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I PORTATORI DI INTERESSE

4. LA NOSTRA RICERCA

5.1.4 I PORTATORI DI INTERESSE

Come abbiamo visto parlando del soggetto di istituto, i teatri hanno tanti stakeholder, ognuno con interessi e aspettative differenti.

Gli enti pubblici contribuiscono alla definizione delle politiche strategiche di gestione e conservazione del patrimonio artistico ed erogano contributi monetari; in contropartita, essi si attendono ricompense prevalentemente di natura politica, cioè legate alla legittimazione derivante dal ruolo ricoperto e alla notorietà personale ottenuta. Ne deriva un sistema di relazioni tra l’istituto teatrale e i rappresentanti degli enti pubblici che tende a enfatizzare il ruolo politico. Gli attori pubblici sono considerati il veicolo per ottenere e mantenere l’erogazione di contributi di varia specie, eminentemente monetaria, e in tal senso sono sviluppati i meccanismi di scambio con l’istituto teatrale.

Essi arrivano, in taluni casi, ad assumere uno stile di direzione orientato alla verifica del rispetto di regole formali, e non al controllo dell’utilità economica e sociale dell’attività svolta, e a sviluppare un ruolo di governo sostanzialmente passivo.

I fondatori e finanziatori privati (enti e società di diritto privato) apportano contributi di vario genere (monetari e in natura) e mettono a disposizione capacità di gestione, improntate alla logica imprenditoriale. Essi si attendono, per altro verso, ricompense espresse in termini di legittimazione sociale e di visibilità e immagine, che possono produrre vantaggi economici indiretti. Il sistema di relazioni che tende a instaurarsi con l’istituto teatrale, in tal caso, è spostato su meccanismi di natura economica. Invero, le

39 Intervista del 7 aprile 2003 a Sergio Maifredi, vicedirettore del Teatro della Tosse.

contribuzioni monetarie e le competenze tecniche e manageriali che i privati mettono a disposizione ricercano una remunerazione di tipo economico, che si realizza attraverso il ritorno di immagine e notorietà derivante dal finanziamento filantropico a un’attività culturale. La connotazione economica, nonostante non si possa concretizzare in una remunerazione diretta del capitale proprio erogato, si manifesta con i vantaggi economici indiretti, che derivano dalla partecipazione all’ente. Di conseguenza, i privati propongono stili di direzione improntati all’imprenditorialità, cioè orientati alla verifica dell’economicità nell’ottica dello sviluppo duraturo dell’azienda teatrale.

I prestatori di lavoro contribuiscono con competenze prevalentemente tecniche e artistiche al fine di ottenere ricompense di vario ordine correlate alla loro professionalità.

Infine, la collettività svolge un ruolo di stimolo critico esterno all’istituzione e fornisce risorse monetarie, trovando come controprestazione la crescita culturale e la soddisfazione personale, derivanti dall’attività posta in essere dal teatro.40

A proposito degli stakeholder, abbiamo chiesto ai direttori dei teatri genovesi quali sono i principali portatori di interesse della loro organizzazione, a chi si sentono di dover rispondere per la propria attività, e quale rapporto riescono ad intrecciare con essi.

Per il Teatro di Genova, prima di tutto viene “il pubblico, la cittadinanza. Poi ci sono le istituzioni, che rappresentano il pubblico, anche formalmente nel C.d.A., oltre che socialmente.

Il rapporto col pubblico è culturale, sociale (contribuiamo a formare i giovani, serviamo a tenere costante il valore culturale di ogni fascia di età, anche la terza età), formativo per il pubblico e per i comparti interessati a questo lavoro (scuola di recitazione e registi).

Poi ci sono i rappresentanti istituzionali, gli enti che ci sovvenzionano.

In terzo luogo il mondo delle imprese, i nostri sponsor, laddove il rapporto tra cultura e impresa può essere considerato un rapporto con dei ritorni interessanti anche per l’immagine. Lo stesso teatro è un’impresa culturale, pensiamo al rapporto che ha l’indotto come occupazione alberghiera, ristorazione ecc. Laddove un congruo numero

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di notti d’albergo (centinaia o migliaia) riguardano la presenza di compagnie ospitate in città. Produciamo e ospitiamo 30, 40 spettacoli, con 15, 20 persone tra artisti e tecnici.

