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Considerazioni conclusive sulla fase duecentesca dei conventi Eremitan

3. Le comunità conventuàli di Pàdovà e Treviso nel Trecento

3.1 Note di demografia conventuale

Le fonti antiche dell’ordine non offrono dati precisi sulla consistenza numerica dei vari conventi eremitani. Se è certo che fin dall’inizio l’ordine fu diviso in provincie1, cosa d’altra parte comune agli altri ordini mendicanti, per il XIII secolo non si sa quante esse fossero e dove fossero situate. David Gutierrez, nella sua storia dell’ordine degli Agostiniani, afferma che su questa questione «non troviamo purtroppo alcun fondamento né nella documentazione agostiniana del medio evo, né nei cronisti che scrissero prima del secolo XVII»2.

Dagli atti del capitolo generale di Siena, celebrato nel 1295, si deduce per la prima volta che c’erano 17 provincie3, tra cui quella Trevigiana (già costituita nel 1259 quando in un documento appare citato frate Ugo, priore provinciale in marchia Trivisina4), nella quale rientravano le due comunità conventuali da noi prese in esame. Nel 1329 le provincie erano

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La bolla Licet ecclesiae inviata nel 1256 dal papa Alessandro IV al priore generale Lanfranco da Milano e «ai priori provinciali, conventuali e a tutti i frati dell’ordine degli eremiti di sant’Agostino» ce lo dice implicitamente.

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GUTIÈRREZ, Storia dell’ordine di sant’Agostino, I/1, p. 87.

3 Nel capitolo si ordinò che ogni provincia dell’ordine inviasse ogni anno un fiorino d’oro a frate Giacomo da Viterbo, maestro reggente nello Studium agostiniano di Parigi, e i definitori di tale capitolo quantificarono in 17 fiorini la somma da inviare ogni anno: Antiquiores quae extant, II, pp. 371-373; GUTIÈRREZ, Storia dell’ordine di sant’Agostino, I/1, p. 88; per il Rano erano invece 16: RANO,

Agostiniani in DIP, I, c. 317 e c. 323.

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Si tratta dell’atto di promessa stipulato il 4 febbraio 1259, attraverso il quale il priore del convento degli Eremitani di Padova, frate Benvenuto, con il consenso del priore generale dell’ordine Lanfranco e del priore provinciale Ugo promette a Maria, moglie del fu Giovanni dell’Arena, vitto e indumenti finché vivrà, in virtù di una donazione che essa ha fatto al convento: ASPd, Diplomatico, b. 14, n. 1919. Trascrizione in PIERRI, Il convento degli Eremitani a Padova, doc. VIII, pp. 43-44; DAL PINO, Formazione

degli eremiti di sant’Agostino, pp. 69-71. Interessante notare che il nome di frate Ugo compare in un

documento, relativo al convento di Sant’Andrea di Ferrara, del 14 aprile 1259 in cui il frate viene detto

prior provintialis et conventualis de ordine Sancti Andree de Ferraria (LOPEZ, De conventu S. Andreae ferrariensi, p. 85, n. 4) e in altri successivi dove però non viene detto priore provinciale (LOPEZ, De conventu Sancti Andreae ferrariensi, pp. 86-90, n. 5-12). Nell’atto n. 9 del 1 settembre 1271 viene

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già 245; ma quanti frati ci fossero in ciascuna di queste province e in ciascun convento, e di conseguenza la somma totale dei membri dell’ordine, non è dato sapere6.

In uno studio che ha come riferimento due contesti cittadini, come il nostro, l’accertamento quantitativo è nondimeno importante (anche se certo non decisivo). Pertanto, adottando una metodologia anche altrove esperita, e ben consapevoli dei limiti di tale modus operandi, tentiamo nelle pagine che seguono di ricostruire la consistenza delle comunità agostiniane residenti sulle rive del Bacchiglione e del Sile attraverso la documentazione notarile.

