• Non ci sono risultati.

Il Primato del diritto comunitario come regola base dell’integrazione de

Certo è che, per le tante “intromissioni” dei principi e delle regole europee sulla legislazione domestica, si è ormai giunti a concepire il rapporto tra l’ordinamento comunitario e quello na- zionale non più in termini di integrazione-cooperazione secon- do gli ambiti di competenza per attribuzione, come parte della dottrina aveva fatto in passato30, ma di vera e propria integra- zione-coordinamento, tanto che l’ordinamento interno potrebbe

essere considerato oggi come un diritto parziale di quello co- munitario31.

Secondo il primo approccio, partendo dal fatto che l’Unione non è dotata di una competenza generale, ma solo di competen- ze per ambiti e settori, i conflitti tra norme interne e comunitarie si sarebbero potuti risolvere secondo il principio di attribuzione

per competenza che segue le indicazioni derivanti dalle scelte

politiche effettuate al suo interno. In caso di conflitto, il giudice sarebbe stato tenuto, pertanto, ad applicare la norma corrispon- dete alla “competenza” che, se riferibile all’Unione, avrebbe re- so la norma comunitaria prevalente in quanto speciale su quella generale interna.

È nota, al riguardo, la diversa posizione assunta dalla Corte di Giustizia che, già dalla sentenza del 9 marzo 1978, (causa C- 106-77, Simmenthal c/Ministero delle Finanze) ha riconosciuto che il giudice nazionale, in caso di conflitto, avrebbe dovuto di- sapplicare la norma interna in contrasto con il diritto comunita- rio “senza chiedere o attendere la previa rimozione in via legi-

slativa o mediante altro procedimento”.

Quanto al nostro ordinamento, la Corte Costituzionale si era arroccata, in un tempo risalente, su una posizione assolutamente divergente (caso Costa v. Enel, sentenza n. 14 del 24 febbraio

30 Sul punto cfr. A. TIZZANO, Le competenze dell’Unione ed il principio di sussidiarietà, in Dir. un. eur., 1997, 230 ss; I. NICOTRA GUERRERA; Nor- ma comunitaria come parametro di costituzionalità tra monismo e dualismo, in Dir. pubb., 1999, 231 ss.; T. BALLARINO, Manuale di diritto dell’unione europea, Padova, 2001, 303 ss; G. FLORIDIA, Diritto interno e diritto inter- nazionale: profili storico comparatistici, in Dir. pubb. comp. ed eur., 2002, 1340 ss.; G. TESAURO, Diritto Comunitario, Padova, 2008, 83 ss.

1964) nel tentativo di opporre alla limitazione di sovranità l’imperatività delle fonti costituzionali, ed in particolare del- l’art. 11 della Cost., che non avrebbero tollerato alcuna intru- sione “nei principi fondamentali del nostro ordinamento costi-

tuzionale o i diritti inalienabili della persona umana”.

Questo orientamento venne mantenuto durante gli anni 70 durante i quali la Corte si spinse ad ammettere il sindacato di

costituzionalità per leggi primarie successive che si presentasse-

ro incompatibili o in contrasto con le fonti comunitarie diretta- mente applicabili e con effetti diretti nel nostro ordinamento32.

Non così, invece, per gli atti secondari interni (regolamenti o atti amministrativi) che, se in contrasto con le fonti del diritto comunitario, si sarebbero dovuti annullare, in quanto illegittimi, già in ragione del vincolo costituzionale riferito alla gerarchia delle fonti prevalenti.

Come premessa a questo ragionamento seguito dalla Corte costituzionale si riscontra la visione dualistica degli ordinamen- ti in conflitto33, che si ritenevano distinti, ancorché collegati a mezzo dei Trattati e che, per questo, avrebbero richiesto uno sforzo di coordinamento al giudice tenuto a “non applicare” , e non propriamente a “disapplicare” le norme interne difformi a quelle comunitarie immediatamente applicabili o dotate di effi- cacia diretta34.

