Il Kitāb al-Ḥikma al-Ḫālida
2. Struttura dell’opera
2.6. Le massime dei modern
L’ultimo capitolo del Kitāb al-Ḥikma al-Ḥālida è consacrato alle massime dei Musulmani “moderni”, come titola Badawī, o più precisamente alle «massime dei moderni tra i filosofi, gli eruditi e coloro che persistono nella ricerca della scienza tra i
359 P. Cheyko, Traités inédits d’anciens philosophes arabes musulmans et chrétiens, Beirut, 1911, pp. 35-
40. Questa raccolta non è stata tuttavia consultata durante il lavoro di traduzione.
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musulmani» (ḥikam al-muḥdaṯīn min al-falāsifa wa-l-῾ulamā᾿ wa-l-mulaǧǧaǧīn fī ṭalab
al-῾ilm min al-Islāmīn), come leggiamo nell’incipit del capitolo. Una parte di queste
massime e waṣāyā sono anonime, altre sono invece attribuite a Ibn al-Muqaffa῾ e ad al- Fārābī.
Al termine dell’opera vi è un capitolo di conclusione, nel quale sono raccolte massime di varia origine. La presenza di una sezione dedicata ad al-῾Āmirī in quest’ultima parte dell’opera, forse motivata dal desiderio di Miskawayh di replicare alle accuse di al-Tawḥidī di non aver profittato dei suoi insegnamenti, è di particolare interesse.361
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IV
Ḥikam al-Rūm
1. Socrate
L’immagine che il mondo arabo ebbe della figura di Socrate362
, paradigma di saggio morale prima ancora che di filosofo, è dipesa, in primo luogo, dal contenuto dei dialoghi platonici che esso conobbe, sia sotto forma di traduzioni, totali o parziali, sia sotto forma di compendi; in secondo luogo dal materiale giunto per via neoplatonica, ad esempio dagli scritti pseudo-epigrafici come il Liber de Pomo363
. Secondo le notizia bibliografiche contenute in al-Siǧistānī e Ṣā῾id al-Andalusī364
, egli sarebbe stato discepolo di Pitagora, dal quale avrebbe appreso la sapienza. In al-Qifṭī365
è riportato che egli fosse siriano (šāmī), mentre secondo Ibn Ǧulǧul366
, era un greco settentrionale, di origini siriane. Secondo molti bibliografi arabi, il suo nome, generalmente reso con Suqrāṭ nel testo arabo, avrebbe un significato in greco, sebbene non ci sia unanimità in merito a quale esso sia. Per Mubaššir ibn Fātik367, ad esempio, esso significa “l’infallibilmente giusto”; per Ibn al-Nadīm368, “portatore della salute”, ecc.
Secondo la maggior parte delle fonti Socrate fu un uomo saggio, per non dire il più saggio. Appartenne ai Sette Sapienti assieme a Talete, Anassagora, Anassimene, Empedocle, Pitagora e Platone – o ai Cinque, secondo un’altra nella quale Anassagora e Anassimene sono omessi. Secondo alcune fonti, Socrate è elencato assieme ad Anassagora, Pitagora ed i dualisti, in opposizione alla scuola di Platone e di Aristotele, i “filosofi divini” (metafisici) e distinti dai filosofi della natura, detti pre-socratici; secondo altre, invece, egli appartiene alla stessa scuola di Platone e di Aristotele, avendo come principale campo di interesse la metafisica.
362 Questa introduzione al personaggio di Socrate è basata su I. Alon, “Socrates in Arabic Philosophy”, in
S. Abel-Rappe e R. Kamtekar, A Companion to Socrates, Oxford, 2006, pp. 317-336 e Id., “Suḳrāṭ”, EI2, p. 806.
363 Si tratta del Kitāb al-tuffāḥa; vedi infra, p. 139.
364 Ṣā῾id al-Andalusī, Ṭabaqāt al-umam, tr. R. Blachère, Parigi, 1935.
365 I. Alon, “Socrates in Arabic Philosophy”, in S. Abel-Rappe e R. Kamtekar, A Companion to Socrates,
Oxford, 2006, pp. 317-336.
