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Strumenti di osservazione della concorrenza fiscale tra Stati

Sin dal 1992, le principali organizzazioni internazionali (l’OCSE, l’Unione Europea, le Nazioni Unite e il G7) hanno a- dottato, pur sulla base di presupposti parzialmente differenti, delle misure volte a contrastare l’evasione fiscale internazionale, la competizione fiscale dannosa, nonché il riciclaggio del denaro sporco.

a) Nel corso del 1992 la Commissione europea ha redatto il

Rapporto Ruding in materia di tassazione delle società negli

Stati Membri, i cui principi sono stati successivamente trasfusi in larga parte nel Rapporto OCSE (1998 - 2001) e nel Codice di Condotta elaborato dalla Commissione CE (1997).

Più precisamente nel predetto Rapporto Ruding sono conte- nute alcune raccomandazioni ed indicazioni che gli Stati membri della Comunità avrebbero dovuto adottare per rimuovere le di- sposizioni dei regimi fiscali degli Stati che limitavano gli inve- stimenti e la detenzione di partecipazioni in altri Stati.

Nel corso del 1996, l’Unione Europea ed il G7 costituirono un gruppo di lavoro costituito per la politica fiscale (composto dai rappresentanti dei Ministri delle Finanze di ciascuno Stato Membro) incaricato di valutare i regimi tributari degli Stati membri al fine di individuare le misure fiscali potenzialmente dannose in grado di produrre effetti distorsivi e di pregiudicare il corretto funzionamento del mercato unico.

I lavori del gruppo hanno costituito la base per la produzione dei successivi documenti emanati dall’Unione Europea nonché, soprattutto, la redazione del cosiddetto Codice di Condotta.

b) Il Codice di condotta contiene essenzialmente l’impegno da parte degli Stati a non introdurre misure fiscali dannose che, prevedendo in capo alle imprese non residenti un livello imposi- tivo nullo o nettamente inferiore rispetto a quello previsto per le imprese residenti “hanno o possono avere una sensibile inciden-

za sull’ubicazione di attività imprenditoriali nel territorio della Comunità” 66.

66 Il Consiglio Ecofin del 9 marzo 1988 istituì un gruppo di lavoro, (il Gruppo

Con l’adozione del Codice in commento gli Stati membri del- la UE hanno assunto, in definitiva, l’impegno di intervenire nei confronti di tutte le misure fiscali dannose, così come sopra de- finite, al fine di ricondurle al livello generalmente applicato, in condizioni ordinarie, negli altri Stati.

Il Codice regola esclusivamente la tassazione delle imprese e mira a realizzare la piena neutralità del settore fiscale nelle scelte di localizzazione delle stesse imprese. Esso si applica a tutte quelle misure di carattere fiscale, adottate in campo legislativo, che possano portare ad un livello di imposizione effettiva infe- riore ai livelli generalmente applicati nello Stato interessato (at- traverso norme concernenti la base imponibile, le aliquote o qualsiasi altra fattispecie impositiva).

Il Codice impone agli Stati membri la verifica di una serie di cautele allo scopo di evitare misure di concorrenza fiscale dan- nosa che, sinteticamente, possono ricondursi a due presupposti: l’idoneità della misura a condizionare l’ubicazione di attività imprenditoriali e il carattere preferenziale (o selettivo) della mi- sura stessa che si intende realizzato, appunto, quando viene ge- nerato un livello d’imposizione nettamente inferiore a quello ge- neralmente applicato nello Stato membro.