32 E quindi, con i regolamenti comunitari le direttive self executing si veda, in

particolare, la sentenza della Corte Costituzionale 22 ottobre 1975, n. 232.

33 Su questi temi, G. BIZIOLI, Profili ricostruttivi dell’autonomia tributaria delle regioni e degli enti locali derivante dalla legge delega in materia di “fe- deralismo fiscale”, in Fin. loc., 2009, 13 ss.; M. INGROSSO, La comunita- rizzazione, cit., 50 ss.

34 E, quindi, regolamenti e direttive self executing. Sull’efficacia di queste ul-

time, si segnala la sentenza della Corte Costituzionale n. 168/1991 concernen- te la diretta applicabilità della VI direttiva CEE riguardante le imposte sulla raccolta di capitali, secondo la quale l’applicabilità diretta sarebbe circoscritta ai presupposti della chiarezza, precisione e completezza delle norme; dall’assenza di qualsiasi condizione alla loro efficacia e dall’inutile decorso del termine per il recepimento a livello nazionale. La Corte di Giustizia ritiene che, al pari del giudice, tutte le amministrazioni nazionali hanno l’obbligo di applicare le disposizioni di una direttiva: (sent. 22.6.1989, in causa C-103/88) e ritiene, altresì, che l’applicabilità diretta concerne anche le direttive non at- tuate entro il termine stabilito o attuate in modo errato (sent. 13.11.1990 in causa C-106/89). Sulla questione, M. C. FREGNI, Sulla diretta applicabilità delle direttive comunitarie nell’ordinamento italiano, in Riv. dir. fin. sc. fin., 1992, 85 ss.

Solo alla metà degli anni 80, si registra un cambio di rotta ed una maggiore convergenza della Corte costituzionale all’in- dirizzo contrapposto, cd. monistico che è quello che era stato seguito dalla Corte di Giustizia già dai primi suoi pronuncia- menti in materia35.

Secondo questa impostazione teorica, le disposizioni del Trattato e gli atti delle istituzioni comunitarie, qualora siano fonti direttamente applicabili negli ordinamenti degli stati membri, rendono “ipso iure” inapplicabile qualsiasi disposizio- ne nazionale a quella comunitaria che si manifesti ad essa con- trastante, ed impediscono anche la valida formazione di atti le- gislativi nazionali ove questi si appalesino incompatibili con successive norme comunitarie direttamente applicabili, in ra- gione del fatto che le disposizioni e gli atti di fonte comunitaria “fanno parte integrante dell’ordinamento giuridico degli stati

membri”36.

Il principio della prevalenza automatica opera, secondo que- sto orientamento evolutivo della Corte, seppure con qualche li- mitazione. In particolare esso si applica quando la norma inter- na configgente segua quella comunitaria che è di immediata e diretta applicabilità, come avviene nel caso del regolamento comunitario, e comporta che la prima debba essere “non appli-

cata” dal giudice, con effetto anche retroattivo ove la norma

35 Si veda CGCE Sentenza Van Gend & Loos, 1963, in cui si legge che “La Comunità costituisce un ordinamento giuridico di nuovo genere nel campo del diritto internazionale, a favore del quale gli Stati hanno rinunziato, anche se in settori limitati, ai loro poteri sovrani, ordinamento che riconosce come soggetti non soltanto gli Stati membri, ma anche i loro cittadini”.