366 Ibid., p. 319. 367 Ibidem. 368 Ibidem.
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Secondo le fonti arabe, Socrate visse durante il regno di Artaserse, e più precisamente nacque durante il terzo anno del suo regno, nell’anno 5067 dalla Creazione del mondo; ebbe Archelao come maestro secondo alcuni; secondo altri, Timoteo o Timeo, Luqmān, oppure Pitagora; alla morte di quest’ultimo, in particolare, Socrate gli sarebbe succeduto nella conduzione della sua scuola e avrebbe avuto settanta, oppure dodicimila, discepoli, tra i quali anche Platone; e fu ucciso al tempo di Ardašīr, il primo re dei Sasanidi. Nelle fonti arabe sono presenti due spiegazioni all’incarcerazione di Socrate: secondo al-῾Āmirī e altri biografi, egli fu arrestato da Artaserse poiché si oppose alla fede si stato – ovvero alla religione astrale e idolatrica – per affermare il Creatore Unico e Onnipotente mentre secondo Ibn Ǧulǧul369
il motivo del suo arresto fu il desiderio di vendetta da parte del re, a seguito di una disputa con quest’ultimo.
In ogni caso, la vicenda di Socrate è stata recepita come in accordo con il paradigma coranico del profeta perseguitato; per questo motivo, così come per la sua pietà e per il suo ascetismo (zuhd), ovvero per il suo rifiuto del mondo terreno (al-
dunyā), egli venne considerato un esempio di santo proto-islamico dalla maggior parte
degli autori.370 Egli è stato considerato il primo e il più importante dei filosofi, padre e maestro dei filosofi, sorgente della filosofia.
All’interno della nostra opera, Socrate è il filosofo greco le cui massime aprono il capitolo dedicato alla sapienza greca. Di seguito, la mia traduzione delle massime.
[pag. 211]
Disse Socrate, secondo ciò che è conservato del suo insegnamento e custodito delle sue parole:
«È un male che colui al quale è stata concessa la sapienza tema la perdita dell'oro e dell'argento, e che colui al quale è stata concessa la salute tema la perdita della
369 Ibid., p. 321.
370 Tranne in alcuni casi, nei quali la figura di Socrate è stata caratterizzata in senso opposto, come
esempio di ateismo e di minaccia per l’Islam (ad esempio Abū Ḥayyān e al-Qazwīnī; cfr. ancora I. Alon, “Socrates in Arabic Philosophy”, pp. 323-324). Queste posizioni ostili alla figura del filosofo devono essere lette alla luce delle dispute degli autori musulmani nei confronti dei filosofi arabi, giudicati eretici, che si richiamavano a lui nell’argomentazione.
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fatica e del dolore! Poiché i frutti della sapienza sono la salute e la mitezza, e i frutti dell'oro e dell'argento sono il dolore e la fatica».371
E disse: «La più grande proprietà è che l'uomo vinca le sue passioni».372
371 Troviamo una versione più estesa di questa sentenza nella collezione di al-Kindī dei Detti di Socrate
nominata dal Fihrist di Ibn al-Nadīm (Flügel 260.4-5) e contenuta nella sezione 48v-51r del manoscritto di Istanbul Köprülü I, 1608, che porta il titolo di Mimmā naqalahū l-Kindī min alfāẓ Suqrāt, manoscritto che io non ho consultato direttamente e che per riferirmi al quale utilizzerò le indicazioni contenute nel commentario dello studio di D. Gutas, Greek Wisdom Literature in Arabic Translation. A Study of the
Graeco-Arabic Gnomologia, American Oriental Society, New Haven, Connecticut, 1975, pp. 214-435
(d’ora in poi segnalerò, per praticità, le sentenze contenute nella sezione 48v-51r con al-Kindī K, mentre segnalerò semplicemente con K tutte quelle sentenze che compaiono in altre sezioni dello stesso ms Istanbul Köprülü I, 1608). La collezione di al-Kindī ha infatti alcune sentenze in comune con la recensione anonima della parte del Ṣiwān al-Ḥikma dedicata a Pitagora, Socrate, Platone ed Aristotele, che Gutas intitola The Philosophic Quartet, basata sul manoscritto di Istanbul Aya Sofya 2822 (d’ora in poi segnalata con PQ) e tradotta in questo suo studio. Di conseguenza, quando nel testo di Miskawayh troveremo una sentenza comune sia al PQ sia alla raccolta di al-Kindī, potremo riferire per quest’ultima fonte il foglio del manoscritto di Köprülü nel quale la sentenza compare, riportando semplicemente la segnalazione di Gutas; in tutti gli altri casi, ovvero quando una certa sentenza nel testo di Miskawayh compare nella raccolta di al-Kindī ma non nel PQ, la fonte a cui farò riferimento sarà la traduzione di P. Adamson e di P. E. Pormann, come in questo caso. Ecco la traduzione inglese che P. Adamson e di P. E. Pormann propongono per questa sentenza: «He used to say: ‘Shame upon him who is given wisdom, but is unhappy over losing gold and silver, [and upon him] who is given health and leisure, but is unhappy over losing suffering and toil. For the fruits of wisdom are peace and calm, but the fruits of gold and silver are suffering and toil»; cfr. Ibid., “The Sayings of Socrates” in The Philosophical Works of al
Kindī, ed. Oxford University Press, 2012, pp. 267-275. Qui, essa è la sentenza n.27, pag 271.
