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3. Contesto socio-culturale

4.1. L’opera filosofica

Tra le opere di Miskawayh che ci sono pervenute, quelle ad avere un carattere eminente filosofico sono sei:

[1] il Tartīb al-Sa῾ādāt wa manāzil al-῾ulūm (L’ordine della felicità e le dimore

delle scienze). Si tratta di un opuscolo citato nel Tahḏīb al-aḫlāq con il titolo abbreviato

di Tartīb al-Sa῾ādāt, composta probabilmente tra il 977 e il 982. Miskawayh precisa di aver scritto questa breve opera per rispondere al suo signore Abū l-Faḍl Ibn al-Amīd, il quale gli aveva chiesto quale rango occupassero le differenti specie della felicità umana, in cosa consistessero e come si distinguessero le une dalle altre e quale posizione

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῾A. Badawī giunge infatti a questa conclusione prendendo le mosse da uno dei due testi nei quali questo Kitāb Ādāb al-῾arab wa-l-furs viene menzionato, il Taḏkirat al-šu῾arā di Ibn ῾Alā al-dawla Baḫtīsāh (l’altro è il Ṭirāz al-mağālis di Ḫafāği). Tuttavia, all’interno di questo testo viene riportata una citazione che non è presente nel Ğāwīdān Ḫirad: «L’emiro dei credenti al-Ḥusayn ibn ῾Alī disse: Mio padre si trovava a Kūfa, nella moschea, quando un uomo originario della Siria si indirizzò verso di lui e disse: O emiro dei credenti, io vorrei interrogarti sul primo uomo che ha composto dei versi. Rispose: È Adamo, a lui il saluto. Proseguì l’uomo: Quali furono questi versi? Disse mio padre: Disceso dal cielo sulla terra, Adamo ne scoprì il suolo, la vastità, l’atmosfera, dopo l’assassinio di Abele da parte di Caino egli pronunciò allora questi versi». Secondo Arkoun, Badawī liquida con troppa leggerezza questa citazione, trattandola come un’interpolazione su una copia del Ğāwīdān Ḫirad recante il titolo Kitāb Ādāb

al-῾arab wa-l-furs, senza prendere in considerazione l’ipotesi che possa invece trattarsi di un testo

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occupassero rispetto alla Felicità Suprema (al-sa῾ādāt al-quṣwā), la più elevata di tutte. La felicità del saggio si distingue da tutte le altre poiché a essa sola corrisponde il fine ultimo della creazione dell’uomo, ovvero il possesso di uno spirito potente e di un discernimento sano per accedere alle realtà profonde delle cose dell’essere. E poiché la vera Felicità presuppone uno “spirito potente”, la parte teoretica è anteriore alla parte pratica. Le scienze devono necessariamente essere studiate secondo l’ordine fissato dai filosofi, e da Aristotele in particolare.

[2] Il Kitāb al-Fawz al-aṣġar. Si tratta di un’opera citata due volte nel Šawāmil, sotto al titolo abbreviato di al-Fawz. Poiché al termine di questo trattato, Miskawayh dice che tratterà in un al-Fawz al-akbar ciò che non è riuscito a trattare in questo, l’opera viene generalmente indicata col titolo di al-Fawz al-aṣġar. Essa è stata scritta su commessione di ῾Aḍud al-Dawla probabilmente dopo il 991. L’autore stesso definisce il contenuto della sua opera scrivendo nella prefazione che essa tratta «delle tre domande che esauriscono tutte le scienze e raccolgono tutte le sentenze della saggezza». Conseguentemente essa è divisa in tre parti: la prima dedicata a Dio, la seconda dedicata all’anima, la terza al Profeta; e, in accordo con un artificio compositivo in voga nel Medioevo, ogni parte è divisa in dieci capitoli. L’al-Fawz espone dunque quelle nozioni di psicologia e di metafisica che serviranno come base teorica delle posizioni etiche esposte nel Tahḏīb al-aḫlāq.315

[3] Il Kitāb al-Hawāmil wa-l-Šawāmil. Si tratta di una serie di 175 domande poste da Tawḥīdī a Miskawayh, alle quali Miskawayh dà la sua risposta. Il titolo completo dell’opera è menzionato da Tawḥīdī stesso nelle sue Muqābasāt. Le domande toccano svariati argomenti, specialmente dell’ambito filosofico; la successione delle domande non si fonda su alcuna volontà di sintesi e di elaborazione di un sistema. Una domanda sul canto e sull’uso di uno strumento musicale, ed esempio, è seguita da una domanda sulla propensione dell’anima alla purezza; una domanda su una questione lessicografica è seguita da una domanda sull’importanza di mantenere un segreto, eccetera. La sua forma dialogica lo accomuna particolarmente alle registrazione delle

315 E. Wakelnig ha segnalato come numerose evidenze testuali contenute in due manoscritti ancora inediti

suggeriscano l’esistenza di una recensione alternativa del Fawz al-aṣġar. A quanto pare, tale recensione non è sopravvissuta in modo indipendente, ma solo in un certo numero di frammenti contenuti in altre opere; cfr. E. Wakelnig, “A New Version of Miskawayh’s Book of Triumph: An Alternative Recension of

al-Fawz al-Aṣghar or the lost Fawz al-Akbar?”, in Arabic Sciences and Philosophy, vol. 19, 2009, pp. 83-