In primo luogo è possibile ricavare in via ipotetica quello che Panella7 definisce «massimo ipotetico non fattuale», cioè il numero massimo di frati con voce in capitolo, dimoranti in un determinato momento nel convento, attraverso gli elenchi capitolari compresi negli atti notarili che documentano talune decisioni prese dall’assemblea capitolare conventuale: si tratta di scelte di carattere economico di un certo peso o della nomina a procuratore conventuale, anche se non c’è al riguardo una norma cogente. A queste riunioni prendevano parte, perché avessero valore legale, almeno due terzi più uno dell’intera comunità religiosa («due partes et plus fratrum»8). Quando era presente l’intera comunità, il notaio usava ovviamente l’espressione «totum capitulum».

La formula ricorrente in questo tipo di documenti è: «congregato capitulo et conventu fratrum heremitarum ordinis Sancti Augustini et loci […] solleniter ad sonum campanelle in loco ubi dicitur capitulum, ut eorum moris est, coram reverendo viro domino fratre … priore […], in quo capitulo et conventu due partes et plus fratrum dicti ordinis interfuerunt [….] videlicet frater …» seguita dai nomi dei frati.

Il numero ipotetico dei frati della comunità conventuale oscilla quindi tra il numero riportato nell’elenco e il numero massimo di frati dimoranti nel convento che si ricava facendo una proporzione. Si tratta di una quantificazione probabilistica che, con tutti i limiti legati alle oscillazioni dovute alla diversa percentuale di frati partecipanti a ciascun capitolo

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RANO, Agostiniani, in DIP, I, c. 324. 6

GUTIÈRREZ, Storia dell’ordine di sant’Agostino, I/1, p. 93. Il Roth era dell’opinione che alla fine del XIII secolo gli Eremitani avessero «circa 350 conventi in 22 province e quasi 8000 religiosi»: ROTH, The

english Austin friars, I, p. 38. Il Gutierrez ritiene ottimistico questo calcolo, come ritiene inaccettabile la

stima di 12.000 religiosi, relativa al 1295, contenuta nella Enciclopedia italiana, I, c. 912: GUTIÈRREZ,

Storia dell’ordine di sant’Agostino, I/1, pp. 93-95.

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PANELLA, Quel che la cronaca conventuale non dice, pp. 227-325. 8

Accade anche, però, come nell’atto del 6 gennaio 1301, che si parli di «plus quam sex partes tocius

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(dai due terzi alla quasi totalità, anche se non possiamo sapere il numero eccedente il numero minimo legale9), tuttavia permette di avere una valutazione di tendenza.

Ovviamente, per ridurre il margine di errore, è necessario accertare con la maggiore precisione possibile chi aveva voce in capitolo. Tutti i frati che dimoravano in quel momento nel convento? Solo i frati professi o anche i novizi? Solo i frati chierici o anche i conversi o laici?

La documentazione da noi analizzata non sembra confermare in modo preciso quanto rilevato dal Panella nel suo studio sulla comunità domenicana a Santa Maria Novella di Firenze tra il 1280 e il 1330: nelle liste capitolari compaiono i nomi dei frati assegnati al convento (i conventuales), «figli o non del convento, non importa di quale provincia religiosa, anche stranieri al territorio italiano»10. Nelle liste fiorentine, in realtà un campione piuttosto ristretto, «non è dato identificare con certezza un solo converso tra i capitolari»11. Estendendo l’indagine a un altro ordine mendicante, quello dei Servi di Maria, si evidenzia che nelle liste capitolari dei conventi veneti compaiono frati professi ma non c’è attestazione di altri membri ugualmente appartenenti alla comunità religiosa, quali i novizi, i conversi e i familiares12. Al contrario, nella nostra documentazione agostiniana relativa a Padova e Treviso è possibile individuare, oltre ai conversi già citati, anche familiares («qui morantur cum fratribus») e, seppur in pochissimi casi, novizi13 e qualche laico.

