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2. Contesto storico

2.3. L’ideologia dell’ Impero Buwayhide

῾Aḍud al-Dawla morì dopo aver unificato l’Impero ed aver visto porsi in essere, sotto il suo governo, così come sotto quello di sua padre, quella che deve giustamente essere considerata come un’età d’oro, dal punto di vista sia politico che culturale. Il regno di questi due principi, infatti, fu sostanzialmente diverso da quello dei fondatori della dinastia, a cui fa capo ῾Imād al-Dawla. Il principale sforzo di quest’ultimo fu infatti quello di ricercare la sicurezza del proprio potere e di quello dei suoi fratelli, mentre Rukn e ῾Aḍud al-Dawla cercarono di porre il loro potere su delle basi ideologiche salde e di carattere imperiale.

In Oriente, già da molto tempo prima dell’avvento dei Buwayhidi l’idea di una restaurazione della monarchia persiana aleggiava nell’aria ed accendeva gli spiriti delle varie dinastie. Lo Ziyāride Mardāviǧ, ad esempio, aveva già tentato di farsi forte di questa tradizione, e la medesima politica era stata perseguita dai Sāmānidi. A differenza del suo nemico, ῾Imād al-Dawla, Mardāviǧ aveva una concezione molto precisa della base ideologica del suo potere. Era solito festeggiare il Nawrūz con grandi celebrazioni sfarzose, introdusse cerimoniali tipicamente iraniani all’interno della sua corte; quando concedeva udienza sedeva su un trono d’oro indossando la corona di Ḫusraw (Cosroe); secondo il resoconto di Miskawayh, la sua massima ambizione era quella di conquistare

173 Inizialmente ῾Aḍud al-Dawla tese verso il riconoscimento della discendenza ῾alīde dei Fāṭimidi, ma

quando questa concessione minacciò di interferire con la sua politica nei confronti del Califfato e di suscitare delle agitazioni tra i suoi sudditi šī῾iti, fu costretto a ritirare il suo riconoscimento; cfr. Ibid.

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l’Iraq, riprendere al-Madā᾿in, ovvero l’antica Ctesifonte, ricreare l’Impero Persiano e assumere il titolo di Šāhanšāh.174

Per quanto riguarda i Buwayhidi, inizialmente furono riluttanti ad accogliere questo genere di rivendicazioni anche all’interno della loro politica, in parte forse anche perché Rukn al-Dawla «agli occhi dei Daylamiti non possedeva l’autorità di un governatore indipendente»175, almeno secondo la testimonianza di Miskawayh; in seguito però, probabilmente grazie all’influenza intellettuale che il suo visir Ibn al- ῾Amīd esercitò su di lui176

– ma forse anche a causa del periodo che egli trascorse come ostaggio alla corte di Mardāviǧ – egli acquisì una comprensione e una consapevolezza più profonde del significato della sua posizione; così l’aspirazione condivisa all’epoca – quantomeno a livello propagandistico – di una restaurazione dell’Impero Persiano entrò a far parte anche dell’ideologia Buwayhide.177

Si rese allora indispensabile redigere una genealogia che tracciasse una discendenza della dinastia buwayhide da quella degli antichi Sasanidi: le loro rivendicazioni monarchiche, infatti, non potevano che andare di pari passo con la loro

174 Non ci è dato sapere che ruolo avrebbe dovuto giocare il Califfo all’interno delle aspirazioni di

Mardāviğ; cfr. Ibid., p. 273.

175

Ibid.

