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Il testamento di Platone sull’educazione dei giovan

Il Kitāb al-Ḥikma al-Ḫālida

13. Il testamento di Platone sull’educazione dei giovan

La più antica notizia dell’esistenza di questo scritto ci è giunta da Ibn al-Nadīm. Nel Fihrist, infatti, troviamo la menzione di un trattato dal titolo fī ta᾿ḏīb al-aḥdāṯ attribuito a Platone.557

All’interno dell’opera al-Ḥikma al-Ḫālida è anche l’unico trattato

554 Come segnala D. Gutas in Id., Greek Wisdom Literature in Arabic Translation, p. 413, le altre fonti

arabe nelle quali compare questa sentenza sono: 1. PQ, pp. 192-194, Aristotele 65.7; 2. K 47v7-12, sezione V.iv, Omero.

555 Come segnala D. Gutas in Id., Greek Wisdom Literature in Arabic Translation, p. 413, Le altre fonti

arabe nelle quali compare questa sentenza sono: 1. PQ, p. 190, Aristotele 65.8; 2. IHc 68.13-15, Aristotele 36.

556 ᾿A. Badawī vocalizza mudāris, termine abbastanza inusuale che significa “colui che studia assieme

agli altri, condiscepolo”, oppure “colui che si sporca con i peccati”; il fatto però che si trovi in una lista in cui tutti i complementi di specificazione precedenti – introdotti dalla particella li (qui è mušāġib li-l-

mudāris) – sono al plurale, potrebbe suggerire che, anche in questo caso, si tratti di un plurale; in tal caso,

andrebbe vocalizzato madāris (pl. di madrasa), e tradotto “scuole”.

557 Ibn al-Nadīm, Fihrist, ed. Cairo, p. 344. Sempre nel Fihrist, p. 341, è menzionato anche un trattato

titolato fī ādāb al-ṣibyān, anch’esso attribuito a Platone e tradotto in arabo un certo Abū ῾Amr Yūḥannā ibn Yūsuf. Secondo Franz Rosenthal, si tratterebbe del medesimo trattato, cfr. F. Rosenthal, Some

Pythagorean Documents, p. 383 n. 1. L. Cheikho, nel suo Traités inédits d’anciens philosophes arabes, musulmans et chrétiens Beirut, 1911, pp. 52-58 ne pubblicò il testo, ma secondo Rosenthal la sua

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greco del quale Miskawayh indichi il traduttore arabo, Isḥaq ibn Ḥunayn. Anche qui, come nel Fihrist, il testo è attribuito a Platone; tuttavia, secondo Rosenthal, si tratta di un testo di natura neo-pitagorica. Sotto molti aspetti, in effetti, nella tarda antichità è difficile individuare una differenza sostanziale tra le dottrine neo-platoniche e quelle neo-pitagoriche. L’unica possibile distinzione generale che possiamo fare – fa notare Rosenthal – consiste nel fatto che i Neo-Platonici si sono occupati principalmente di metafisica o di filosofia ‘teoretica’; mentre, al contrario, i Neo-Pitagorici enfatizzarono maggiormente lo studio di scienze pratiche quali l’economia, la politica, la pedagogia e la matematica. Sotto il nome dei seguaci della scuola di Pitagora è in effetti possibile trovare un gran numero di opere pseudoepigrafiche dedicate a queste scienze, e il fatto che si abbiano così scarne notizie sulla maggior parte dei Pitagorici – tanto che si può dubitare della realtà storica di molti di loro – ha senz’altro contribuito all’attribuzione errata di molti testi a Platone e ai Platonici.558

Il testo che abbiamo di fronte è, al pari degli altri contenuti nell’opera al-Ḥikma

al-Ḫālida – e al pari dei Versi d’oro, l’altro testo sicuramente pitagorico dell’Ḥikam al- Rūm, se si esclude la Tavola di Cebete – un testo pedagogico; e senza dubbio Pitagora

fu, in epoca tardo-antica, considerato soprattutto nella veste di un educatore, come risulta in modo particolarmente evidente dalla Vita di Pitagora di Giamblico. Si supponeva che, oltre ai Versi d’oro, egli avesse scritto un trattato pedagogico: un Ἱερὸς λόγος a lui attribuito e del quale si è preservato il verso iniziale, esordisce come un’esortazione alla gioventù.559

Tuttavia, eccettuate un paio di espressioni che ricorrono nel testo e che sono state riconosciute da Rosenthal come greche che segnalerò nel commento, non abbiamo alcuna altra indicazione che ci faccia propendere per l’esistenza di un originale greco corrispondente alla waṣiya nel suo complesso.

Certamente, il compilatore arabo che si fosse proposto di redigere un falso testo platonico avrebbe dovuto prestare molta attenzione ai modelli greci per poter ingannare l’erudito del IX o del X secolo – fase storica nella quale, come fa notare Rosenthal, ogni buon letterato arabo era perfettamente in grado di distinguere tra una concezione greca e

fol. 106a-110° (M), a suo giudizio più comprensibile; cfr. F. Rosenthal, Some Pythagorean Documents, p. 383 n. 3.