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Come segnala Gutas in Id., Greek Wisdom Literature in Arabic Translation, pp. 276-277, questa sentenza è contenuta anche nelle seguenti fonti arabe, nelle quali essa è attribuita a Socrate: 1. PQ, p. 84, Socrate 2; 2. al-Mubaššir ibn Fātik, Muḫtār al-Ḥikam wa-maḥāsin al-Kalim, (per la quale Gutas usa l’edizione di ῾A. Badawī, Madrid, 1958, che qui sarà d’ora in poi segnalata con M) 107.14. Socrate, 168 – e la sua traduzione medioevale spagnola del Bocados de Oro (per la quale Gutas usa l’edizione di H. Knust, Mittheilungen aus dem Eskurial, Tubinga, 1879, d’ora in poi qui segnalata con BO) 183.7-8 – dal quale attinge la medesima massima 3. Ibn ῾Abī Uṣaybi῾a, ῾Uyūn al-anbā᾿ fī ṭabaqāt al-aṭibbā᾿ (per la quale Gutas usa l’edizione di A. Müller, Il Cairo, 1882, che qui verrà d’ora in poi segnalata con IAU) I.48.17-18; 4. K, 37v13-14, sezione V.iii, Socrate; 5. Abū l-Farağ ῾Alī ibn Ḥusayn ibn Hindū, Al-Kalim
al-Rūḥāniyya fī l-Ḥikam al-Yūnāniyya, (per la quale Gutas usa l’edizione di M. al-Dimašqī, Il Cairo,
1900, d’ora in poi segnalata con IHc) 83.11, Socrate 33; 6. Muntaḫab Ṣiwān al-Ḥikma (i cui riferimenti sono sempre tratti dallo studio di D. Gutas, e che sarà d’ora in poi segnalato con Mḫb) 15r, Socrate 14; 7. Abū Ḥayyān ῾Alī ibn Muḥammad ibn al-῾Abbās al-Tawḥīdī, Baṣā῾ir al-Qudamā᾿ wa-Sarā᾿ir al-
Ḥukamā᾿, (per la quale Gutas usa l’edizione di I. Keilani, Damasco, 1964, 2 voll., e che d’ora in poi sarà
segnalato con Tawḥīdī, Baṣā᾿ir), I.476.6, Socrate. Vi è poi un’altra fonte araba nella quale, diversamente dagli altri casi, la sentenza è attribuita a Platone e non a Socrate: 8. Abū l-Ḥasan Muḥammad ibn Abī Ḏarr al-῾Āmirī, Al-Sa῾āda wa-l-Is῾ād, (per la quale Gutas usa l’edizione facsimile di M. Minovi, Wiesbaden, 1957-1958, e che d’ora in poi sarà segnalato con ῾Āmirī), 85.6-7, Platone. Esistono inoltre due versioni di questa massima in greco, proveniente dalla medesima tradizione; la prima versione è quella proveniente dagli Apophthegmata Philosophorum (i cui riferimenti sono sempre tratti dallo studio di D. Gutas, e che saranno d’ora in poi segnalati con AP), che ritroviamo in: 1. Gnomologium Vaticanum, (per il quale Gutas usa l’edizione di L. Sternbach, “Gnomologium Vaticanum e codice Vaticano graeco 743”, Wiener
Studien 9, 1887, pp. 175-206; 10, 1888, pp. 1-49 e 211-260; 11, 1889, pp. 43-64; ristampato in un
volume a Berlino, de Gruyter, 1963; e che sarà d’ora in poi segnalato con GV) 472, Socrate; 2.