176 I Buwayhidi erano soliti nominare come propri visir uomini colti e patroni delle arti e delle lettere.

Mu῾izz al-Dawla nominò infatti come suo visir al-Muhallabī, la cui opera di mecenate è confermata da Yāqūt e da al-Ṯa῾ālibī; Rukn al-Dawla nominò un uomo del calibro di Abū l-Faḍl Ibn al-῾Amīd (vedi infra, cap. II, 2, “La fede” p. 101s), Ṣāḥib ibn ῾Abbād fu invece visir di Mu᾿ayyad al-Dawla e di Faḫr al- Dawla; Bahā᾿ al-Dawla, invece, nominò Ibn Sa῾dān e Sābūr ibn Ardašīr; cfr. M.S. Khan, “Miskawayh and the Buwayhids”, Oriens, Vol. 21/22, 1968-1969, p. 235-247.

177 La prima testimonianza che attesti questa nuova ideologia buwayhide è una medaglia commemorativa

in argento coniata a Rayy nel 962, probabilmente per celebrare la conquista del Ṭabaristān, avvenuta nello stesso anno. Su di essa, l’amīr al-umarā᾿ è raffigurato come un Imperatore Persiano cinto da una corona; l’iscrizione è in pahlavi e recita: «Possa crescere la gloria del Re dei Re». Da notare è il fatto che nella seconda generazione dei Buwayhidi molti avevano un nome persiano. Il fondatore della dinastia, che portava il suo nome islamico, Abū Šuğā῾, davanti all’iraniano Būya, fu probabilmente il primo della sua famiglia a convertirsi all’Islam, e conseguentemente diede nomi puramente islamici ai suoi figli: ῾Alī, Ḥasan, Aḥmad. Rukn al-Dawla diede il via a una controtendenza, chiamando il suo primo figlio Fanā- Ḫusraw e un altro figlio Ḫusraw Firūz, a conferma del cambiamento avvenuto nell’ideologia della dinastia Buwayhide durante il suo regno; cfr. Ibid. pp. 273-274. Faccio notare incidentalmente che alcune usanze dell’amministrazione Sasanide erano già in uso nel Califfato ῾Abbāside, ad esempio: secondo il

Kitāb al-Tāğ di al-Ǧāḥiẓ (testo che Charles Pellat considera pseudo-epigrafico) l’usanza seguita sia dai

Califfi Umayyadi sia da quelli ῾Abbāsidi di costituire tre differenti classi di cortigiani fu istituita per la prima volta dal re sasanide Ardašīr ibn Bābek (226-241 d.C. ca). All’inizio del X secolo, dunque, il circolo della corte di un sovrano o di un visir era formato da tre classi di persone: i giuristi (fuqahā᾿), gli studiosi (῾ulamā᾿) e i cortigiani (nudamā᾿); cfr. M. S. Khan, “Miskawayh and the Buwayhids”, pp. 235- 236.

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capacità di dimostrare la regalità dei loro natali.178 ῾Aḍud al-Dawla ne fece conseguire anche un’adeguata politica matrimoniale, sposando la figlia del re Daylamita Manāḏar, che discendeva dai Banū Ǧustān, i quali avevano governato il Daylam nel IX secolo; ed il fatto che egli abbia chiesto al Califfo il titolo di Tāǧ al-Dawla non appena si fu installato a Šīrāz, deve essere letto all’interno di questa ottica. Dopo che suo zio si oppose a tale titolatura, ῾Aḍud al-Dawla proseguì la sua politica per altre vie. Una moneta coniata a Šīrāz nel 961-962 si riferisce a lui come al “giusto amīr”, un titolo e un epiteto difficili da trovare sulle monete in generale. L’epiteto “giusto”, in particolare, richiama la tradizionale prerogativa dei monarchi persiani, e la letteratura degli Specula

principis abbonda di aneddoti che mostrano la giustizia degli antichi re; e non è certo un

caso che, proprio in questo periodo storico, questo tipo di letteratura sia ritornata in auge in Persia; Mutanabbī, che attorno al 965 visitò la corte di Šīrāz, compose una

qaṣīda nella quale si rivolgeva al principe con il titolo di “Re dei Re”. Il titolo di

Šāhanšāh fece la sua comparsa in un’iscrizione subito dopo la conquista dell’Oman; ῾Aḍud al-Dawla poté assumere ufficialmente questo titolo dopo il 980, come coronamento della sua serie di conquiste, e iniziare a porlo sulle monete.

