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1.3. La letteratura sapienziale

1.3.1. Ḥikma e ῾Ilm nella cultura arabo-islamica

Franz Rosenthal, nel suo Knowledge Triumphant. The Concept of Knowledge in

Medieval Islam96, ha discusso brevemente della valenza di questo termine, con particolare riferimento al suo rapporto con il termine ῾ilm, conoscenza; in seguito, anche Gutas ha cercato di tracciare le linee di una storia semantica del termine ḥikma, nell’articolo Classical Arabic Wisdom Literature,97

già menzionato.

Cercheremo dunque adesso di mostrare che tipo di problemi si presentino quando si tenta di definire la ḥikma con il supporto dei testi antichi, seguendo entrambe le loro esposizioni.

95 In particolare, Gutas fa notare come le varie classificazioni della letteratura sapienziale – e di

conseguenza anche le posizioni che essa può assumere rispetto agli altri generi – differiscano tra loro a seconda che il criterio utilizzato da un autore per classificare un prodotto letterario sia la sua forma o il suo tema; cfr. Id., “Classical Arabic Wisdom Literature”, pp. 62-65.

96 F. Rosenthal, Knowledge Triumphant. The Concept of Knowledge in Medieval Islam, Brill, Leiden,

1970, pp. 35-40.

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Osserviamo innanzitutto che in metà dei casi98 in cui il termine ḥikma compare nel Corano, esso è legato al termine libro, kitāb. È stato ipotizzato da Rosenthal che in questi casi il termine si riferisca a quelle sezioni del Corano che contengono massime. Sappiamo infatti che nell’arabo pre-coranico ḥikma significa anche “massima”, “detto sapienziale”, e che è stato spesso usato anche come collettivo, col significato “collezione di massime” o “massime” in generale; nel caso in cui tali massime siano contenute in un libro, “libro di massime”; Marlow aggiunge inoltre che il termine, nella sua forma plurale – ḥikam – può connotare le «espressioni sagaci di importanza universale ed eterna»99; per estensione, nel corso del tempo il termine è venuto a designare anche il genere della letteratura sapienziale all’interno di quei testi che, come abbiamo detto, più o meno esaustivamente e in modo più o meno concorde, cercano di inserirlo all’interno di una riflessione generale di teoria letteraria.100

Infatti, in nessun caso nel Corano il termine ḥikma pare avere il significato di “sapienza” intesa come facoltà razionale; né tantomeno di un concetto astratto come “giudizio” o “assennatezza”. Pare, piuttosto, riferirsi sempre a qualcosa di concreto e specifico; evidentemente, le massime, come è stato ipotizzato; e qualora mai ad esso si potesse assegnare un significato astratto, esso sarebbe appunto quello di “ammonizione”, ovvero del “consiglio per la condotta” contenuto nelle massime stesse.101

Tuttavia, nelle lessicografie arabe al termine ḥikma non viene mai dato il significato di “massima”, sebbene questo sia palesemente il significato più letterale del termine.102 Si è cercato di dare una spiegazione a questa circostanza; e si è cercato di capire se si trattasse di una omissione voluta o meno; vediamo come.

Innanzitutto, si è ipotizzato che in un primo tempo, la circostanza dell’abbinamento ḥikma e kitāb abbia fatto sì che a tale termine venisse dato uno specifico, sebbene non delineato, significato religioso.103

Ad esempio, è stato talvolta interpretato come sinonimo della sunna del Profeta; come conoscenza pratica e comprensione della religione; come ciò che Dio mette nel cuore per illuminarlo; come

98 Nel Corano il termine ḥikma ricorre venti volte. 99 L. Marlow, “Advice and advice literature”, p. 34. 100 D. Gutas, “Classical Arabic Wisdom Literature”, p. 50. 101

Ibidem, p. 54.

102 Secondo D. Gutas, ciò è sicuramente dovuto alla tendenza della lessicografia araba a favorire la

terminologia filosofica e il vocabolario poetico dei beduini; cfr. Ibidem.

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Profezia; come Rivelazione, come insieme di parola e pratica corrette; come timore di Dio, ecc.; tutte interpretazioni, queste, più metaforiche rispetto al significato letterale del termine.

È stato suggerito che, assieme all’abbinamento di ḥikma e kitāb, a determinare tale interpretazione abbia concorso anche una effettiva e conscia volontà, tesa ad evitare l’interpretazione del termine ḥikma come “massima” – laddove esso compare nel Corano – onde scongiurare l’eventualità che le raccolte di massime esistenti104

acquisissero, grazie al Corano stesso, la stessa dignità e autorità del testo rivelato nel loro essere guide alle buona condotta. Chiaramente, tale eventualità avrebbe potuto facilmente essere evitata intendendo la ḥikma come concetto specifico dell’Islam, ovvero come, appunto, sunna del Profeta, e gli altri elencati.

