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Ordinazione di frati chierici Eremitani a Padova nel Trecento

3.4.2 Gli oblat

Gli oblati, che, come abbiamo detto, non vanno scambiati con i frati laici, detti anche conversi39, costituiscono un fenomeno diffuso nella chiesa dei secoli centrali del medioevo, non solo negli ordini mendicanti ma anche nelle comunità monastiche, dove si era manifestato a partire dall’VIII secolo, pur con modalità diverse40.

L’oblatio degli adulti, da non confondersi con il fenomeno tipico dell’antico monachesimo, previsto anche nella regola di san Benedetto, dei pueri oblati offerti in tenera

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Altri frati laici che troviamo nella documentazione riguardante Treviso sono Augustinus de Feraria

laycus (1395-97) e Augustinus de Tarvisio laycus (1396).

38 Si tratta probabilmente del nipote di Giacomino del giudice Folco da Rondino, frate penitente e benefattore di vari monasteri cittadini: RANDO, Minori e vita religiosa, pp. 69-77 e RANDO, Momenti

e problemi della presenza mendicante, pp. 351-386 (in particolare p. 358); MENEGHETTI, Gli eremiti di sant’Agostino a Treviso, I, pp. 87-89.

39

DAL PINO, Oblati e oblate conventuali, pp. 33-67; CZORTEK, L’oblazione dei laici, pp. 7-40. 40

Un panorama generale del fenomeno dell’oblazione è in DUBOIS, Oblato, coll. 654-666 e in ROCCA,

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età ad un monastero spesso perché diventassero monaci, trae infatti origine dalla volontà dei laici devoti di vivere secondo gli ideali di vita cristiana «facendosi emuli di monaci o di canonici regolari in materia di perfezione cristiana»41.

Giovanni Grado Merlo ha definito l’oblazione come uno «scambio tra ‘materiale’ e ‘immateriale’: da una parte si donano beni fondiari e immobiliari (secondo modalità economiche e giuridiche non univoche), e, dall’altra, si offrono in cambio, oltre che garanzie materiali di sopravvivenza terrena, servizi religiosi in funzione della salvezza ultraterrena»42. Gli oblati, insomma, offrivano i propri beni e la propria vita a un ente religioso, continuando a vivere nella propria casa o, in certi casi, anche andando a vivere nel monastero o nel convento. Assumevano così gli obblighi e l’abito del frate, assicurandosi i benefici spirituali, in particolare le preghiere di intercessione post mortem. Per questo Merlo parla di uomini e donne in comunità ‘estese’, ossia di «comunità che creano relazioni religiose – relazioni comunque sanzionate istituzionalmente – tra individui variamente connotati sul piano personale e istituzionale, ma tutti coinvolti nelle peculiari caratteristiche e nelle specifiche funzioni di una comunità»43.

L’impegno di vita religiosa che l’oblato assume prevede il mantenimento dello stato laicale e la vita ‘nel mondo’44: l’oblato rimane dunque laico, ma Czortek, riprendendo un termine usato da Rando, che tuttavia non lo adopera specificamente per gli oblati45, lo definisce un ‘laicus religiosus’.

Fin dagli inizi abbiamo esempi di oblazione di laici presso gli Eremitani. Lo stesso papa Niccolò IV, con la bolla Religiosam vitam eligentibus del 23 agosto 1289, accoglie sotto la sua protezione i frati e i conventi dell’ordine, con familiari, servitori e oblati che vi abitano. Dispone inoltre che le personas oblatas siano soggetti solamente alla sede apostolica, non vestano l’abito dei frati, vivano secondo buoni costumi e siano sepolti insieme ai frati nella sepoltura comune46.

A Padova sono documentati casi precoci di oblazione, come quella di Maria, vedova di Giovanni di Zaccaria dell’Arena, alla quale, il 4 febbraio 1259, il priore del convento degli Eremitani, col consenso del priore generale e di quello provinciale, promette vitto e vestiti per tutto il tempo che le rimane da vivere, in virtù della

41

VAUCHEZ, Ordini mendicanti e società italiana, p. 207. 42

MERLO, Uomini e donne in comunità ‘estese’, p. 9 (anche MERLO, Forme di religiosità, p. 45). 43 MERLO, Uomini e donne in comunità ‘estese’, p. 10.