Verso la fine del 970, a Bagdad, aveva avuto luogo la solenne cerimonia d’investitura di ῾Aḍud al-Dawla. Questo evento, raccontato nei dettagli da al-Ṣābi᾿, merita di essere posto sotto la nostra attenzione per la sua portata simbolica; da essa, infatti, si può innanzitutto trarre un’idea dell’elevata considerazione che ῾Aḍud al- Dawla ebbe della sua pozione, nonché dell’immagine che egli si proponeva di costruirsi nei suoi domini.179

Poiché il Califfo si era rifiutato di concedere alcuni dei trattamenti di favore che ῾Aḍud al-Dawla richiedeva per l’inizio della cerimonia, egli si adeguò all’osservanza del rituale prescritto, si prostrò di fronte al Califfo e quando uno dei suoi sottoposti

178

Incontriamo per la prima volta la completa genealogia dei Buwayhidi nel Kitāb al-tāğī di al-Ṣābi, un’opera commissionata da ῾Aḍud al-Dawla e composta nel 980 a Bagdad, riguardante la storia della dinastia; molti altri autori successivi l’hanno ripresa, tra i quali Ibn Ḫallikān e Ibn Šiḥna; cfr. Ibid.

179 Egli insisté ad esempio di poter avere il privilegio di accedere alla Sala delle Udienze in sella al suo

cavallo, e pretese che venisse eretta una tenda affinché nessuno del suo seguito potesse essere testimone del momento in cui avrebbe baciato il terreno ai piedi del Califfo, nel timore che il gesto potesse danneggiare l’immagine di se stesso che egli cercava di promuovere nel Fārs; il Califfo, tuttavia, non acconsentì a nessuna delle sue richieste; cfr. Ibid., pp. 275-276.

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domandò se per caso il Califfo fosse Dio, al quale soltanto è adeguato inginocchiarsi, il principe rispose prontamente: «Non Dio, ma l’ombra di Dio sulla terra».180

Dopo i convenevoli ed un breve dialogo, il Califfo proseguì pronunciando la formula dell’investitura: «Sono lieto di affidarti gli affari e il governo dei sudditi sia nell’Oriente sia nell’Occidente della terra, ad eccezione dei miei possedimenti privati, della mia salute e del mio palazzo. Governali, pregando Dio di concederti il successo».181 Su richiesta di ῾Aḍud al-Dawla, la formula fu ripetuta di fronte a testimoni di entrambe le parti; poi ricevette le vesti d’onore, il diadema e due insegne.

Tradizionalmente, questo gesto avrebbe concluso la cerimonia stessa, ma ῾Aḍud al-Dawla richiese che fosse posto in essere un particolare rituale: gli ufficiali di corte, nel momento in cui il diadema veniva posto sul capo del principe, disposero che due ciocche di capelli, adornate da un gioiello, rimanessero sciolte, di modo che il Califfo potesse, con le sue stesse mani, sistemarle sotto al diadema; ciò avrebbe dato l’impressione che fosse stato il Califfo stesso a incoronarlo, e la simbologia del gesto era talmente importante per ῾Aḍud al-Dawla che fu disposto che due alti funzionari di corte fossero presenti al momento della consegna delle vesti, del diadema e delle insegne, per avere la sicurezza che il rituale venisse svolto nel migliore dei modi. Si trattava senza dubbio di un cerimoniale persiano, sconosciuto alla corte del Califfo, il quale acconsentì, forse ignaro della straordinaria importanza che esso aveva per la propaganda buwayhide. A quel punto, comunque, anche il titolo di Tāǧ al-Dawla, richiesto ventisette anni prima, fu concesso, sebbene nella versione alterata di Tāǧ al- Milla.182