Per quanto riguarda Padova possediamo, per la prima metà del Trecento, tre liste capitolari relative agli inizi del secolo (1299, 1301 e al 1303), la prima delle quali riportata, come vedremo, nel Liber contractuum dei frati Minori di Padova e Vicenza, le altre due contenute in documenti conservati nell’Archivio di Stato di Padova14, una quarta contenuta in un atto di procura del 1332 individuato nel fondo Santo Stefano dell’Archivio di Stato di

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PANELLA, Quel che la cronaca conventuale non dice, p. 256. È ipotizzabile che, una volta raggiunto il numero legale dei frati necessari per l’assemblea, gli altri si dedicassero alle varie mansioni, e che quindi il numero indicato nei vari atti sia di poco superiore ai due terzi.

10

PANELLA, Quel che la cronaca conventuale non dice, p. 254. 11 PANELLA, Quel che la cronaca conventuale non dice, pp. 254-255. 12

CITERONI, L’Ordine dei Servi di santa Maria nel Veneto, pp. 189-191. 13

Le attestazioni di novizi sono relative solo al convento di Treviso e limitate all’ultimo decennio del secolo.

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Si tratta degli elenchi capitolari contenuti negli atti del 24 gennaio 1299 (atto di nomina a procuratore del convento di frate Bonagrazia da Padova per la vendita di beni lasciati da Pietro Donato ai conventi di Predicatori, Minori ed Eremitani), del 6 gennaio 1301 (atto di acquisto di un terreno da adibire a sagrato e cimitero da Portafiore del fu Tommaso dell’Arena giudice), e del 13 settembre 1303 (decisione da parte del capitolo di costruire su detto terreno degli edifici in muratura dove possano abitare i frati).

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Venezia15 e una quinta, contenuta in un altro atto di procura del 133816. Anche nella seconda metà del secolo le liste capitolari sono veramente limitate: una del 1353, una del 1389 e una del 140017.

Per il convento di Treviso nella prima metà del secolo disponiamo invece di 6 atti che attestano riunioni del capitolo. I primi due, quelli del 22 maggio 131418 e del 12 maggio 132119, non riportano però i nomi dei frati ma si limitano a citare il priore, il vicepriore, il sacrestano e il sindico. Gli atti successivi, 134020, 134121, 134322 e 134423, sono invece vere e proprie liste capitolari contenenti i nominativi di almeno due terzi della comunità.

Molto più ricca è invece la documentazione della seconda metà del secolo, che ci presenta decine e decine di elenchi capitolari relativi al locale convento di Santa Margherita: dal 1357 al 1399 abbiamo in tutto 67 liste capitolari24. Nella città «dove Sile con Cagnan si accompagna» l’aumento esponenziale, nel corso del secolo, degli elenchi capitolari, contenuti per lo più in atti di locazione, si spiega col fatto che mentre nei primi decenni questi atti vengono stipulati dal sindico o dai sindici del convento oppure dal priore, il più delle volte senza la presenza del capitolo, a partire dalla metà del secolo aumentano gli atti redatti in presenza del capitolo, segno del passaggio, a Treviso, ad una gestione più collegiale dell’amministrazione del convento, fenomeno che non è invece riscontrabile in un convento di grosse dimensioni quale quello di Padova.

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ASVe, Santo Stefano, b. 6.

16 ASPd, Esposti, 24, p. 34 (9 aprile 1338). Il capitolo del convento degli Eremitani di Padova, alla presenza anche del pittore Guariento, si riunisce per nominare un procuratore (Baciliero Bacilieri): FLORES D’ARCAIS, Profilo di Guariento, pp. 88 e 90. Nella pergamena, piuttosto erosa e in molti tratti illeggibile, si contano i nomi di 65 frati.

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Si tratta rispettivamente degli atti del 5 luglio 1353 (nomina di un procuratore che rappresenti il convento di fronte al vescovo per la questione di un muro innalzato sulle mura dell’Arena), del 6 luglio 1389 (nomina a procuratori del convento di tre frati) e del 31 agosto 1400 (assegnazione della cappella della SS. Trinità e di San Giovanni evangelista per la sepoltura della nobile Beatrice figlia del fu Bonifacio dei Boiardi).

