• Non ci sono risultati.

In particolare, per quanto concerne specificamente il poemetto di Bernardo Tasso, questi rivendica esplicitamente, nella conclusione della dedicatoria delle Rime al

principe di Salerno Ferrante Sanseverino, l’intento modernizzante di aemulatio

migliorativa nei confronti dell’antico récit:

non è stato forse mal fatto, che per fuggir l’ozio e la negligenzia, col consiglio di Cicerone, che nel primo de l’Oratore a ciò fare col suo essempio ne exorta, abbia la favola di Piramo e di Tisbe dalla latina nella nostra lingua tentato di convertire, aggiungendovi però alcuna cosa di mio, che più vaga render la potesse.328

In questo senso, la conversio dal latino al volgare si gioca non solo sul piano di

quella doppia sperimentazione, ‘metrica’ e ‘generica’, suggerita da Giorgio Cerboni

Baiardi:

In questi suoi esercizi [il riferimento è, oltre che alla Favola di Piramo e Tisbe, alla Favola di

Leandro e d’Ero, pubblicata nel terzo libro degli Amori, 1537] […] il Tasso saggiava in realtà (oltre

alla resistenza di certa trama metrica […]) la misura di un nuovo genere, il poemetto mitologico, un diverso ‘tempo’ di narrazione. La ‘favola’ mantiene intatto il suo fascino, ma viene ‘fissata’ e dilatata come su un arazzo: promuovendo così un processo di intensificazione emblematica della ‘favola’ stessa.329

327 Ivi, p. 74. La citazione interna è tratta da ANN MOSS, Poetry and Fable. Studies in

Mythological Narrative in Sixteenth-Century France, Cambridge, Cambridge University Press,

1984, pp. 93-94.

328 BERNARDO TASSO, Rime, I. I tre libri degli Amori, cit., [dedicatoria] Al Prencipe di Salerno

suo Signore, pp. 5-13: p. 13. «A partire dall’edizione del 1534, la cui lezione è qui adottata,

l’epistola al principe Ferrante Sanseverino costituisce la dedicatoria dell’intero volume di Rime ed è seguita da quella indirizzata a Ginevra Malatesta introducente il Libro primo» (ivi, p. 5).

329 GIORGIO CERBONI BAIARDI, La lirica di Bernardo Tasso, Urbino, Argalia, 1966, p. 78, nota 15. Cfr. anche MARIACRISTINA MASTROTOTARO, La riscrittura del mito: la Favola di Piramo e

Tisbe di Bernardo Tasso, in «Studi Tassiani», 49-50, 2001-2002, pp. 195-206: p. 197: «L’intenzione di attuare una “traduzione” da Ovidio e di misurarsi col modello classico non è solo urgenza di sperimentare nuove trame metriche, ma volontà di recupero di un genere che corrisponde all’idea che il Tasso ha della poesia e che è in voga in quei decenni, il poemetto mitologico. Il

132

ma anche sulla determinazione (e, di conseguenza, sulla valutazione) dello scarto

‘personale’, idiosincratico, rispetto all’ipotesto («aggiungendovi però alcuna cosa di

mio, che più vaga render la potesse»).

330

Il profilo metrico dell’operazione tassiana (la creazione di un ‘esametro volgare’

attraverso una sorta di ‘allungamento’ dell’endecasillabo, effettuato soprattutto grazie

all’utilizzo dello schema metrico ABCAB CDECD EFGEF, oltre che della tecnica

dell’enjambement) è stato abbondantemente approfondito da Mariacristina

Mastrototaro, a partire dalla dedicatoria già citata:

Porto fermissima opinione, illustrissimo Signor mio, che la novità de’ miei versi, cosa non meno invidiosa che dilettevole, moverà molti a vituperarli: e di questa novella tela altri le fila, altri la testura biasimerà, parendoli forse mal convenirsi alla lingua volgare, posto da canto le Muse toscane, alle greche et alle latine accostarsi […] né ho la rima ripigliata, se non tanto lontano che già è uscito della memoria di chi legge d’averla udita un’altra volta. […] sappiate, valorosissimo Signor mio, che fra le cose greche e latine degne d’imitazione e d’onore, una è al parer mio quella maniera di verso puro exametro, il quale di continuo caminando con egual passo, ove e quando gli piace fornisce il suo cominciato viaggio. […] Di questo adunque essendo finora mancata la nostra lingua moderna, e d’adornarnela procurando, longamente sono stato […]. Non negherò il verso esser endecasillabo e non exametro, ma tutto che d’allungarlo e di renderlo al numero di quello più simile che si potesse mi sia affaticato, non ho potuto giamai quella forma darli che già nell’animo fabricata m’avea, sì che più tosto numero di prosa non avesse che di verso […].331

racconto mitologico ha valore esemplare proprio perché “favola” che trascende i limiti temporali e che conquista un “diverso tempo di narrazione”».