Dopo la conquista araba, dal punto di vista teorico il concetto di monarchia era stato soppiantato dall’Islam e dalle sue istituzioni; dal punto di vista pratico, tuttavia, ciò non era sempre vero, specialmente nei territori iraniani, dove la data continuava ad essere conteggiata a partire dall’era di Yazdgard, il Nawrūz era ancora celebrato, i Templi del Fuoco erano attivi e un gran numero di Persiani non si era mai convertito all’Islam ed era rimasto fedele all’antica religione. Qui, senza dubbio, il concetto di monarchia persiana aveva ancora un significato molto forte, di conseguenza questa particolare scelta politica ideologica da parte dei Buwayhidi permise loro di accrescere

180 Cfr. Ibid., p. 276. 181 Cfr. Ibid.

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il loro prestigio, specie nei confronti dei capi daylamiti, che in passato avevano sminuito la loro autorità in più occasioni. Si parla di questo periodo come di un “Rinascimento Persiano”, particolarmente forte nei territori settentrionali e specialmente sotto i Sāmānidi che, nonostante fossero fortemente sunniti, tenevano in grande considerazione il passato monarchico del paese.183 Con la sua azione politica, ῾Aḍud al-Dawla fece proprie le aspirazioni della sua epoca e, contemporaneamente, andò oltre: egli era, infatti, un musulmano devoto, e credette fermamente nell’ideale di una coesistenza senza attriti tra il Califfato e la monarchia persiana che desse una risposta ai problemi politici e religiosi che affliggevano il suo tempo. Questa sua vocazione – che, da come traspare dalla sua corrispondenza ufficiale, era molto più che una mera posa dovuta a calcolo di convenienza politica184 – dovette esser chiara in lui sin dalla giovinezza, da ben prima che egli si imbarcasse nella sua prima campagna militare.

Tuttavia, difficilmente il Califfo avrebbe potuto condividere le sue aspirazioni imperiali, tantomeno ciò che esse comportavano. Di fatto, la cerimonia dell’investitura non ebbe per lui che davvero poca importanza, contrariamente al modo in cui invece la intese ῾Aḍud al-Dawla; l’amīr al-umarā᾿, infatti, per il favore concessogli ricompensò il Califfo restituendogli tutti i diritti e i privilegi formali che gli erano stati sottratti, offrendogli doni meravigliosi e ristrutturando e rinnovando il suo palazzo, senza però interpretare tali gesti come un’ammissione di sottomissione. L’ideale rapporto tra monarchia e Califfato che egli perseguiva era quello di una divisione dei poteri, non dissimile dalla teoria europea medievale della divisione tra Stato e Chiesa.185

Ad ogni modo, sia la sua aspirazione a una rifondazione della monarchia persiana, sia il suo tentativo di conciliare quest’ultima col potere califfale, non approdarono ad alcun risultato. Certo ῾Aḍud al-Dawla non è ricordato come un re

183

Come abbiamo visto, tale Rinascimento ebbe i suoi effetti specialmente in campo letterario, vedi infra, cap. I, 3.1. “L’insorgenza del darī”, p. 71s.

184 Cito H. Busse: «In questo, egli fu molto diverso da Mardāviğ “l’infedele”, il quale fu vittima della sua

stessa megalomania e andò incontro a una morte miserabile per mano dei suoi stessi schiavi turchi insoddisfatti», Id., “Iran under the Būyids”, p. 277.

185 Il fatto che dopo il 968 ‘Aḍud al-Dawla abbia dedicato una particolare attenzione alla costruzione di

edifici religiosi può essere correttamente collegato a questa nuova concezione del rapporto tra monarchia e Califfato. La promozione dell’Islam è infatti un elemento importante nell’ottica della legittimazione di tale struttura. In particolare, la sua campagna in Iraq doveva apparire maggiormente giustificata agli occhi del potere califfale dalla missione anche religiosa che egli si era attribuito. Ma, sempre coerentemente con la sua idea, nessuna nuova moschea venne costruita a Bagdad: questa era, infatti, una prerogativa del Califfo; cfr. Ibid., p. 284.