18 ASTv, Santa Margherita di Treviso, b. 2, n. 124 (22 maggio 1314). 19

ASTv, Santa Margherita di Treviso, b. 2, n. 145 (12 maggio 1321). 20

ASTv, Santa Margherita di Treviso, b. 2, n. 239 e 240 (30 dicembre 1340). 21 ASTv, Santa Margherita di Treviso, b. 2, n. 242 e 243 (24 marzo 1341). 22

ASTv, Santa Margherita di Treviso, b. 2, n. 265 (25 luglio 1343). 23

ASTv, Notarile I, b. 56, q. 1339-1345, c. 38r (31 luglio 1344).

24 1357 (1 lista), 1359 (1), 1361 (1), 1362 (1), 1363 (1), 1367 (1), 1368 (1), 1371, 1373 (2), 1378 (3), 1380 (1), 1381 (1), 1382 (8), 1383 (1), 1385 (1), 1388 (2), 1389 (4), 1390 (1), 1392 (2), 1393 (5), 1394 (4), 1395 (6), 1396 (9), 1397 (5), 1398 (2), 1399 (1). Questi atti si trovano ASTv, Santa Margherita di

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Da quanto emerge dalla documentazione, il coinvolgimento o meno del capitolo non è determinato esclusivamente dall’entità del bene oggetto dell’atto: vengono infatti dati in locazione alla presenza del capitolo sia proprietà molto estese sia beni di modesto valore come, ad esempio, una ‘chiusura’ di due campi.

La presenza di uno Studium generale ordinis a Padova e di uno Studium particulare e uno generale Ytalie 25 a Treviso fa sì che il numero di studenti nelle liste considerate sia rilevante, superiore a quello di altri conventi eremitani. Essendo frati professi, gli studenti rientrano nel numero dei frati appartenenti al capitolo, ma non viene usato un titolo specifico per distinguerli dagli altri frati. Un criterio per individuarli parrebbe essere quello di osservare la loro posizione nella lista capitolare: in genere vengono citati dopo i frati più anziani e quelli che ricoprono una certa carica, e prima dei frati conversi. L’eterogeneità della loro provenienza (da varie provincie italiane ed estere) e il periodo limitato in cui compaiono (a meno che non diventino poi lettori o rimangano nel convento), è indizio, in genere, della loro appartenenza alla categoria degli studenti.

Anche i lettori, i baccellieri e i maestri (lector, baçalarius, biblicus, magister), sono spesso presenti negli elenchi capitolari subito dopo il priore o il vicepriore. Il fatto che talvolta il loro ruolo si sovrapponga a quello del priore – in molti casi il priore è un lettore o un lettore diventa in seguito priore -, indica la loro importanza non solo nel campo degli studi ma anche nella gestione dei conventi e spiega la loro presenza anche in occasione della stesura di atti di carattere amministrativo.

Sebbene non sia possibile assumerlo come criterio generale, l’ordine con cui i frati compaiono nella documentazione prevede dunque che dopo il priore, l’eventuale vicepriore, il lettore, il procuratore conventuale, vengano solitamente elencati i frati “stanziali” (che ritroviamo in documenti precedenti e successivi anche di anni) e che solo nell’ultima parte dell’elenco figurino gli studenti, che rimangono generalmente in quel dato convento soltanto per la durata degli studi.

Una importante informazione desumibile dalle liste capitolari è la provenienza geografica dei frati. Quasi ogni nome è infatti accompagnato da un toponimo che generalmente indica il convento di origine, quello in cui è stata fatta la professione, o, in alcuni casi, il paese di origine, anche laddove non ci sia un convento (de Plebe Saci, de Montesilice, de Polveraria, de Portobuffoledi, de Montebelluna, de Ormellis), oppure il

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Sugli Studia di Padova e Treviso, e in generale sull’organizzazione degli studi presso gli Eremitani vedere il capitolo IV (Studi e Studia presso gli Eremitani).