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assemblee (maǧlis) che spesso avvenivano in questo periodo alle corti dei mecenati. Quest’opera, come sottolinea Arkoun, più che per le domande sollevate, riveste per noi un interesse a causa della prospettiva in cui queste domande sono poste: esso è infatti un documento importante per la comprensione del cosiddetto “Umanismo arabo”.316 A giudicare dai tagli apportati nella parte di Tawḥīdī, deve essere stato Miskawayh a occuparsi della redazione finale. Arkoun suggerisce che essa potrebbe essere stata compilata attorno agli anni 991-992.317

[3bis] La Risāla fī māhiyyat al-῾adl (Epistola sull’essenza della giustizia), il cui titolo completo secondo l’unico manoscritto che riporta la composizione, conservato a Mašhad, è Risālat al-šayḫ Abī ῾Alī Aḥmad ibn Muḥammad ibn Ya῾qūb Miskawayh ilā

῾Alī ibn Muḥammad Abī Ḥayyān al-ṣufī fī māhiyyat al-῾adl è un trattato che Miskawayh

scrisse per rispondere alla domanda n° 29 del Šawāmil sul tema dell’ingiustizia. Trattandosi si un soggetto di grande importanza, Miskawayh si ripromise, infatti, di rispondere con un trattato distinto. Qui Miskawayh definisce la giustizia secondo i suoi molteplici sensi: quello cosmologico, quello aritmetico, quello politico e quello divino; un’attenzione particolare viene posta sulla nozione di unità che si realizza grazie all’equilibrio perfetto, rappresentato dalla giustizia, in primo luogo tra le tre facoltà dell’anima, poi tra le parti della città e infine tra le parti costitutive del cosmo. Questa concezione astratta di giustizia trae sicuramente ispirazione dal Platonismo, dal Pitagorismo e dall’Aristotelismo.

[4] Rasā᾿il al-falsafiyya è il nome che viene dato a un insieme di testi conservato nella medesima raccolta: la maǧmu῾a Rāġib Pacha. La data di composizione è ignota, poiché nessuna indicazione viene data all’interno della raccolta stessa, né in altre opere; tuttavia, Arkoun ritiene che questi testi potrebbero essere stati scritti quando egli svolgeva le funzioni di bibliotecario.

[5] Il Tahḏīb al-aḫlāq wa taṭhīr al-a῾rāq. La prima parte del titolo risulta da due passaggi dell’opera nei quali l’autore parla «della scienza della riforma dei costumi (ṣinā῾at tahḏib al-aḫlāq)». Si tratta di un’espressione ricorrente nella letteratura etica in generale. Anche Yaḥyā ibn al-῾Adī scrisse un’opera con questo titolo, Tahḏīb al-aḫlāq,

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M. Arkoun, “L’Humanisme Arabe au IVe-Xe Siècle, d’après le Kitāb al-Hawāmil wa-l-Šawāmil”,

Studia Islamica, 14, 1961, pp. 73-108.

317 Ci riferisce, in questo caso, alla data della sua ultimazione, trattandosi in realtà dell’unione di due

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dalla quale Miskawayh peraltro trae gli elementi essenziali. La seconda parte del titolo è ugualmente indicata dall’autore quando dice di aver intitolato il libro Kitāb al-ṭahāra (Libro della purezza rituale). Il manoscritto Köprülü 767 riporta invece il titolo Ṭahārat

al-nafs. Questo testo è anteriore al Kitāb al-Ḥikma al-Ḫālida, e probabilmente

posteriore al 994, ovvero all’anno della conversione di Miskawayh alla saggezza. All’interno dell’opera, Miskawayh fa delle allusioni a quello che lui chiama «il più grande re del nostro tempo», e si pensa che questo possa essere ῾Aḍud al-Dawla. Essa è, senza dubbio, l’opera più importante di Miskawayh, nella quale egli riunisce tutti i più importanti temi trattati negli scritti precedenti ma ponendoli in un ordine sistematico. È un manuale al contempo completo e semplice di etica, scritto secondo le regole dell’esposizione chiara di Aristotele, destinato a coloro che si apprestavano allo studio della filosofia, che fino a quel momento avevano avuto a disposizione soltanto o, direttamente, le traduzioni delle opere greche, oppure altre dissertazioni, che erano per la maggior parte o troppo sintetiche o di difficile comprensione. Il Tahḏīb al-Aḫlāq, al contrario, chiarifica costantemente i passaggi teorici attraverso l’uso di esempi pratici; infine, grazie all’aura religiosa che l’autore conferisce a questa etica filosofica, l’opera si garantì un successo duraturo; contribuì infatti all’influenza della falsafa sull’adab tradizionale e sulla morale di ispirazione islamica. L’opera è divisa in sei libri: il primo sull’anima e sulle virtù; il secondo sul carattere e sull’educazione; il terzo sul Bene Supremo, ovvero sulla felicità; il quarto sull’esercizio delle virtù; il quinto sull’amore; il sesto intitolato “La Medicina Spirituale”.318

[6] Il Kitāb al-Ḥikma al-Ḫālida, di cui avremo modo di parlare più approfonditamente nel capitolo successivo.319