità di elevate competenze tecniche loca-li; forza lavoro altamente qualificata;

atmosfera industriale che permette una rapida diffusione delle idee; mix efficace di cooperazione e competi-zione; buona cultura imprenditoriale;

contesto di consenso e vasto nume-ro e ampia varietà di istituzioni di supporto all’attività economica. I di-stretti industriali sono agglomerazioni di centinaia, o migliaia di imprese,

prevalentemente di piccola o media dimensione, specializzate e indipen-denti, che operano nello stesso set-tore, collaborano e competono e so-no concentrate in un’area territorial-mente delimitata. Queste agglomera-zioni costituiscono zone di attività di quasi monoproduzione.

I distretti industriali emiliano-romagnoli Emilia-Romagna, Toscana e Veneto sono le tre regioni nelle quali si trova la maggior parte dei distretti indu-striali italiani. In regione si identifica-no alcune concentrazioni industriali importanti e chiaramente definite, fra le quali i seguenti distretti: tessile-abbigliamento nell’area di Carpi-Mo-dena; il calzaturieri nelle aree di Fusi-gnano (Ravenna) e S. Mauro Pasco-li (Rimini); i distretti ceramico e delle macchine per l’industria ceramica, entrambi nell’area di Sassuolo (Mo-dena) e di Castellarano (Reggio Emi-lia); il motociclo nell’area attorno a Bologna; le macchine automatiche per l’imballaggio nell’area attorno a Bologna; le macchine agricole, nel-l’area delle provincie di Modena e Reggio Emilia; il biomedicale a Mi-randola (Modena); le macchine per la lavorazione del legno di Carpi (Mo-dena) e di Rimini; le macchine uten-sili a Piacenza; l’industria alimentare le macchine per l’industria alimenta-re dell’aalimenta-rea di Parma; il mobile im-bottito dell’area di Forlì.

I distretti industriali di fronte alle sfide della globalizzazione dei mercati.

Le sfide che la globalizzazione dei mercati e la crescente integrazione fra attività economiche locali, merca-ti globali e strutture produtmerca-tive hanno

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Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini 169 Università di Bologna a Buenos Aires, 5 Aprile 1998

posto ai distretti industriali hanno determinato un’importante insieme di trasformazioni nei distretti. Sono rilevanti i casi di innovazione organiz-zativa, di processo e di prodotto rea-lizzatisi nei distretti regionali. Si sono realizzati anche casi rilevanti di cre-scita di interi comparti a monte o a valle della produzione principale del distretto. Il processo di internaziona-lizzazione ha coinvolto anche i di-stretti regionali. Grandi imprese este-re e multinazionali esteeste-re si sono in-sediate in alcuni distretti regionali, attirate dalla qualità della rete di sub-fornitura, dal valore promozionale della localizzazione e dalla qualifica-zione della forza lavoro, fattori attrat-tivi cui si può aggiungere anche l’al-ta qualità della vil’al-ta. I distretti indu-striali regionali hanno affrontato le nuove sfide della competizione glo-bale seguendo sentieri di sviluppo

“alti,” caratterizzati da competizione sulla base dell’innovazione, della produttività, del costante incremento della qualità, di buone condizioni di lavoro e di retribuzioni elevate.

Alcuni cenni storici sui distretti e la loro evoluzione

Il sistema industriale emiliano-roma-gnolo è di origine relativamente re-cente. Dopo il secondo conflitto mondiale, dal punto di vista dello svi-luppo industriale, l’Emilia-Romagna era in condizione arretrata rispetto al cosiddetto Triangolo Industriale. Già nel corso degli anni Cinquanta, si av-viò uno sviluppo estremamente rapi-do che inserì progressivamente la re-gione nel novero di quelle più indu-strializzate. Il baricentro dello

svilup-po si ssvilup-postò parzialmente dall’area del Triangolo industriale alla cosid-detta “Terza Italia”, l’area né storica-mente industrializzata, né afflitta dai problemi di sviluppo del Mezzogior-no. A questo periodo risale, essen-zialmente, la nascita del fenomeno dei distretti industriali emiliano-roma-gnoli. Nel corso degli anni Sessanta, il fenomeno dei distretti si consolidò e l’Emilia-Romagna diventò rapida-mente una delle Regioni leader della produzione industriale.

I distretti industriali regionali che hanno visto consolidare e rafforzare la loro posizione sia sui mercati na-zionali, sia su quelli internazionali so-no quello delle macchine automati-che per il confezionamento (packa-ging) e quello delle piastrelle in cera-mica. Il distretto del packaging è sorto anche grazie alla capacità del bacino locale in cui è localizzato di sviluppare specifiche professionalità legate ai settori della meccanica. Ta-le disponibilità ha trovato origine nel-la presenza di un importante scuonel-la professionale, l’Istituto Tecnico Indu-striale Aldini-Valeriani, fondato a Bo-logna nel 1846. Il distretto delle ce-ramiche si è sviluppato nell’area di Sassuolo-Scandiano, tra le province di Modena e di Reggio Emilia. Pre-supposto per la sua nascita furono la presenza di materie prime argillose, adatte per questa tipologia produtti-va, e il forte sviluppo di un mercato interno, trainato dalla crescita dell’e-dilizia residenziale nazionale. All’ini-zio degli anni Ottanta questo distret-to conobbe una crisi preoccupante dalla quale è uscito grazie a una

ri-strutturazione radicale che ha contri-buito al risorgere del settore.