330 Cfr. BARBARA SPAGGIARI, L’enjambement di Bernardo Tasso, in «Studi di filologia italiana», LII, 1994, pp. 111-139: p. 119 e nota 19, p. 119: «Il dissidio [tra Pietro Bembo e Bernardo Tasso] è profondo più di quanto possa apparire, perché investe gli strumenti stessi del far poesia, i mezzi tecnici e gli artifici retorici da adottare nella costruzione del testo poetico. Tutto ciò restando inalterati gli scopi che l’uno e l’altro perseguono, Bembo col suo petrarchismo ortodosso e Bernardo con la sua vena di ribellione: cioè l’armonia del verso, la piacevolezza del suono; e più ancora la vaghezza e la dolcezza, che si oppongono nella poetica di entrambi alla maravigliosa gravità e alla magnificenza del sublime»; «[La ‘vaghezza’ è] il Leitmotiv di varie lettere scritte da Bernardo; cfr. ad es. “io rassetterò tutti que’ luoghi, et con la lima del vostro giudicio procurerò di levarne tutto ciò che gli potesse torre vaghezza, splendore, et dignità” (A M. Francesco Valerio, in

Le Lettere di M. Bernardo Tasso…, di nuovo ristampate, rivedute et corrette con molta diligenza, in

Venetia, per Iacopo Sansovino Veneto, MDLXX, c. 43 r.); “La bellezza, la varietà, la vaghezza, il candore che mi scrivete di conoscere ne le mie canzoni, sono frutti nati da la semenza de’ meriti vostri” (A la Marchesa di Pescara, ivi, c. 59 v.) […]».

331 BERNARDO TASSO, [dedicatoria] Al Prencipe di Salerno suo Signore, cit., pp. 5-9. Cfr. MARIACRISTINA MASTROTOTARO, La riscrittura del mito: la Favola di Piramo e Tisbe di Bernardo

Tasso, cit., pp. 196-197 e nota 13, p. 197: «Bernardo intende prendere le distanze da quello che

considera un “difetto” della lirica italiana, la rima [cfr. BERNARDO TASSO, [dedicatoria] Al Prencipe

di Salerno suo Signore, cit., p. 8: “Vegniamo alle rime, alle quali danno alcuni grandissimo

biasimo”]; quindi, si propone di emulare l’“exametro” intervenendo sull’endecasillabo […]. Evitare la rima diviene pertanto l’escamotage per non “arrestare”, almeno foneticamente, il verso alle undici sillabe. “La Favola di Piramo e Tisbe nel secondo libro impiega lo schema delle rime della seconda egloga” [EDWARD WILLIAMSON, Bernardo Tasso, cit., p. 81], adattato a stanze di cinque

133

Qui vorremmo invece, in conformità, del resto, con i nostri obiettivi, dedicarci ad

altri aspetti, più propriamente contenutistici e tematici, del poemetto. Se Bortolo

Tommaso Sozzi ha potuto insistere sull’interesse esclusivamente tecnico della poesia

di Bernardo Tasso:

Questa innovazione metrica [l’ode di stampo oraziano] […] è l’aspetto più interessante delle Rime di Bernardo; interesse, dunque, soltanto di natura tecnica e storico-letteraria (e torna a mente la sentenza del Flamini: che quei ricercatori di nuovi metri dell’età umanistico-rinascimentale, e postrinascimentale, “attesero a perfezionare lo strumento anziché ad eseguirvi musica originale”); di vera e propria poesia non si può, se non in misura minima, avvertire la presenza nelle Rime di Bernardo.332

in questa sede, pur nella consapevolezza dei limiti e delle aporie della Musa di

Outline

Documenti correlati