Con due teatri vuol dire che ci sono da 30 a 40 posti letto occupati da noi otto mesi l’anno, basta fare il calcolo [10.000 notti]. Diamo quindi anche un apporto diretto all’economia della città.

Col pubblico c’è un certo tipo di rapporto, con gli enti un altro, con le imprese un altro ancora.”41

Decisamente più orientata all’esclusivo interesse della collettività la filosofia del Teatro della Tosse. Come dice Sergio Maifredi: “Per noi la comunità è, fondamentalmente, il nostro principale portatore di interessi. Consideriamo che il 50% di un bilancio di un teatro è costituito da contributi e sovvenzioni. È ovvio che si hanno degli obblighi. Io credo che la sovvenzione sia non per il teatro, ma per lo spettatore, che può pagare 10 o 15 euro invece di 25. È per questo che il biglietto dello spettacolo Puppetry of the Penis, dove i due protagonisti in scena manipolano i propri genitali, costa 25 euro: quello, se gli spettatori lo vogliono vedere, se lo devono pagare senza sovvenzioni. È una mia precisa scelta di politica culturale.

Consideriamo inoltre le spese. Metà (2 miliardi e mezzo) va al personale e in prevalenza si tratta di giovani.

L’altra metà va ai fornitori, che sono per lo più locali. I 1.600 milioni che vengono dal Ministero a Genova sono spesi qui, non vanno a compagnie che passano e investono altrove. Lavorando in questa città, investiamo in questa città; quando ci è capitato di lavorare a Siracusa, abbiamo investito sui fornitori di lì.

Il nostro teatro ha anche un ruolo nel quartiere in cui è inserito, il Centro Storico della città. Contribuiamo, in una maniera che i singoli cittadini o anche gli esercenti non possono fare, a mantenere vivo il quartiere sette giorni la settimana; cerchiamo di mantenere pulito lo spazio intorno a noi non solo perché avvertiamo, come tutti i proprietari di locali, una necessità di pulizia, ma anche perché ci sentiamo in dovere di servire la comunità che ci sostiene. Questo comporta anche dei rischi, ma a noi pare

40 NOVA, (op. cit.).

41 Intervista del 9 aprile 2003 a Carlo Repetti, direttore del Teatro di Genova.

doveroso, anche per non cadere nel cliché del teatro sovvenzionato come inutile consumatore di risorse pubbliche.”42

Questa visione ha contribuito in maniera decisiva all’inizio di un processo radicale di modifica dell’assetto istituzionale nei prossimi anni. Adesso il Teatro della Tosse è, come abbiamo visto, una società cooperativa a responsabilità limitata onlus (ma non si è mai avvalsa dei benefici della onlus). Il progetto della dirigenza del teatro è quello di trasformarsi in Fondazione. “Il contenitore c’è già (Fondazione Luzzati – Teatro della Tosse). Poi si dovranno fare le cessioni di rami d’azienda. Entro il 2004 si cercherà di usare la fondazione come struttura produttiva. Da questa nuova veste giuridica ci aspettiamo una prospettiva diversa.

In primo luogo ora le cooperative pagano le tasse, e anche noi l’anno scorso le abbiamo pagate (una sorta di record per un teatro!), avendo avuto 100 milioni di utile. Poi ci siamo chiesti: la forma cooperativa corrisponde alla nostra struttura? Ci riconosciamo ormai di più in una fondazione. Non siamo più una cooperativa di lavoratori, perché altrimenti dovresti portarti dietro gente che hai l’obbligo di far lavorare; si rischierebbe di abbassare il livello, per questo già da tempo ci siamo tolti i vincoli relativi ai lavoratori e potremmo scritturare tutti.

Inoltre sentiamo dei compiti di tipo morale. Valorizzare certi artisti è più compito di una fondazione, che non ha obblighi verso i soci, ma è vincolata ad una finalità.