44

CZORTEK, L’oblazione dei laici, p. 10. 45

RANDO, ‘Laicus religiosus’ tra strutture civili ed ecclesiastiche, pp. 43-84. 46

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donazione al convento di tutti i suoi beni47. La donazione di Maria è poi resa nulla dalla confisca dei beni del marito defunto, per cui il priore del convento deve acquistare per 150 lire lo stesso terreno. La stessa Maria successivamente dona al convento i propri diritti sui beni del marito relativi alla restituzione delle somma corrispondente alla dote. Recentemente Franco Dal Pino ha ripercorso la vicenda, che si protrae dal 1257 al 1267, sostenendo che non si tratti in questo caso di una vera e propria oblazione anche se sono presenti alcune sue caratteristiche48.

Questo caso dimostra che gli Eremitani hanno aggregato fin dall’inizio attorno al loro convento donne devote che, pur non abbandonando del tutto il mondo e con modalità diverse, si legavano ad esso per condurre una vita religiosa e nello stesso tempo ottenere protezione.

Ancora a Padova è documentata la presenza presso il convento degli Eremitani di Berta piçochara que moratur ante ecclesiam fratrum Heremitarum alla quale il 21 marzo 1285, nel parlatorio della chiesa degli Eremitani Amada quondam domini Paganelli iudicis lascia 20 soldi. Altrettanti ne lascia ad un’altra pinzochera49, Gisla, il cui legame con gli Eremitani non è specificato50.

Se l’oblazione presso gli Eremitani è documentata sin dal Duecento, per il periodo da noi considerato abbiamo due casi di oblazione.

Oltre a quella di frate Giacomo da Rondino già citato, definito converso e oblato, la documentazione raccolta fa emergere un altro caso di oblazione, interessante perché qui si tratta di una donna.

Il 27 agosto 1300, nella chiesa di Santa Margherita di Treviso, davanti all’altare maggiore, domina Flor, vedova di Filippo da Lancenigo e figlia del fu Giovanni Pizoli Alberto de Amigeto, inginocchiata di fronte al priore e con le mani giunte nelle sue, dedica se stessa al convento, secullo renuncians. Flor viene quindi accolta come ‘dedicata’ et ‘servitrix’ de cetero dicti ordinis con il consenso del vicario generale dell’ordine, frate Luca da Recanati, e del priore generale frate Francesco da Monterubbiano, con la promessa di ricevere sostentamento per il resto della sua vita.

In questo caso viene subito applicata la norma decisa dai definitori del capitolo generale di Napoli del 1300, che, per evitare che le donne venissero accolte con troppa facilità nei conventi, proibirono di accogliere beate e pinzochere senza il permesso del priore

47

Sul fenomeno dell’oblazione a Padova: RIGON, I laici nella chiesa padovana del Duecento (in particolare, per le pizzocchere presso gli Eremitani, p. 60, nota 219).

48 DAL PINO, Formazione degli Eremiti di sant’Agostino, pp. 69-71. 49

Il termine piçocharus equivale a penitente, e sembra probabile che in questi casi si tratti di donne ‘de poenitentia’.

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provinciale o del vicario del priore generale e il consenso dei religiosi anziani della propria provincia51.

In realtà Auremplace detta Flor continuò a vivere nella sua casa nei pressi del convento se il suo testamento del 20 febbraio 1322, nel quale designa come erede universale il convento di Santa Margherita ed elegge commissari testamentari frate Bartolomeo del Montello e frate Giovanni da Valdobbiadene, viene redatto in contrata Sancti Pancracii ultra Sillerem, in domo habitata per ipsam testatricem, que est prope monasterium sive ortum fratrum heremitarum de Tarvisio et ad dictum monasterium pertinet. Flor deve essere morta subito dopo se il 2 marzo 1322 il sindico del convento degli Eremitani, frate Giovanni da Valdobbiadene, prende possesso di vari terreni tra Lancenigo e Piovenzano donati da donna Flor, quem mansum terre domina condam Flor lasciò al convento52.