Il Codice di condotta consente, in linea di principio, che si ri- corra allo strumento della leva fiscale per sostenere lo sviluppo economico di particolari regioni, purchè le misure adottate siano, conformemente alle regole ed i principi dell’acquis communau-

taire, proporzionate all’obiettivo perseguito.

negli allora 15 Stati membri e territori dipendenti ed associati. Il Rapporto finale, pubblicato nel novembre del 1999, identificò 66 misure potenzialmente dannose (40 negli Stati membri, 3 a Gibilterra, 23 nei territori dipendenti ed associati) che si sarebbero dovute eliminare o modificare entro il 31 dicembre 3005. Successivamente il Rapporto è stato aggiornato una prima volta nel 2000 e poi nel marzo del 2004 con nuova mappatura delle misure potenzial- mente dannose. Degli attuali 47 regimi fiscali individuati, 18 sono stati elimi- nati o sono in corso di eliminazione; 14 sono stati modificati in modo dar ri- muovere i profili di potenzialità dannosa; 2 regimi necessitano di ulteriori ap- profondimenti. Nel giugno 2010 il Consiglio ha lanciato il progetto “Eurofisc” per creare un network di tutti i Paesi membri per contrastare le frodi in mate- ria IVA. La Commissione nel 2012 ha adottato due raccomandazioni: una concernente misure destinate ad incoraggiare i Paesi terzi ad applicare norme minime di buona governance in materia fiscale e, l’altra, che riguarda la piani- ficazione fiscale cd. aggressiva per suggerire come affrontare i tecnicismi e le lacune giuridiche idonee a favorire fenomeni di abuso.

Nella valutazione di dette misure agevolative particolare at- tenzione verrà prestata alle caratteristiche ed esigenze delle re- gioni ultraperiferiche e piccole isole.

Va chiarito che eventuali misure fiscali non selettive, ma ge- neralizzate, realizzate, ad es., con un livello di tassazione uni- forme adottato dal regime nazionale di uno Stato membro note- volmente più basso di quello di altri Stati della UE, non rientra- no nell’ambito di applicazione del Codice, nemmeno qualora siano comunque idonee a produrre effetti sull’ubicazione degli investimenti.

Ciò in quanto la nozione di misura fiscale potenzialmente

dannosa contrastata dal Codice di condotta postula il raffronto

tra il regime agevolato e livello generale d’imposizione all’interno di ciascuno Stato membro67.

c) Il Rapporto OCSE

Le tematiche connesse alla concorrenza fiscale dannosa han- no formato oggetto di studio anche da parte dell’OCSE68.

Ci si riferisce, in particolare al Rapporto OCSE pubblicato nel 1998 dal titolo “Harmful tax competition: an emerging glo-

bal issue” con il quale detta organizzazione aveva invitato gli

Stati membri, privi di sistemi di tassazione fondati sul modello OCSE, ad introdurli. Il Rapporto si fonda esclusivamente sull’ analisi degli effetti che la competizione fiscale dannosa tra gli Stati esplica nei confronti delle attività finanziarie e di prestazio- ni dei servizi, nonché degli strumenti idonei a contrastare le pra- tiche fiscali dannose.

Esso, in particolare, individua due categorie di harmful tax

practices: la prima è costituita dai paradisi fiscali, cioè da quegli

Stati o territori che non sono membri dell’OCSE e i cui ordina- menti fiscali presentano caratteristiche volte a porre in essere

67 Dalla comparazione dei livelli di tassazione delle società tra i paesi

dell’Unione allargata, come si vedrà più diffusamente al Cap. IV, emerge in maniera inequivoca la tendenza degli Stati membri alla riduzione generalizza- ta delle aliquote.

68 L’OCSE è l’organizzazione regionale tecnica europea costituita con il Trat-

tato di Parigi del 14 Dicembre 1960, come successore dell’OECE per realizza- re una espansione dell’economia e dell’occupazione ed elevare il livello me- dio di vita degli Stati membri.

una concorrenza fiscale dannosa; la seconda è, invece, costituita dalle pratiche fiscali privilegiate dannose ossia da particolari re- gimi fiscali, propri sia di ordinamenti giuridici di Stati membri dell’OCSE, sia di altri ordinamenti non qualificabili come para- disi fiscali, anch’essi volti a porre in essere una competizione fi- scale dannosa.