Aggiungiamo anche che la fondazione ha più trasparenza di bilancio. Abbiamo certi beni, vincolati ad un obiettivo, non ce li possiamo dividere tra noi. Si deve rendere più conto alla comunità su quello che si sta facendo. È una sfida meno evidente per il pubblico, ma più evidente per i finanziatori pubblici e, soprattutto, privati che investono su di noi.”43

Anche l’Archivolto è legato strettamente alla comunità e alla realtà urbana in cui è immerso. L’insediamento al Teatro Modena è stato accompagnato da un’ampia gamma di iniziativa per rivitalizzare il quartiere di Sampierdarena in generale, e il suo storico cuore commerciale in particolare. “Un teatro vivo in una zona ormai ai margini della vita culturale della città sarebbe servito a poco: così abbiamo iniziato a pensare come

42 Intervista del 7 aprile 2003 a Sergio Maifredi, vicedirettore del Teatro della Tosse.

43 Intervista del 7 aprile 2003 a Sergio Maifredi, vicedirettore del Teatro della Tosse.

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migliorare gli spazi circostanti. Insieme al Comune è nato così il progetto della pedonalizzazione di Piazza Modena, abbellita da palme e panchine, finalmente un luogo dove fermarsi a socializzare; ed è stato portato avanti il recupero dell’ex mercato comunale (con la fondamentale partecipazione dell’allora Ponente Sviluppo) divenuto un modernissimo spazio culturale.

Quello che un tempo era il centro di Sampierdarena così riprendeva slancio sia da un punto di vista della qualità della vita che da quello economico. Quotidianamente infatti spettacoli, incontri, seminari, laboratori, presentazioni di libri, dischi, mostre, corsi di aggiornamento per insegnanti e operatori teatrali, ospitalità alle manifestazioni della circoscrizione animano oggi, dal mattino alla sera, il nostro teatro e la zona: sono più di 60.000 i frequentatori della nostra struttura che raggiungono il quartiere, usufruiscono dei suoi servizi (bar, negozi, ristoranti) con un impatto innegabilmente positivo sul tessuto economico – sociale della zona.

E quando ci si domanda che cosa significa la vita di un teatro per la città non bisognerebbe dimenticare che il flusso di finanziamenti da Roma e i contributi degli Enti locali vengono ridistribuiti sull’intera città; si pensi ai trasporti, alle nuove assunzioni di personale, all’indotto: insomma un’enorme effetto cascata di cui beneficiano in molti, oltre a un ritorno d’immagine e di visibilità per Genova di grande rilievo.

La riapertura del Modena è stata quindi di fondamentale impulso per la rivalorizzazione dell’area. È da poco nato anche un C.I.V. – Consorzio Integrato di Via – formato dai negozianti e dal Teatro dell’Archivolto, che si sono associati per un impegno comune alla riqualificazione. Tra gli obiettivi: il monitoraggio costante della situazione della zona e gli eventuali interventi; l’organizzazione di manifestazioni specifiche che favoriscano l’afflusso di persone (sta nascendo un mercato di prodotti alimentari biologici e di artigianato, il Carnevale della Circoscrizione, etc. etc.); il progetto di far rivivere via Ghiglione (la via che costeggia il teatro, un tempo strada commerciale) come “la strada degli artigiani”.

Inoltre aprire un teatro, in una città che già aveva una forte tradizione e presenza teatrale, ha significato anche cercare e creare un nostro specifico pubblico. Adesso dopo quasi sei anni possiamo dire che la “missione” è in parte compiuta: un identikit del

nostro spettatore medio lo identifica come una persona curiosa, che vuole scegliere, che è in qualche modo complice del nostro progetto culturale. Forse il pubblico mediamente più giovane tra le varie sale cittadine; un pubblico che al di là dell’età è interessato, attento, disposto a spostarsi da un capo all’altro della città, che viene anche da fuori Genova, che si riconosce in un teatro anche un po’ di tendenza. Tante persone per fortuna, che muovendosi dal centro verso Sampierdarena hanno contribuito a far rinascere una zona che stava lentamente spegnendosi, facendola ritornare il centro dinamico e vivace del quartiere. E non ci sembra una cosa da poco.”44