In conclusione, occorre rilevare che le vicende dei distretti appena de-scritte mostrano che un ruolo decisi-vo è sempre giocato dalle autonome strategie delle singole imprese. Il di-stretto può rafforzare la sua posizio-ne soltanto se emerge al suo interno un nucleo di imprese leader, capaci di imprimere un elevato ritmo inno-vativo, di fare crescere il livello della manodopera e di proiettarsi con ag-gressività sui mercati internazionali.

Il sistema delle piccole e medie imprese dell’Emilia-Romagna e i distretti industriali

170 Intervento del Presidente di Unioncamere Pietro Baccarini Bologna, Hotel Sheraton, 10 Luglio 1998 La crescente partecipazione delle

picco-le e medie imprese italiane nei processi di internazionalizzazione costituisce un ele-mento di novità nello scenario economi-co nazionale. Nel decennio seconomi-corso i casi di espansione multinazionale ad opera di aziende italiane erano scarsi e limitati so-lamente a pochi grandi gruppi finanzia-rio-industriali, a differenza di quanto av-veniva negli altri paesi industrializzati do-ve il fenomeno dell’internazionalizzazione era già ampiamente diffuso. Ancora a metà degli anni ottanta il numero delle imprese industriali italiane partecipate al-l’estero era due volte e mezzo superiore a quello delle imprese estere industriali partecipate in Italia. La rincorsa dell’Italia ha preso avvio a partire dalla fine degli anni ottanta e si è consolidata nel quin-quennio 1992-96 quando gli investimen-ti diretinvestimen-ti verso l’estero hanno costante-mente superato quelli operati da imprese straniere in Italia. La liberalizzazione e la globalizzazione dei mercati, il migliora-mento delle infrastrutture e l’avvento di nuove tecnologie hanno dato un impulso senza precedenti al processo di interna-zionalizzazione, coinvolgendo anche im-prese di dimesioni medie e piccole. In Emilia-Romagna nel 1996 le imprese in-dustriali italiane con almeno uno stabili-mento produttivo all’estero erano 662, di cui oltre i tre quarti con meno di 500 ad-detti. Una conferma della crescente diffu-sione dell’internazionalizzazione produtti-va è venuta dalla relazione della Banca d’Italia del maggio scorso. Secondo tale relazione gli investimenti delle aziende ita-liane all’estero nel 1997 hanno raggiunto i 34mila miliardi, evidenziando una cre-scita del 42% rispetto al 1996. Lo stesso Governatore della Banca d’Italia ha

forni-to una chiave di lettura del daforni-to: un flus-so di investimenti all’estero è fisiologico in economie avanzate, per conquistare nuovi mercati, acquisire know-how o più semplicemente per cercare vantaggi di costo. Ma, come sostiene Fazio, emerge per il nostro Paese il problema del carico tributario e contributivo del sistema pro-duttivo in un contesto di crescente com-petizione fiscale e a questo problema si affiancano una scarsa flessibilità nell’im-piego dei fattori produttivi, una regola-mentazione dell’attività economica spes-so troppo vincolante, la carenza di infra-strutture che ostacola l’operatività delle imprese. Ciò spiega perché parallela-mente all’espansione degli investimenti diretti all’estero non vi è stato un analogo incremento degli investimenti stranieri in Italia. Secondo un’indagine condotta da Unioncamere Emilia-Romagna il 4,4%

delle imprese manifatturiere emiliano-ro-magnole ha decentrato produzioni all’e-stero. Non si tratta ancora di una quota consistente di imprese, ma le intenzioni manifestate nel corso dell’indagine fanno prevedere un rapido aumento nei prossi-mi anni. Le motivazioni che deterprossi-minano la delocalizzazione produttiva di parte o dell’intera attività sono molteplici e diver-se in badiver-se al diver-settore economico e alla di-mensione aziendale. Le imprese di pic-cole e medie dimensioni, in particolare quelle che operano in comparti che non richiedono livelli di formazione elevati e dotazioni infrastrutturali consistenti, han-no cercato soluzioni all’estero che

delle imprese manifatturiere emiliano-ro-magnole ha decentrato produzioni all’e-stero. Non si tratta ancora di una quota consistente di imprese, ma le intenzioni manifestate nel corso dell’indagine fanno prevedere un rapido aumento nei prossi-mi anni. Le motivazioni che deterprossi-minano la delocalizzazione produttiva di parte o dell’intera attività sono molteplici e diver-se in badiver-se al diver-settore economico e alla di-mensione aziendale. Le imprese di pic-cole e medie dimensioni, in particolare quelle che operano in comparti che non richiedono livelli di formazione elevati e dotazioni infrastrutturali consistenti, han-no cercato soluzioni all’estero che

Nel documento Emilia-Romagna Regione d’Europa (pagine 167-172)

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