L’OCSE non sanziona tali harmful tax practices, poiché il Rapporto costituisce una mera raccomandazione ai Paesi membri ed è, quindi, privo di efficacia cogente, ma sottolinea l’impor- tanza di procedere verso la progressiva eliminazione degli effetti distorsivi determinati dalla competizione fiscale tra gli Stati, at- traverso la rimozione delle predette harmful tax practices, sia quando le stesse siano poste in essere dagli Stati membri, sia qualora detti Stati adottino normative, quali quelle sulle Cfc

(Controlled foreign companies), rivolte a neutralizzare le effetti-

ve distorsioni in capo ai soggetti residenti.

Per quanto riguarda l’Italia, la disciplina Cfc introdotta in Ita- lia (ora prevista all’art. 167, TUIR) è rivolta proprio a corrispon- dere a tale ultima raccomandazione.

Il Rapporto si aggiorna costantemente, sin dal 2001 per for- mulare una serie di raccomandazioni con riferimento alle varie pratiche di concorrenza fiscale dannosa riscontrate nei Paesi membri 69. Ciò nonostante permangono numerose differenze di trattamento fiscale anche in settori armonizzati, come quello IVA, in cui vigono diversità tra le aliquote applicate70 che, in

certi casi, finiscono per determinare l’esistenza di veri e propri regimi agevolativi nazionali.

69 Si tenga presente che Svizzera e Lussemburgo si sono astenuti dall'adesione

al Rapporto OCSE sin dal 1998; analogamente oggi, Belgio e Portogallo si sono aggiunti alla lista dei Paesi astenuti. Un primo gruppo di raccomanda- zioni concerne la legislazione nazionale degli Stati membri per l'introduzione o il miglioramento di norme relative alle concorrenza fiscale. Un secondo gruppo di raccomandazioni, ha come obiettivo quello di regolamentare il fe- nomeno della doppia imposizione giuridica tra Stati e tende all’'introduzione di programmi volti ad intensificare lo scambio d'informazioni fra paesi, in particolare quelle afferenti operazioni in paradisi fiscali o nell'ambito di regi- mi fiscali preferenziali dannosi. Vi è, infine, un terzo gruppo relativo alla col- laborazione internazionale concernente l’astensione dall'adozione da parte degli Stati membri di nuove misure che possano configurarsi come pratiche di concorrenza fiscale dannosa.

È questo il caso, ad es., degli artt. 285 e 286 della Direttiva 2006/112/CE del 28 novembre 201071, che mantiene la possibili-

tà di taluni Stati membri e, segnatamente, di quelli che alla data del 17 maggio del 1977, e quindi alla data dell’entrata in vigore della Direttiva CEE, potevano continuare a disporre di una pre- cedente agevolazione, di applicare una franchigia di esonero dall’IVA anche pari o superiore a 5.000 € che, invece, costitui- sce limite invalicabile per gli altri Stati membri. In virtù di que- sta “asimmetria”, Il Regno Unito, attualmente, applica una fran- chigia di esonero IVA sul suo territorio di circa 77.000 euro.

Vani si sono rilevati, ad oggi, i tentativi della Commissione diretti a risolvere questa sperequazione negli Stati membri, tra i quali, tra i più recenti e significativi, si segnala l’intervento della sua Direzione Generale “Fiscalità” che ha proposto di modifica- re il cit. art. 285 con la previsione di una nuova soglia unica (di 100.000 €) per tutti gli Stati membri, ma che, tuttavia, ad oggi, viene ritenuta ancora eccessiva72.

E’ significativo osservare, al riguardo, che l’Unione inter- viene, ormai sempre più frequentemente, per censurare norme interne in contrasto con le fonti comunitarie con l’effetto di ob- bligare il legislatore nazionale o il giudice, in caso di conflitto, ad applicare la norma prevalente e sovraordinata fino ad obbliga- re i destinatari di norme di favore a restituire gli aiuti illegali o incompatibili. Tuttavia quando, come avviene in questo caso, è una norma comunitaria a creare diseguaglianze e asimmetrie, per di più in un settore che per definizione è armonizzato, è la stessa Unione a mostrare resistenze ed è incapace di intervenire in mo-

