• Non ci sono risultati.

delle lezioni universitarie di Giovanni del Virgilio, in perfetta conformità a tali modelli addita la storia di Piramo e Tisbe quale exemplum di lussuria addirittura

contaminante:

La tramutatione delle more come divennero vermiglie, la presente fabula è historica, imperoché vero fu che in Babylonia Piramo et Tisbe si uccisero per amore, et questo fu al tempo di Semiramis regina di Babilonia. Della quale Dante nel primo [sic] dell’Inferno recita et dice: “Questa è Semiramis di cui si legge / ch’a l’uso di lussuria fu sì rotta / che libito fè licito in sua legge”, però che tolse il proprio figliuolo per marito. Che le more diventassero vermiglie, questo pone l’Autore per figura a demostratione con ciò sia che le more, quando sono per fiorire, appaiono bianche et, come si cominciano a mutare, diventano vermiglie. Così quando l’huomo, la donna sono in purità et castità sono bianchi, senza macula, ma poi che sono presi dalla libidine diventano vermigli per l’incendio della lussuria, et poi si tramutano in neri et tenebrosi per lo peccato come la mora nera che come tu la tocchi te imbratta. Così chi conversa con tali peccatori non può essere che alcuna origine di peccato non acqusiti, et ancho spesse volte per carnal amore si acquista la morte, et per tropp[a] lussuria come avenne a Tisbe et a Piramo.356

E3r), sullo sfondo della città di Babilonia, lo stesso episodio scelto da Tintoretto (mentre a sinistra colloca la fuga della fanciulla che perde il fazzoletto, annusato dal leone). Non è necessario un confronto dettagliato tra silografia [scil. soprattutto la silografia della princeps del 1522] e dipinto, la dipendenza dell’uno dall’altro mi sembra essere evidente: basti guardare il gesto di disperazione di Tisbe, il fazzoletto svolazzante, la presenza del muro e del sepolcro di re Nino. Il tutto riceve però nel dipinto del Tintoretto, è quasi superfluo dirlo, una qualità del tutto nuova».

Per restare ai rapporti inter-figurativi, è possibile, a mio avviso, evidenziare (e credo che il rilievo sia nuovo) che la silografia dell’ediz. 1538 raffigurante le figlie di Minia (fig. 4) sembra riprendere lo schema iconografico della Flagellazione di Cristo di Piero della Francesca (fig. 5).

354 ANGELA PISCINI, voce ‘Niccolò degli Agostini’, in Dizionario biografico degli italiani, Roma, Istituto della Enciclopedia Italiana, vol. 36, 1988, pp. 156-159: p. 158.

355 Cfr. per es. SANDRA CELENTANO, Le Metamorfosi da Ovidio a Niccolò degli Agostini, in «Misure critiche», 2012, 1-2, pp. 44-70.

356 Si cita da [NICCOLÒ DEGLI AGOSTINI,] Di Ovidio le Metamorphosi, cioè trasmutationi, tradotte

dal Latino diligentemente in volgar verso, con le sue Allegorie, significationi, et dichiarationi delle Favole in prosa […], Venezia, Bindoni, 1538, c. 34v. (Allegoria di Piramo). Cfr. GIOVANNI

BONSIGNORI DA CITTÀ DI CASTELLO, Ovidio Metamorphoseos Vulgare, edizione critica a cura di

Erminia Ardissino, cit., Allegoria e quarta trasmutazione delle more bianche deventate vermiglie

[…], p. 219: «La quarta trasmutazione è delle more come diventarono vermiglie. La presente favola

è istoriografa, perciò che vero fu che per amore Pirramo e Tisbe di Babillonia se uccisero, e questo fu al tempo de Semiramis, regina de Babillonia. Che le more deventassero vermiglie, questo pone l’autore per figura demostrativa, con ciò sia cosa che lle more, quando sono per defiorire, sono bianche e, poi che se cominciano a maturare, sono vermiglie. Così quando l’uomo e la donna sono in puerizia ed in castità sono bianchi, senza macula; poi che sono oppressi da libidine deventano vermigli per lu fuoco della lussuria, poi neri e tenebrosi per lu peccato, come è la mora, la quale, come che tu la tocchi, te fa nere le mano. Così chi conversa con tali peccatori non pò essere che alcuna origine de peccato non acquiste, ed ancora spesse volte per carnale amore s’acquista la morte, sì come avenne a Pirramo ed a Tisbe».