Gli studiosi che cercassero di dirimere tale nodo consultando le lessicografie si ritroverebbero, peraltro, di fronte al seguente paradosso: da una parte l’interpretazione letterale del termine viene giudicata inadeguata nell’esegesi coranica, e viene favorita l’interpretazione metaforica suddetta; dall’altra, il termine non è annoverato tra quelli dotati di un inequivocabile significato metaforico, né vengono elencati altri significati metaforici oltre a quello che deriva dal tafsīr.105

Tra le altre spiegazioni proposte al fatto che nel mondo islamico al termine

ḥikma sia stato assegnato un rilievo secondario rispetto all’῾ilm, vi è quello legato al

significato della sua radice ḥ-k-m. Nelle altre lingue semitiche, infatti, questa radice trasmette generalmente l’idea di sapienza, mentre in arabo è legata all’attività giuridica e politico-amministrativa. In origine il termine ḥikma, infatti, poteva riferirsi a un verdetto giuridico dato da un ḥakīm, un giudice. È stato dunque suggerito che, laddove in arabo i termini ḥikma, ḥakīm, e qualsiasi altro termine derivante dalla stessa radice, sembrino implicare l’idea di sapienza, tale spostamento di significato sia dovuto all’influenza straniera: in particolare, è stato ipotizzato che possa trattarsi di un prestito del siriaco ḥekmā106

, oppure che il termine possa avere un’origine sud-arabica.107

104 Le più importanti delle quali sono le raccolte di massime attribuite a Luqmān, vedi infra, cap. I, 1.3.3.,

“Luqmān”, p. 38s.

105

Cfr. D. Gutas, “Classical Arabic Wisdom Literature”, pp. 52-53.

106 I filosofi cristiani della Siria, infatti, definivano la sapienza, ḥekmā, come la buona amministrazione

della conoscenza.

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Nell’arabo pre-coranico è attestato l’uso dei termini hakīm e muḥakkam riferiti a colui che sia in grado di trarre beneficio dalla propria o altrui esperienza, derivandone verità generali e regole di buona condotta; oppure a qualcuno che istruisca e ammonisca gli altri tramite massime. Ma anche il termine ḥukm compare, con i significati di “giudizio” e “assennatezza”. Vi è dunque una sostanziale continuità tra l’uso pre- coranico e quello post-coranico di questa radice, eccetto che per un particolare: la sapienza, di cui la massima è veicolo, non deriva più dall’esperienza, ma piuttosto da Dio e dalla sua venerazione.

Un altro modo per cercare di comprendere la portata del termine ḥikma, seguendo Rosenthal, può essere quello si analizzarlo in contrapposizione a un altro termine molto rilevante all’interno del Corano, riferito anch’esso a una facoltà intellettuale umana, ovvero l’ilm, la conoscenza. Osserviamo innanzitutto che l’eccezionale posizione accordata dal Corano all’῾ilm comporta nella pratica l’eliminazione della ḥikma intesa come superiore, in eccellenza e dignità, all’῾ilm all’interno di una scala gerarchica delle facoltà intellettuali dell’uomo; differentemente da quanto accade, ad esempio, nella teologia cristiana, la quale distingue la sophia, o

sapientia, dall’epistème, o scientia, facendo consistere la prima nella conoscenza delle

cose divine, mentre la seconda nella scienza delle cose umane, in modo tale che la prima comporti sempre di necessità anche la seconda, ma non l’inverso. Questa differenza tra le due teologie è probabilmente all’origine di quelle traduzioni dal greco nelle quali sophia è stato reso con ῾ilm, piuttosto che con ḥikma.108

Infatti, la superiorità gerarchica del termine ᾿ilm nella teologia islamica è tale che, nonostante le molteplici interpretazioni metaforiche e religiose che abbiamo visto, il termine ḥikma non ha mai assorbito un significato tale da poter competere con la rilevanza accordata al termine ῾ilm dal Corano.

Ovviamente, nel mondo islamico la relazione tra ḥikma e ῾ilm è stata spesso discussa, e non è univoca. La ḥikma è stata interpretata, ad esempio, come un sapere pratico, legato all’azione, concernente il mondo terreno e il modo corretto di agire: il greco phrónesis. Tuttavia non va dimenticato che nel mondo islamico il comportamento corretto consiste in una combinazione di conoscenza e azione, e che in questo senso, la

108 Ciò è accaduto, ad esempio, nella traduzione di un passo del Nuovo Testamento: la designazione di

Cristo come “il Potere di Dio e la Sapienza di Dio”, è tradotta in arabo (Cor 1, 24) con i termini qudra e

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ḥikma potrebbe assumere un valore più alto rispetto alla mera conoscenza. Afferma

infatti Ibn Qutayba nel suo Tafsīr ġarīb al-Qur᾿ān: «La sapienza [ḥikma] è conoscenza e azione; nessuno può esser detto sapiente [ḥakīm] se non combina le due cose».109

La falsafa ha senza dubbio cercato di enfatizzare l’importanza della sapienza: il filosofo al-Kindī, ad esempio, la definì come «l’eccellenza della capacità razionale, la conoscenza degli universali per ciò che realmente sono, e l’impiego delle realtà che devono essere impiegate».110

Per gli oppositori della disciplina, tuttavia, il fatto che i

falāsifa utilizzassero spesso questo termine e gli attribuissero tale rilevanza, ha

contribuito al contrario a restringere ulteriormente la generale importanza della “sapienza” nell’Islam: laddove infatti il termine ḥikma è stato utilizzato – o letto – come un altro termine per riferirsi alla falsafa, ovvero alla philosophía greca, esso si è visto anche oggetto del medesimo pregiudizio applicato alla disciplina stessa e a coloro che la propugnavano da parte degli ambienti più strettamente religiosi.

È chiaro dunque, al termine di questa analisi sommaria, che la definizione della

ḥikma comporti un certo numero di difficoltà, similmente a come risulta complesso

definire il termine adab, di cui abbiamo parlato nel capitolo precedente. Per praticità, comunque, noi tratteremo della letteratura della ḥikma attenendoci a quella che è il senso più letterale del termine, ovvero parlando dei libri didattici di carattere etico- morale, e in particolar modo delle raccolte di massime.111