71 Ed invero, l’articolo 285 della citata direttiva legittima gli Stati membri ad

introdurre una franchigia IVA per i soggetti passivi con un volume d’affari inferiore o uguale a 5.000 euro, mentre il successivo articolo 286 prevede una c.d. clausola di “stand still” e di aggiornamento, ma solamente a favore degli Stati membri che al 17 maggio 1977 applicavano già una franchigia IVA per i soggetti passivi con volume d’affari pari o superiore a 5.000 euro, conceden- do, peraltro, la possibilità di aumentare la soglia applicata al 17 maggio 1977, per mantenerne il valore reale.

72 La proposta in questione è contenuta nel documento della Commissione n.

COM(2004)728 ma essa non è stata approvata e stralciata da quella che è di- ventata, ora, la cit. direttiva 2008/9/CE del 12 febbraio 2008. Sul tema R. LU- PI, L'autorizzazione UE del regime dei minimi non risolve il problema delle semplificazioni, in Corr. trib., 2008, 3417 ss.

do efficace73. L’unico tentativo fatto per arginare il fenomeno, si

è concretizzato, infatti, nella concessione di regimi di esonero

temporali74, chiesti dai singoli Paesi di volta in volta al Consi- glio, per “avvicinare” i sistemi interni in cui, invece, la citata franchigia rappresenta una vera e propria articolazione struttura- le del meccanismo impositivo.

Ciò che lascia perplessi in questo caso è osservare che in ta- luni Stati perdurano, in definitiva, “regimi di esenzione IVA” che, in certi casi, raggiungono elevati ammontari, senza che vi siano alla base di una tale agevolazione, esplicite cause giustifi- catrici per finalità economiche, sociali o di incentivazione che, invece, l’Unione assume, come meglio sarà chiarito nel prosie- guo, come circostanze ineludibili per autorizzare la fruibilità di determinati aiuti fiscali.

73 La disposizione in parola è prevista dall’art. 395 della direttiva

2006/112/CE.

74 Anche all’Italia è stato concesso il regime di esonero dall’IVA, ma solo per

i cd. contribuenti minimi, ex art. 1, commi da 96 a 117 della legge n. 244/2007, autorizzato dalla Decisione del Consiglio n. 2008/737/CE, poi so- stituito dall’art. 27, del D.L.. n. 98/2011, conv. nella L. n. 111/2011. In questo quadro di carattere generale lo Stato Italiano, nel 2007, chiese una deroga, ai sensi dell’articolo 395 della direttiva IVA, proprio per poter innalzare la so- glia prevista dall’art. 285 da 5.000 euro a 30.000 euro. Questa diversa soglia è stata individuata sulla base di esigenze nazionali rapportate alla media delle soglie previste dall’articolo 287 della direttiva IVA per gli Stati membri che hanno aderito alla Comunità dopo il 1° gennaio 1978. Dopo l’Italia, la Polonia presentò una richiesta di deroga analoga approvata nel 2009, ottenendo sem- pre una autorizzazione provvisoria all’esenzione nel limite di 30 mila euro, poi utilizzato entro i 25 mila euro. Sul tema, M. T. SOLER ROCH, Le misure fiscali selettive secondo la giurisprudenza della Corte di giustizia sugli aiuti di Stato, in Riv. dir. trib. inter., 2006, 19 ss.; M. R. CORDOVA, La Corte di giustizia si pronuncia sulla natura delle fondazioni bancarie: spetta al giudi- ce di merito valutare caso per caso, in Dir. pubb. comp. ed eur., 2006, 833 ss.; M. V. SERRANÒ, Illegittimità del recupero dell'aiuto di Stato in ipotesi di calamità naturali, in Boll. trib., 2007, 1230 ss.; M. DE SANTIS - F. FON- ZO (a cura di), La Corte di Giustizia e gli Aiuti di Stato, in Il Lavoro nella giurisprudenza, 2012, 396 ss.

1.8 La nozione di Aiuto di Stato e la ratio dei divieti e delle

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