36 Indirizzo monistico della Corte di Giustizia già espresso nella precedente

sentenza, C-106/77 (caso Simmenthal) e poi ribadito nel 1991 con la sentenza 1 settembre 1999, causa C-126/1977 (c Echo SwissTime Ltd c/ Benetton in- ternational N.V.). Sul punto si vedano, F. GALLO, Ordinamento comunita- rio, ordinamenti nazionali e principi fondamentali tributari, in Diritto e prati- ca tributaria, 2006, 1137 ss.; A. TIZZANO, Ancora sui rapporti tra Corti europee: principi comunitari e c.d. controlimiti costituzionali, in Il Diritto dell'Unione Europea, 2007, 734 ss.; M. G. PULVIRENTI, Intangibilità del giudicato, primato del diritto comunitario e teoria dei controlimiti costituzio- nali, in Riv. it. dir. pubb., 2009, 341 ss; D. U. GALETTA, Le rapport entre Constitution italienne et normes externes et la question des soi-disant "contre- limites" - Il rapporto tra Costituzione italiana e le norme esterne e la questio- ne dei cosiddetti "contro-limiti”, in Riv dir. pubb. com., 2010, 1633 ss.; A. RUGGERINI, Rapporti tra Corte costituzionale e Corti europee, bilancia- menti interordinamentali e "controlimiti" mobili, a garanzia dei diritti fonda- mentali., in Riv. AIC, 2011, 14 ss.

comunitaria configgente fosse confermativa di altra statuizione di fonte comunitaria.

Secondo la nota altra sentenza della Corte Costituzionale del 5 giugno 1984, n. 170 (Granital SPA c/ Ministero Finanze)37, i

conflitti tra norme comunitarie e norme interne non possono co- stituire, infatti, ostacolo al riconoscimento della "forza e valo-

re", che il Trattato conferisce al regolamento comunitario che è

atto di produzione di regole immediatamente applicabili negli ordinamenti domestici. Di qui la considerazione che le disposi- zioni comunitarie, che soddisfano i requisiti dell'immediata ap- plicabilità, devono “al medesimo titolo”, entrare e permanere in vigore nel territorio italiano, senza che la sfera della loro effica- cia possa essere intaccata dalla legge ordinaria dello Stato, a nulla rilevando se si tratti di legge nazionale anteriore o succes- siva a quella configgente di rango comunitario. L'effetto con- nesso con il regolamento o altra fonte direttamente applicabile è quindi, quello non già di caducare la norma interna incompati- bile, bensì di impedire che tale norma venga in rilievo per la de- finizione della controversia innanzi al giudice nazionale.

Per la Corte costituzionale non si tratta, dunque, di riportare ad unità i due ordinamenti, ma di tenere gli stessi distinti e reci- procamente autonomi per quanto coordinati, per cui la preva- lenza del regolamento comunitario, che è norma di diretta ap- plicazione, va intesa nel senso che la legge interna non può in- terferire nella sfera occupata dalla fonte dell’ordinamento ester- no che é interamente attratta sotto il diritto comunitario.

Fuori dall'ambito materiale, e dai limiti temporali, in cui vi- ge la disciplina comunitaria così configurata, e, quindi, fuori dai casi di fonti comunitarie immediatamente applicabili, la regola nazionale, ad avviso dell’orientamento espresso nella citata sen- tenza Granital, avrebbe dovuto, invece, mantenere il proprio valore e spiegare la sua efficacia con la conseguenza che la norma interna in contrasto deve restare soggetta al “sistema o al

nucleo essenziale dei suoi principi interni fondamentali” e,

quindi, al sindacato di costituzionalità ex art. 11 della Cost. Anche la dottrina si è attestata sulla preferenza verso il mo- dello teorico della “non applicazione”, più che su quello della

37 Seguito poi, in altre sentenze pronunciatesi in quegli anni (nn. 48/1985;

“immediata ed automatica disapplicazione” delle norme interne configgenti con quelle comunitarie nel tentativo di sostenere la necessità, già avvertita dalla Corte Costituzionale, della ricerca di controlimiti alla limitazione di sovranità impositiva del legi- slatore nazionale nei principi fondamentali e dei diritti inviola- bili non derogabili (cd. Teoria dei controlimiti38), con particola-

re riferimento anche a quelli così qualificabili in ambito tributa- rio39.