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persiano, né il titolo di Šāhanšāh è rimasto nell’uso dopo i Buwayhidi186

; e per quanto riguarda la divisione dei poteri, la riuscita di una simile impresa non potrebbe che presupporre una volontà di cooperazione da parte del Califfo e la sua rinuncia a ogni potere secolare, nonché la totale supremazia dei Buwayhidi; il primo requisito non fu mai realmente soddisfatto, mentre il secondo ebbe vita tanto breve da non poter offrire altro che una risposta solo temporanea a un problema in definitiva insolubile.

Un ambito nel quale il successo di ῾Aḍud al-Dawla è indubitabile è sicuramente quello culturale. Sebbene i Sāmānidi abbiano costituito un precedente di non poca importanza – dal quale, peraltro, i Buwayhidi potrebbero aver preso esempio – è indubitabile che la grande fioritura culturale che ebbe luogo durante l’apogeo del dominio buwayhide portasse i segni inconfondibili della fusione delle tradizioni persiana ed arabo-islamica. Buḫārā sarebbe in seguito diventata il centro focale della sintesi della cultura araba e di quella persiana, per quanto una simile evoluzione sarebbe stata imprevedibile durante il primo periodo buwayhide, quando l’influenza della cultura araba, già molto presente nell’Iran centrale e meridionale, non aveva ancora raggiunto le province nord-orientali.

Non è chiaro se ῾Imād al-Dawla e Rukn al-Dawla sapessero leggere e scrivere, e senza dubbio la loro conoscenza della lingua araba era limitata allo stretto necessario; ma ῾Aḍud al-Dawla fu capace addirittura di farsi un nome nella letteratura come poeta, e sicuramente parte del merito di questo successo è da attribuirsi ad Abū l-Faḍl ibn al- ῾Amīd, sotto la supervisione del quale egli studiò per un certo periodo.

Innumerevoli poeti frequentarono la corte di questo colto ed illuminato visir; nella sua antologia Yatīmat al-dahr, Ṯa῾ālibī elenca undici nomi di poeti del circolo di Ibn al-῾Amīd, tra i quali compare anche Mutanabbī il quale, dopo aver abbandonato la corte di Kāfūr, aveva scelto di cercare rifugio nell’Impero Buwayhide.187

L’influenza del visir su ῾Aḍud al-Dawla deve essere stata molto importante se il principe lo onorò del titolo di ustāḏ (maestro) e ra᾿īs (capo). Ibn al-῾Amīd potrebbe essere stato, in veste più o meno ufficiale, il consigliere del giovane ῾Aḍud a Šīrāz.

186 I Buwayhidi che portarono il titolo di Šāhanšāh furono: ῾Aḍud al-Dawla, suo fratello Faḫr al-Dawla,

suo figlio Bahā᾿ al-Dawla, suo nipote Mušarrif al-Dawla e suo bisnipote Abū Kāliğār Muḫyī al-Dīn.

187 Ṯa῾ālibī ῾Abd al-Malik, Yatīmat al-dahr, vol. 2, Damasco, 1886, pp. 4-8. La fonte bibliografica è tratta

da H. Busse, “Iran under the Būyids”, p. 286. Ṯa῾ālibī dedica più di cento pagine alla discussione sul patrocinio delle arti e delle lettere da parte dei Buwayhidi.

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῾Aḍud al-Dawla dunque patrocinò molti uomini di lettere e molti studiosi188

, specialmente a Bagdad, dove fondò anche un ospedale che rimase di grande importanza fino al periodo della dominazione mongola e nel quale lavorarono i migliori medici dell’epoca. Il suo palazzo divenne il luogo d’incontro della società colta, dove teologi, scrittori e scienziati di ritrovavano regolarmente.