Florilegium Monacense (per il quale Gutas usa l’edizione di C. Walz, Arsenii Violetum, Stoccarda, 1832
d’ora in poi segnalato con FM) 241, Socrate; la seconda si trova invece in 3. Stobeo, Florilegium, (per il quale Gutas usa l’edizione di K. Wachsmuth e O. Hense, Leipzig, 1884-1912, 5 voll., e che sarà d’ora in poi segnalato con Stob.), cfr. D. Gutas, Greek Wisdom Literature in Arabic Translation, pp. 276-277.
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E disse: «La Natura è serva dell'Intelletto, e l'Intelletto è servo del Primo Creatore».373
Gli fu chiesto: «Qual è la cosa più utile tra tutto ciò che ci si può procurare?» Rispose: «L'amico sincero».
E un uomo tra i ricchi benestanti lo contestò, dunque [Socrate] disse: «Se io avessi voluto vivere come vivi tu, avrei potuto farlo, ma se tu avessi voluto vivere come vivo io, non avresti potuto farlo».
E fu alquanto rimproverato dai ricchi per la sua povertà, dunque disse: «Se tu conoscessi la [vera] povertà, ti angosceresti per la tua anima374
, piuttosto che angosciarti per Socrate».375
373
Troviamo una versione più estesa di questa sentenza in al-Kindī; eccone la traduzione inglese di P. Adamson e di P. E. Pormann: «He used to say: Nature is the handmaiden for the soul, soul is the handmaiden for the intellect, and the intellect that of the Creator (mubdi῾), because the first thing created by the Creator was the form of intellect»; cfr. Ibid., “The Sayings of Socrates”, sentenza n.27, pag 271.
374 O «per te stesso» (li-nafsi-ka). Nella maggior parte dei casi in cui il termine nafs è utilizzato all’interno
di queste sentenze, esso si trova in ᾿iḍāfa con un sostantivo determinato o con un pronome suffisso, e può essere tradotto indifferentemente con il sostantivo “anima” oppure con l’aggettivo “stesso/a/i/e” – con ciò intendo dire che la grammatica supporterebbe indifferentemente entrambe le traduzioni, al di là dei suggerimenti dati dal contesto. Per semplicità, ho isolato e segnalato in nota i casi in cui il termine nafs non si trova in una ᾿iḍāfa, dal momento che, mentre negli altri casi può esserci incertezza nella traduzione, in questo casi il termine nafs è utilizzato indubitabilmente per riferirsi all’anima.
375 «E un uomo tra i ricchi benestanti … angosciarti per Socrate». Come segnala Gutas in Id., Greek
Wisdom Literature in Arabic Translation, pp. 277-281, queste due sentenze si ritrovano anche in PQ, p.
84, Socrate 3-3a, con alcune variazioni – la più rilevante delle quali è l’assenza dell’inciso «E fu alquanto rimproverato dai ricchi per la sua povertà, dunque disse», apparendo dunque come un unico discorso diretto. Nella tradizione araba queste due sentenze hanno avuto una storia particolare: esse infatti inizialmente si presentavano separate; la prima era attribuita a Diogene, la seconda a Socrate. Gli scritti nei quali la prima sentenza, attribuita a Diogene, si presenta separata, sono i seguenti: 1. Ḥunayn Ibn Isḥāq, Nawādir al-Falāsifa, (per riferirsi al quale D. Gutas utilizza il manoscritto di Monaco, ms 651, segnalato d’ora in poi con Ḥm) 128r2-5, (e quello dell’Escorial, cod. Escorial 760, segnalato d’ora in poi con Ḥe), 45r-45v; 2. IHc, 112.3-5, Diogene 65; 3. M, 79.17-18, Diogene 55 = BO 150.7-9. Gli scritti nei quali incontriamo la seconda sentenza, attribuita a Socrate, separata, sono i seguenti: 1. Ḥm 42v4-7 e = Ḥe 19r-19v, 2. Joseph ben Judah ibn ῾Aqnīn, Ṭibb al-Nufūs, nell’ed. A. S. Halkin, “Classical and Arabic Material in Ibn ῾Aḳnīn’s Hygiene of Soul”, Proceedings of the American Academy for Jewish Research, 14, 1944, pp. 25-147 (d’ora in poi segnalato con Ibn ῾Aqnīn), n. 174, Socrate. Esiste poi un altro gruppo di sentenze le quali, secondo Gutas, proverrebbero da un originale greco differente rispetto a quello tradotto da Ḥunayn. Esse sono le seguenti: 1. al-Kindī K 48v. Ecco la traduzione inglese di P. Adamson e di P. E. Pormann della versione di al-Kindī: «An opulent man said to him: ‘Socrates, how exceedingly poor you are!’ Socrates replied: ‘If you knew what poverty was, you would be too busy pitying yourself rather than lamenting for Socrates’»; cfr. Ibid., “The Sayings of Socrates”, p. 268, sentenza n. 2. Da essa avrebbero poi avuto origine le versioni presenti in 2. IHc 78.12-13; 3. M 105.4-5, Socrate 140 = BO 180- 181. Nelle rimanenti versioni arabe, i due detti sono invece presenti insieme e sono entrambi attribuiti a Socrate; in quella di 1. Miskawayh, così come in quella presente in 2. Mḫb 15r, Socrate 17-18, si presentano come due discorsi diretti separati, mentre in quella del 3. PQ e in quella di 4. ῾Umar ibn Sahlān al-Sāwī, Muḫtaṣar Ṣiwān al-Ḥikma, (per la quale Gutas usa il manoscritto di Istanbul Fatih 3222, d’ora in poi segnalato con Mṣr) 3r-3v, Socrate 2, sono uniti in un unico discorso diretto; cfr. D. Gutas,
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E stava imparando musica in tarda età, dunque un uomo gli disse: «Non è vergognoso imparare in tarda età?» Disse: «Ho più vergogna ad essere ignorante in tarda età».376
[pag. 212]
E un uomo disse a lui: «Hai proibito a te stesso l'agio del mondo inferiore377, o Socrate!» Disse: «Che cos'è l'agio del mondo inferiore?» - Disse: «Mangiare buona carne, bere vini deliziosi, indossare vesti lussuose, avere bellissime donne». Disse Socrate: «Ho ceduto questo a colui che si accontenta di assomigliare ai maiali e alle scimmie, e di assomigliare ai leoni, in quanto il suo ventre costituisce la tomba dell'animale, e che preferisce l'edificio del suo corpo, che si corrompe, all'edificio dello spirito378
, che permane».379
376 Come segnala Gutas in Id., Greek Wisdom Literature in Arabic Translation, pp. 299-300, Anche
questa sentenza compare nel 1. PQ, p. 96, Socrate 22. Le altre raccolte arabe nelle quali compare sono le seguenti: 2. Mṣr 4r, Socrate 16; 3. Mḫb 15r, Socrate 19; nel manoscritto di Köprülü compare due volte: 4. K 24v2-4, sezione III.v.3, Socrate, e 38r2-4, sezione V.iii, Socrate; 5. IHc 83.14-84.1, Socrate 35; 6. M 107.7-9, Socrate 165 = BO 183.1-4. In greco, si trova in Stob. III.29.68. Alla versione di Stobeo, corrispondono, in arabo, le suddette traduzioni 1, 2 e 3, nonché quella di Miskawayh. Una parafrasi tarda è preservata in una recensione degli AP, l’Appendix Vaticana II, (per i cui riferimenti Gutas utilizza l’ed. L. Sternbach, Rozprawy Akademii Umiejotnosci, Wydzial Filologiczny, Serie II, vol. 5, Cracovia, 1894, pp. 202-208), no 91, Socrate. A questa versione greca corrispondono le traduzioni arabe suddette 4, 5 e 6. L’ultima parte della sentenza, «Ho più vergogna ad essere ignorante in tarda età», è conservata separatamente nelle due collezioni conosciute rispettivamente sotto il nome di Massimo il Confessore (d’ora in poi segnalato come Max.) 91.825C, e di Antonio il Monaco (d’ora in poi segnalato come Ant.) 136.936C (anche qui, come nei casi precedenti, traggo i riferimenti dal commentario di D. Gutas). Infine, vi è una sentenza simile in FM 206. D. Gutas, Greek Wisdom Literature in Arabic Translation, pp. 299- 300. Anche in arabo esistono diverse sentenze simili, come una presente nel PQ poco più avanti, p. 106, Socrate 43, così tradotta da Gutas: «He saw an old man who wanted to study philosophy but was ashamed to do so, and said, “You, there, do not be ashamed of becoming better at the end of your life than you were at its beginning”», cfr. Ibid., p. 107.