142 Fig. 2. ANONIMO INCISORE, Piramo e Tisbe, in NICCOLÒ DEGLI AGOSTINI, Tutti li libri de Ovidio

Metamorphoseos tradutti dal litteral in verso vulgar con le sue allegorie in prosa, stampato in

Venetia per Iacomo da Leco a istantia de Niccolò Zoppino e Vincentio di Pollo, 1522, f. E3r

Fig. 3. JACOPO ROBUSTI DETTO IL TINTORETTO, Piramo e Tisbe, 1541 ca.,

143 Fig. 4. ANONIMO INCISORE, Le figlie di Minia, ostili al culto di Bacco,

in [NICCOLÒ DEGLI AGOSTINI,] Di Ovidio le Metamorphosi, cioè trasmutationi,

tradotte dal Latino diligentemente in volgar verso […], Venezia, Bindoni, 1538, f. 32v.

Fig. 5. PIERO DELLA FRANCESCA, Flagellazione di Cristo, 1460 ca.,

144

Né, d’altra parte, può risultare utile il riferimento al volgarizzamento di Fabio

Marretti (1570), con testo a fronte, che, in risentita opposizione al tipico panorama

cinquecentesco delle belles infidèles, persegue vigorosamente l’obiettivo di

«trasformare le trasformationi d’Ovidio senza punto trasformarle» mediante una

traduzione ispirata ai criteri di un inusitato rispetto filologico: di conseguenza, né

moralizzazioni né rispecchiamenti è dato riscontrare in un testo tanto allineato

all’originale:

Si maraviglieranno alcuni che io dopo tanti mi sia posto a tradurre le Metamorphosi d’Ovidio; ma cesserà in loro (s’io non m’inganno) tal maraviglia tuttavia che col testo latino faranno paragone della diligentia nostra con quella degli altri; perché dove costoro aggiugnendo materie prive in tutto di maestà poetica, e fuori del proposito delle Metamorphosi, lasciando le cose più scelte e di più sottil consideratione e trasponendo et alterando il tutto, par ch’habbian quivi corrotto le misteriose favole, lo ingegnosissimo ordine, il mirabile incatenamento, i divini spiriti, i dolcissimi condimenti, le variate maniere d’esprimere, l’elegantia del dire, il perfetto decoro, le proprie e legitime parole, i colori rhetorici, e tutta l’arte poetica, et han fatto un poema quasi in tutto diverso da Ovidio, noi procedendo fedelmente e ordinatamente e rendendo quanto per noi è stato possibile il senso al senso, la clausola alla clausola e la parola alla parola, ci siamo sforzati di trasformare le trasformationi d’Ovidio senza punto trasformarle; perché la eccellenza delle cose antiche, e principalmente delle poesie composte innanti che le inondationi dei Gothi e degli Hunni rendessero il mondo rozzo, è tanto grande che non pur da indi in qua non pare che sia stata agguagliata o imitata, ma né anco interamente conosciuta; […] per la qual cosa essendo che tra gli altri antichi poemi questo delle Metamorfosi sia talmente perfetto che in esso non si trovi pur voce che non sia posta o per necessità o con arte per ornamento, ci siamo imaginati di far cosa grata a tutti gli intelletti purgati a darlo fuor nella moderna lingua senza punto allontanarci dal testo latino […]. Antiveggo bene che questa nostra fatica non sarà punto accetta a coloro che solamente vaghi di lunghi infrascamenti e di versi alla grossa, non conoscono quanto importi il candore, l’elegantia e la coltezza nelle poesie, né anco lo esprimere i concetti naturalmente; e però, lasciando io questi tali nella loro ignorantia crassa, procurerò solo d’acquistar grazia appresso agli spiriti gentili […].357

Né, infine, è determinante l’apporto euristico fornito dal volgarizzamento di

Lodovico Dolce (1553), il primo a ‘tradurre’ direttamente il testo latino,

358

in cui pure

alla tensione moralizzante dell’Agostini si sostituisce una disposizione, quantunque

Outline

Documenti correlati