Ma al di là di queste impostazioni teoriche, col passar del tempo, la Corte Costituzionale, sulla scia delle sempre più chia- re interpretazioni del principio del primato del diritto comunita- rio da parte della Corte di Giustizia, ha riconosciuto l’assoluta subordinazione gerarchica delle norme del diritto nazionale, comprese quelle di rango costituzionale, a quelle comunitarie in ipotesi di conflitto antinomico tra gli ordinamenti, per l’e- spressa “costituzionalizzazione” del diritto comunitario e dei principi di diritto internazionale che è avvenuta ad opera del comma 1 dell’art. 117 Cost., dopo la Riforma del Titolo V ella stessa40.

È significativo, al riguardo, riferirsi al caso che ha riguardato la legittimità costituzionale di una tassa regionale (la cd. tassa sul lusso della Regione Sardegna) in ordine al quale la Corte Costituzionale ha ritenuto, per la prima volta, con propria ordi- nanza41, di dover effettuare dapprima il rinvio alla Corte di Giu-

38 Per maggiori approfondimenti sulle origini della “Teoria dei controlimiti”,

si vedano, F. SALMONI, La Corte costituzionale e la Corte di giustizia delle Comunità europee, in Dir. pubb., 2002, 491 ss.; F. GALLO, Ordinamento comunitario e principi fondamentali tributari, Napoli, 2006, ID, Le ragioni del fisco, Etica e giustizia nella tassazione, Bologna, 2007, 81 ss.; M. AU- LENTA, Il recupero degli aiuti di Stato, Bari, 2007; D. TEGA, L’attualità della teoria dei contro limiti dopo il Trattato che istituisce una Costituzione per l’Europa, in A. Carmona Contrera (a cura di), Costitution National y Union Europea, Aranzadi, 2008; M. BASILAVECCHIA, L’evoluzione della politica fiscale dell’Unione europea, cit., 398 ss.; G. STROZZI, Limiti e con- trolimiti nell'applicazione del diritto comunitario, in Studi sull'integrazione europea, 2009, 23 ss.

39 Secondo la prevalenza della dottrina che si è occupata del tema, si trattereb-

be dei principi di uguaglianza sostanziale, di legalità e di capacità contributiva che non andrebbero giammai compromessi dall’applicazione di norme di di- ritto comunitari. Sui limiti generati da questi principi sul tema degli aiuti fi- scali, vi veda, quanto più diffusamente trattato al cap. III, par.2.

40 M. INGROSSO, La comunitarizzazione, cit., 50 ss.

41 Ordinanza Corte Cost. del 15 aprile 2008, n. 103. Sulla questione si ritorne-

stizia ex art. 234 del TFUE per risolvere la pregiudiziale que- stione della compatibilità della tassa con i principi comunitari, a prescindere dal loro rango e dalla loro efficacia.

Il primato del diritto comunitario concerne, quindi, tutte le fonti di derivazione comunitaria, comprese le sentenze interpre- tative della Corte di giustizia che, pur originandosi da una con- troversia determinata, hanno carattere astratto, essendo volte a chiarire l’interpretazione e la portata delle disposizioni UE. Queste sentenze hanno efficacia dichiarativa corrispondente a quella di una norma di interpretazione autentica e, quindi, i loro effetti risalgono alla data di entrata in vigore della norma inter- pretata.

Di conseguenza, le sentenze interpretative della Corte di Giustizia, al pari delle norme comunitarie direttamente applica- bili cui ineriscono, vincolano il giudice a quo ed i giudici chia- mati a disciplinare fattispecie analoghe, anche con riferimento ai rapporti giuridici sorti nel passato, in guisa che essi siano te- nuti ad applicare l’interpretazione del diritto comunitario adot- tata dalla Corte comunitaria42.