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quartiere della città di provenienza (per Padova, ad esempio, de Domo Dei, a Sancta Lucia, a Sancta Cecilia). Se i frati vengono da provincie lontane, o addirittura dall’estero, non viene usato il nome della città da cui provengono o a cui fa capo il loro convento d’origine, ma solo il nome della provincia (de Terra Laboris, de Sassonia, de Marchia,) o addirittura del paese d’origine (de Alemania, de Cipro, de Candia,) oppure un aggettivo corrispondente (Hongarus, Teotonicus).

Va detto infine che per determinare la consistenza delle comunità considerate è opportuno integrare gli elenchi capitolari con i nomi dei frati ricavabili dal resto della documentazione notarile in cui i religiosi compaiono come testimoni, esecutori testamentari, destinatari di lasciti o donazioni, attori26. Tali documenti ci permetteranno di individuare alcune figure significative del convento e, in alcuni casi, di trarre ulteriori informazioni come la loro provenienza socio-familiare.

Un caso abbastanza eccezionale, ad esempio, è l’atto del 2 aprile 1312 in cui Giovanni del fu Ugo da San Lazzaro di Padova aggiunge dei codicilli al suo testamento redatto l’11 gennaio dello stesso anno27. Tra i testimoni compaiono frate Giovanni de Panicata q. Iacobi de Torcilis de Padua, frate Giovanni a Solis q. domini Redusii de Padua, che ricoprì la carica di sindico del convento nei primi anni del Trecento, fratre Matheo q. Iohannis de Padua, fratre Prosdocimo q. Petri de Fraxenedo28, che troviamo in vari atti a Padova dal 1299 al 1321. Ad eccezione di frate Giovanni a Solis, figlio di un dominus, si tratta di persone provenienti da famiglie di posizione sociale non elevata.

Un altro atto in cui viene indicata la provenienza dei frati è il testamento di Serena figlia del fu Gumberto Plombioli e vedova di Diotisalvi di Montemerlo della contrada di Ponte Porciglia di Padova, scritto in data 24 dicembre 134729. Tra i testimoni compaiono il priore frate Giovanni figlio del fu Dolcebono da Piove (quondam domini Dolceboni de Plebe), frate Marconardo figlio di Beltramino da Colle (quondam domini Bertramini de Colle), frate Nicola de Consenatis de Reate e frate Pietro del fu Giacomo da Padova (quondam domini Iacobi de Padua).

Non essendoci pervenuti i registri contabili conventuali relativi a questo periodo e a queste fondazioni30, per ricostruire la comunità conventuale ci si servirà inoltre, laddove siano disponibili, di un’altra importante fonte: gli elenchi comunali. A Treviso, infatti, dove la documentazione comunale del Duecento e Trecento si è maggiormente conservata rispetto

26 Non vengono invece mai indicati esplicitamente in qualità di confessori. 27

ASPd, Diplomatico, b. 44, n. 5080 e 5098 (11 gennaio e 2 aprile 1312) 28

ASPd, Diplomatico, b. 44, n. 5098; ASPd, Eremitani, b. 126, f. 13v; ASPd, Corona, b. 96, n. 7175. 29 ASPd, Notarile, b. 167, 150r-151r.

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A Verona si sono invece conservati i registri dei Servi di Maria di Santa Maria della Scala che hanno permesso agli studiosi di disporre di una particolare lente d’ingrandimento sulla vita conventuale: CITERONI, L’Ordine dei Servi di santa Maria nel Veneto, pp. 160-161.

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ad altre città venete31, sono conservati alcuni registri comunali di entrata e uscita contenenti elenchi di frati cui il Comune, in base ai propri Statuti, dava una sovvenzione annua.

3.2

Consistenza numerica e composizione delle