377
Al-dunyā nel testo. Sebbene io non abbia tradotto interamente la versione araba della Tavola di Cebete contenuta in quest’opera, faccio comunque notare che da un confronto con il testo greco risulta che il termine dunyā, che generalmente viene tradotto come “vita terrena”, “mondo inferiore” o semplicemente “mondo”, è utilizzato per rendere il greco βίος (cfr. Tavola di Cebete, 4, 2). Dal punto di vista coranico è un termine interessante, dal momento che compare frequentemente in contrapposizione ad al-Āḫira, “la vita dopo la morte”, “l’Aldilà”, “l’altra vita”, come ad esempio in Cor. II, 86: «Ecco coloro che hanno barattato la vita terrena (al-ḥayā al-dunyā) con l’Aldilà (bi-l-Āḫira)». Nella maggior parte dei casi (74 volte su 155 che il termine compare) il termine dunyā è usato come aggettivo, in particolare del sostantivo
ḥaya (vita), come in questo caso; ma è utilizzato come sostantivo anch’esso, come in Cor. II, 130: « Noi
lo abbiamo scelto [Abramo] in questo mondo (fī l-dunyā), e nell'Altra Vita (fī l-Āḫira) sarà tra i devoti». La stessa contrapposizione tra al-dunyā, utilizzato come sostantivo, e al-Āḫira la ritroviamo qui, in molte di queste sentenze; non può dunque sfuggire l’interpretazione religiosa a cui devono essere state soggette queste sentenze.
378 In questa sentenza, troviamo una contrapposizione tra l’edificio del corpo (῾imāra al-badan) e
l’edificio dello spirito (῾imāra al-rūḥ). Nelle traduzioni greco-arabe il termine arabo rūḥ, “spirito”, è spesso utilizzato per rendere il greco πνεῦμα anche nell’uso che di questo termine fece la teoria
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fisiologica di Galeno, nella quale il πνεῦμα è un principio materiale che, mescolato al sangue, parte dal cuore e si diffonde in tutto l’organismo, fungendo da principio vitale. I platonici arabo-musulmani hanno infatti spesso, in qualità di medici, supportato la dottrina di Galeno del πνεῦμα e, in qualità di platonici enfatizzato il netto dualismo anima-corpo e la separazione tra le facoltà sensibili e quelle intellettuali. Nella filosofia platonica e aristotelica il πνεῦμα, materiale, è nettamente distinto dal νοῦς, immateriale; nella filosofia neoplatonica – specialmente in Plotino, Porfirio, o in Giovanni Filopono – l’anima (ψυχὴ) è intesa come un regno intermedio (τὸ μεταξύ): pur rimanendo, aristotelicamente, forma del corpo, essa assume carattere sostanziale, separato. In questo contesto il πνεῦμα assume la funzione di un principio intermedio tra il materiale e l’immateriale, il quale ad esempio rende possibile all’anima la conoscenza degli oggetti materiali, che altrimenti non potrebbe entrare in diretto contatto con essi. Nelle traduzioni greco-arabe del Neoplatonismo, in particolare nel corpus della Teologia pseudo-aristotelica, ψυχὴ è tradotto nafs, mentre πνεῦμα è tradotto rūḥ Nel IX secolo il fisico e traduttore Qusṭā ibn Lūqā (m. 912) scrisse un trattato dal titolo Kitāb al-Farq bayn al-rūḥ wa-l-nafs (Libro sulla differenza tra lo spirito e
l’anima), nel quale diede l’esposizione di un modello nel quale la fisiologia stoica del πνεῦμα si
mescolava a quella di Galeno e, con essa, alla teoria etica della conoscenza di Platone: mentre lo spirito (rūḥ) è materiale, l’anima (nafs) è immateriale ed è potenzialmente capace, una volta purificata da tutti i residui di materia, di abbandonare il corpo; e il raggiungimento di questo obbiettivo è il compito della più elevata attività razionale; cfr. F. Gabrieli, “La risalah di Qustā b. Lūqā ‘sulla differenza tra lo spirito e l’anima’”, Rendiconti della Reale Accademia dei Lincei, Cl. Di scienze morali, storiche e filologiche, s. 5, vol. 19, Roma 1910, pp. 622-655. Per questa nota, cfr. G. Endress, “Platonizing Aristotle: The Concept of