Il principio è stato confermato dalla nostra Corte Costituzio- nale che, sulla scia di quanto aveva già affermato nella sentenza sul caso Granital innanzi considerata, con la sentenza del 23 aprile 1985, n. 113 espressamente ha statuito che “allorquando

una fattispecie cada sotto il disposto della disciplina prodotta dagli organi della C.E.E. immediatamente applicabile nel terri- torio dello Stato, la regola comunitaria deve ricevere da parte del giudice statale necessaria ed immediata applicazione - pur in presenza di incompatibili statuizioni della legge ordinaria dello Stato, non importa se anteriore o successiva - e ciò non soltanto ove si tratti di disciplina prodotta dagli organi della

42 Corte Giustizia CE, 27/3/1980, cause riunite C-66/79, C-127/79, C-128/79, Ultrocchi). Sull’argomento: R. ALFANO, Applicabilità d'ufficio del diritto comunitario nel processo tributario - a proposito del tributo regionale sul passaggio del gas metano attraverso il territorio della Regione Sicilia, in Tri- butImpresa, 2004, 109 ss.; M. CHIORAZZI- M. DENARO, Gli effetti del "giudicato" ex art. 2909 c.c. non ostano alla prevalenza del diritto comunita- rio su quello nazionale, in Boll. trib., 2008, 1482 ss.; C. MELILLO, Il prima- to del diritto comunitario sul diritto interno e gli strumenti a disposizione del giudice (tributario) nazionale per la risoluzione delle antinomie tra norme (tributarie) nazionali e norme comunitarie, in Dir. prat. trib., 2009, 45 ss.; M. BEGHIN, La Corte UE e il definitivo "depotenziamento" del legislatore do- mestico, in Corr. trib., 2010, 19 ss.

C.E.E. mediante regolamento, ma anche di statuizioni risultanti da sentenze interpretative della Corte di Giustizia”43.

Attualmente, l’interprete non può che risolvere, dunque, e- ventuali conflitti tra le norme interne e comunitarie attraverso l’individuazione della norma/principio comunitario prevalente ed il giudice, investito della questione, non può che “disappli-

care” o, secondo altra visione interpretativa, non può che “im- pedire” che la norma interna venga in rilievo ai fini della solu-

zione della controversia, sia essa precedente che successiva a quella comunitaria44. La normativa comunitaria, inoltre, osta

all’applicazione di una norma interna vigente con essa config- gente ed anche all’emanazione successiva di una disposizione nazionale con essa incompatibile.

Il primato del diritto comunitario si estende pacificamente alle garanzie nazionali in materia di diritti fondamentali garanti- ti dalla Costituzione nel nostro ordinamento, da quando la tutela di tali diritti ha raggiunto nell’ordinamento giuridico comunita- rio un livello corrispondente essenzialmente a quello riservatole dalle costituzione nazionale.

Inoltre, per effetto della equiparazione dei principi contenuti nella Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea all’art. 6 del TUE, questi principi sono ormai equiparati per valore giu- ridico al contenuto dei Trattati e si impongono, quindi, an- ch’essi nell’attuazione del diritto dell’Unione alle istituzioni e agli organi europei ed agli Stati membri, in modo che i predetti soggetti, secondo il principio di sussidiarietà “rispettino i diritti,

osservino i principi e ne promuovano l’applicazione secondo le rispettive competenze” (art. 51, comma 1, della Carta di Nizza).

Il legislatore italiano e le sue articolazioni interne, comprese le amministrazioni, è tenuto a dare, quindi, attuazione al diritto comunitario nel rispetto dell’insieme di regole e principi di de- rivazione comunitaria per evitare situazioni di conflitto; le giu-

43 Così, pure, la sentenza della Corte Costituzionale n. 11 luglio 1989, n. 39. 44 Su questo tema con particolare riguardo ai riflessi del primato in controver-

sie di natura tributaria, M. MICCINESI, Giurisdizione comunitaria e processo tributario, in www.corsomagistratitributari.unimi.it. ; A. DI PIETRO, Il con- senso all’imposizione e la sua legge, in Rass. trib., 2012, 11 e ss. anche per i riflessi del primato nei rapporti tra la riserva di legge ed il ruolo del consenso all’imposizione, F.TESAURO, Il principio europeo di neutralità dell’IVA e le norme nazionali non compatibili in materia di rimborso dell’indebito, in Giur. it., 2011, 1936.

risdizioni italiane sono tenute, del pari, a dare piena attuazione ai principi comunitari, compresi quelli fondamentali della carta di Nizza ed ad applicare il diritto comunitario come fonte pre- valente in tutti i casi di conflitto con norme interne. A certe condizioni, i giudici possono essere chiamati a valutare, come

fatto illecito, anche la possibile violazione del diritto comunita-

rio commessa dal legislatore45.

