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Il Kitāb al-Ḥikma al-Ḫālida

8. La Tavola di Cebete

A questo punto, si apre un’ampia sezione del testo recante il titolo Citazione di

Qābis di Platone (Ḏikr Qābis al-᾿Aflāṭūn). Si tratta della versione araba della Tavola di Cebete, uno scritto in forma dialogica, pervenutoci in greco, che ebbe vasta fortuna in

Europa, specialmente durante il Rinascimento.500

Quando il testo greco venne riscoperto alla fine del Quattrocento501

lo si attribuì acriticamente a Cebete tebano, discepolo di Socrate e personaggio del Fedone,502

principalmente sulla base della testimonianza di Diogene Laerzio, il primo dossografo ad averlo esplicitamente indicato come autore della Tavola (II 125) e del bizantino Suidae Lexicon503; ma dal momento che molti passi

496 Cfr. F. Rosenthal, Fīthāghūras, p. 930.

497 Cfr. Kraus, Jābir, I, 94, II, 45, n. 5; cfr. F. Rosenthal, Fīthāghūras, p. 930. 498

C. Baffioni, “Gli Iḫwān al-ṣafā᾿ e la loro enciclopedia”, in Storia della filosofia nell’Islam medievale, p. 458.

499 Cfr. F. Rosenthal, Fīthāghūras, p. 930.

500 Per questo capitolo e per le note bibliografiche, cfr. “Introduzione” in La tavola di Cebete, a cura di A.

Barbone, Napoli, 2010.

501 Il testo greco fu edito per la prima volta nel 1494, mentre del 1497 è la prima traduzione latina ad

opera di Ludovico Odasio; cfr. A. Barbone, La tavola di Cebete, pp. 8-9.

502

All’interno del Fedone, Cebete è uno dei discepoli presenti alla morte di Socrate ed assieme a Simmia è il principale interlocutore del maestro. Da questo dialogo, ed in particolare da un accenno alla sua frequentazione del pitagorico Filolao (61 d) si può forse indurre un suo possibile orientamento pitagorico. Per l’interpretazione in chiave pitagorica della Tavola, cfr. pagina successiva. Il personaggio di Cebete compare anche nel Critone (45 b), nel quale Platone lo vuole partecipante all’organizzazione della fuga di Socrate dal carcere; in Senofonte (Memorabili, 1, 2, 48) in cui si afferma che egli fu tra i più assidui frequentatori di Socrate; e in Aulo Gellio (2, 18, 4) in cui si tramanda la notizia secondo cui Cebete riscattò lo schiavo Fedone su consiglio di Socrate.

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del dialogo presuppongono scuole e dottrine posteriori all’epoca socratica – e specialmente dell’indirizzo cinico-stoico – ben presto questa attribuzione divenne problematica e tra Sette e Ottocento numerosi filologi – il primo dei quali fu il Drosihn504 – aggiunsero ai dubbi di carattere storico già esistenti delle prove di natura linguistica: molti termini presenti nell’opera, infatti, non erano mai stati utilizzati dagli autori classici. Di conseguenza, la Tavola di Cebete doveva appartenere a un’epoca posteriore.

Nel 1885 K. Praechter505

stabilì definitivamente la sua datazione a cavallo tra il I e il II secolo d.C., da un autore di ambiente stoico. L’unico altro Cebete di cui parlano le fonti è infatti il filosofo di orientamento stoico vissuto a Cizico nel II secolo d.C., contemporaneo di Luciano il primo scrittore antico a citare la Tavola. Tuttavia, le informazioni pervenuteci in merito a Cebete di Cizico sono talmente scarse da non consentire alcuna attribuzione sicura. Il fatto poi che le testimonianze di Diogene Laerzio e della Suida ne identificano l’autore con il pitagorico Cebete tebano, ha portato gli studiosi ad annoverare la Tavola di Cebete tra gli scritti definiti pseudo-pitagorici,506

di epoca ellenistica.

Anche nella versione araba l’opera è attribuita a Cebete, ovvero a “Qābis compagno di Platone”,507

e Cebete è anche il principale protagonista del dialogo, dando egli voce allo straniero senza nome della versione greca; assieme ad un gruppo di viandanti di passaggio in una città imprecisata, egli passeggia infatti nei pressi di un tempio di Crono (Zuḥal), finché una tavola appesa a dirimpetto di quest’ultimo non cattura la loro attenzione; essa contiene un disegno il cui significato sfugge alla compagnia; di lì a poco un vecchio (šayḫ) si avvicina a loro ed inizia a spiegarne l’allegoria. Il vecchio, che nell’originale greco resta senza nome, nella versione araba è chiamato Eracle; e questo a causa dell’esclamazione “Per Eracle!” del viandante al §4, scambiata dal traduttore arabo per un’invocazione in direzione dell’anziano (yā

᾿Īraqlīs!).