Principio cardine per l’attuazione dell’integrazione giuridica tra il diritto europeo ed il diritto nazionale è il principio di effet-

tività della tutela che, com’è noto, è fonte di un obbligazione di

risultato a carico degli Stati membri, i quali sono tenuti a garan- tire l’attuazione di ogni norma comunitaria, senza rendere im-

possibile o eccessivamente difficile l’esercizio di detta tutela.

Per il principio di equivalenza, inoltre, le modalità per esercita- re detta azione non devono essere meno favorevoli di quelle che si applicano ai diritti interni.

Il principio di effettività, in forza dell’adesione ai Trattati, si impone quindi, sia al potere legislativo, che a quello esecutivo e giudiziario nell’esercizio delle rispettive attribuzioni. La Corte di Giustizia, in virtù del particolare raccordo che la lega ai giu- dici nazionali, vigila sulla corretta interpretazione del diritto comunitario da parte di tutte le istituzioni e agli organi dell’U- nione e degli Stati membri e, quindi, sulla corretta applicazione del primato, in tal modo garantendo l’uniforme applicazione delle fonti di diritto nell’ambito dell’Unione.

Se la norma comunitaria non è di diretta applicabilità nell’ordinamento interno, e così quando si tratti di sentenze non interpretative della Corte di giustizia, il mezzo attraverso cui il giudice investito di una controversia in cui sorge un’ipotesi di

45 Sul punto, cfr. R. MICELI, Illecito comunitario dello Stato e tutela del con- tribuente, in Rass. trib., 2009, 1021 ss. in cui viene approfondita la questione inerente all’individuazione dello schema tipico dell’illecito che ricorre in pre- senza di una lesione di posizione giuridica di derivazione comunitaria, in rela- zione all’elemento soggettivo dell’illecito, limita la sussistenza della respon- sabilità dello Stato membro ai soli casi di dolo o colpa grave del giudice, alla presenza di una violazione grave e manifesta del diritto vigente e all’esistenza di un nesso di causalità tra la violazione grave e manifesta ed il danno conse- guente. Sulla questione si vedano anche, G. FERRI, La responsabilità dello Stato per la violazione del diritto Ue commessa dal giudice nazionale e la legge sulla responsabilità civile dei magistrati, in Riv. trim. dir. e proc. civ., 2012, 633 ss.; F. BONACCORSI, La responsabilità dei giudici davanti alla Corte di giustizia, in Danno e responsabilità, 2012, 376 ss.

conflitto, può dirimere la questione è rappresentato dal rinvio pregiudiziale ex art. 234 del Trattato che è lo strumento tecnico attraverso il quale si realizza la cooperazione diretta tra la Corte di giustizia ed i giudici nazionali, a prescindere dal fatto che il ricorrente, nella causa controversa, abbia o meno richiesto l’applicazione del diritto comunitario.

L’applicazione del primato, rispondendo al principio di ef- fettività della tutela e di certezza del diritto, non incontra, inve- ro, preclusioni di ordine processuale, salvo solo il limite del

giudicato46 che, tuttavia, per quanto si ritrova già espresso nel

nostro ordinamento in sede di legittimità, va inteso come quello riferito “a controversie in materia di diritti disponibili delle

parti e a procedimenti giurisdizionali nei quali l’iniziativa e la conduzione del processo spettano alle parti medesime” (così,

Corte di cassazione 21.12.2007, ord. n. 26996).

Diversamente accade, invece, quando le controversie riguar-

Outline

Documenti correlati