504 F. Drosihn, Die Zeit des Πίναξ Κέβητος, Neustettin, 1873.

505 K. Praechter, Cebetis Tabula quanam aetate conscripta esse videatur, Marbugi, 1885. 506

Tra coloro che rigettano l’appartenenza del dialogo alla tradizione pitagorica, D. Pesce, cfr. Id., “Introduzione” in La Tavola di Cebete, Brescia, 1982.

507 Nell’edizione araba della Tavola di Cebete curata da Elichmann e Saumaise, Leyda, 1640, il titolo è

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Un’altra differenza rilevante tra l’originale greco e la versione araba è contenuta nel §2; in esso, il vecchio racconta alla compagnia di viandanti di come la tavola fosse stata donata molto tempo prima da un sapiente straniero il quale era «emulatore nelle parole e nei fatti della vita pitagorica e parmenidea». Questo dettaglio, che ha spinto alcuni commentatori del testo greco – tra i quali Robert Joly508

– ad avanzare l’ipotesi di una interpretazione neopitagorica del dialogo e del tutto omesso nella versione greca; al suo posto, troviamo un riferimento alla sua origine lacedemone (min balādi

Lāqāḏāmūnyā) che non compare nel testo greco.

Il testo arabo, inoltre, contiene due paragrafi aggiuntivi, §42 e §43, che non compaiono in nessun codice greco. La prima traduzione latina della Tavola, portata a termine nel 1640 da Johann Elichmann sulla base del testo contenuto nell’opera di Miskawayh e pubblicata postuma da Claude Saumaise, incorpora in essa questi due inediti paragrafi.509

Si è ritenuto che la versione araba sia basata su un testo greco più antico di almeno quattro secoli rispetto al più antico manoscritto greco che ci sia pervenuto.510

9. Appendice alle massime dei Greci511

[pag. 265]

Alessandro conquistò una città, dopodiché ne radunò gli abitanti presso di sé e chiese loro a riguardo dei discendenti dei sovrani della stessa; essi risposero «Di loro

508 R. Joly, Le Tableu de Cébès et la philosophie religieuse, Latomus, Bruxelles-Berchem 1963.

509 Vedi anche D. Gutas, “Le tableau de Cébès. Témoignages arabes” in Dictionnaire des Philosophes

Antiques, vol. II, ed. R. Goulet, Parigi, 1994, p. 251. Una traduzione italiana di questi due paragrafi basata

sulla versione latina di K. Praechter, Κέβητος Πίναξ. Cebetis Tabula, Lipsiae, in aedibus B. G. Teubneri, 1893 – la quale si discosta notevolmente dalla prima edizione di Elichmann – si trova nell’edizione di A. Barbone sopracitata, pp 136-141.

510

Parisinus gr. 858; cfr. D. Gutas, “Le tableau de Cébès. Témoignages arabes”, p. 251.

511 Nel testo Tatimma Ḥikam al-Rūm. Questo titolo non si riferisce, in realtà, al dialogo immediatamente

seguente che vede come protagonisti Alessandro e il discendente dei sovrani della città conquistata, il quale resta privo di titolo proprio, ma introduce piuttosto l’intera sezione del capitolo Ḥikam al-Rūm successiva alla Tavola di Cebete; in questo modo, l’intero capitolo appare diviso in due parti: la prima, dal titolo Wa-min Ḥikam al-Rūm, che contiene tutto ciò che abbiamo esposto fino ad ora, compresa la

Tavola di Cebete; e la seconda, dal titolo Tatimma Ḥikam al-Rūm, che contiene tutto ciò che segue.

Segnalo che ῾A. Badawi, indicizza questa pagina come l’inizio di una sotto-sezione titolata Ḥikāyāt ῾an

Suqrāt wa-᾿Aflāṭūn, “Racconti tramandati da Socrate e da Platone”; basandosi sull’indice, questa sotto-

sezione dovrebbe comprendere quella porzione del testo che contiene il suddetto dialogo privo di titolo e quella parte titolata, nel testo, come Ḥikāyāt ῾an Suqrān, “Racconti tramandati da Socrate”. Sulla mia scelta riguardo alla traduzione della particella ῾an in questo e in casi simili, vedi infra, p. 168 n. 527.

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resta [soltanto] un uomo che abita nei cimiteri». Dunque lo convocò, ed egli venne da lui. Gli disse: «Cosa ti spinge verso questi cimiteri?». Rispose: «Desideravo vedere la differenza tra le ossa dei sovrani e quelle dei loro servi, e le ho trovate uguali».

Dunque Alessandro gli disse: «Sei in grado di seguirmi, cosicché io [possa] far rivivere il tuo onore e l’onore dei tuoi padri, se questa è la tua ambizione?».

E lui gli rispose: «La mia ambizione è grande». Chiese: «E che cos’è?».

Rispose: «Una vita che non porti con sé la morte, una giovinezza che non porti con sé la vecchiaia, una ricchezza che non abbia in sé la povertà, e un piacere che non abbia in sé il dolore».

Rispose: «Io non ho questo».

Disse: «Allora lascia che io segua colui che ce l’ha».