558 Cfr. Ibid., p. 385. 559 Diogene Laerzio, VIII, 7.

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una non greca560 – ma, in linea di massima, non si può escludere che si tratti dell’opera di un falsario.

La forma con cui questa waṣiya si presenta – ovvero, quella di una serie di precetti reciprocamente indipendenti – è simile a quella di altri testi di origine neo- pitagorica: gli stessi Versi d’oro non sono nient’altro che un elenco di precetti. Si potrebbe quindi ipotizzare – per quanto lo stesso Rosenthal ammetta che si tratti di una mera congettura – che anche in questo caso ci si trovi davanti a una resa in prosa di un testo parenetico greco originariamente scritto in versi.

Il trattato è suddiviso in due parti tra di loro non strettamente connesse dal punto di vista tematico: la prima parte consiste in una serie di istruzioni rivolte agli educatori in merito al metodo con il quale rapportarsi ai loro allievi; la seconda parte, invece, contiene precetti di carattere generale che sono in alcuni casi sono limitati al rapporto dell’educatore con i suoi allievi. Non siamo in grado di stabilire, tuttavia, se il trattato si presentasse originariamente unito oppure se si tratti di due diversi trattati che sono stati uniti successivamente.

Per argomentare l’origine neo-pitagorica del trattato, Rosenthal ritiene che si debba andare alla ricerca di chiari riferimenti allo studio della matematica e della musica. Gli unici riferimenti ad entrambe le discipline sono racchiusi in un unico passaggio: «E desideriamo che essi si dedichino alla musica, poiché essa appartiene alle quattro scienze561», il quale è immediatamente preceduto da alcuni precetti che raccomandano l’equitazione, l’uso delle armi e l’apprendimento dell’arte della guerra – temi che non compaiono nei testi pedagogici neo-pitagorici che ci sono pervenuti.562

Rosenthal elenca una serie di possibili paralleli tra la questa waṣiya e la letteratura neo-pitagorica, facendo particolare riferimento alla Vita di Pitagora di Giamblico.563 Al termine della sua disamina egli conclude che, nel complesso, la waṣiya segue molto da vicino i modelli del Neo-Pitagorismo e che, nel caso i principali elementi che la compongono provenissero da un singolo trattato greco, è possibile che esso abbia inizialmente circolato sotto il nome di qualche Pitagorico piuttosto che sotto

560 Cfr. Rosenthal, Some Pythagorean Documents, p. 386.

561 Tra le quali, appunto, la matematica, cfr. Al-Ḥikma al-Ḫālida, p. 278. 562

Sebbene compaiano in alcuni scritti politici ed economici; cfr. Rosenthal, Some Pythagorean

Documents, p. 389.

563 Ho segnalato in nota al testo ogni parallelo tracciato da Rosenthal in Id., Some Pythagorean

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a quello di Platone; ma, pur ammettendo che egli fosse consapevole delle eco neo- pitagoriche presenti nel trattato, Miskawayh difficilmente avrebbe potuto considerare problematica la sua attribuzione a Platone. Sappiamo infatti che i filosofi arabi medievali avevano ben accolto il tema tipico del Neoplatonismo, presente in particolare in Giamblico e in Porfirio, della ripresa del senso profondo delle dottrine di Pitagora da parte di Platone.564

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Tradotto da Isḥaq ibn Ḥunayn. Disse:

«Non mi rivolgo alla classe superiore di filosofia e di retorica565

, né alla classe inferiore; ma aspiro alla classe mediana tra le due,566

dunque dico ciò che dico:

Certo è necessario che io pensi alla mia anima e la inciti all’adab, senza costringere altri alla mia riforma e alla mia educazione; infatti è presupposto dell’intelletto che io metta la mia anima nella posizione di colei che viene esaminata. Se lo farò, sarò tra coloro che sono corretti dall’adab. Forse che io non conosco me stesso e non sono sapiente ed autonomo nell’istruzione poiché fino a questo punto sono stato uno studente alla ricerca della sapienza?! Magari avessi conosciuto l’eloquente scrittore che arriva dopo di me, chiaro per le regole, confuso per il carattere e prescelto per gli antenati567

, e i significati del suo discorso, il quale

564 Cfr. C. D’Ancona, “La filosofia della tarda antichità e la formazione della «falsafa»”, pp. 22-24 e Id.,

“Le traduzioni di opere greche e la formazione del corpus filosofico arabo”, pp. 218-219, in Storia della

filosofia nell’Islam medievale.

565

Al-ṭabaqa al-῾aliya al-falsafa wa-l-balāġa (la classe superiore di filosofia e retorica) nel testo, contrapposta ad al-ṭabaqa al-dūn (la classe inferiore).

566 Al-ṭabaqa al-wasaṭiyy bayna al-ṭabaqatayni nel testo. Nonostante il fatto che la tendenza ad utilizzare

tripartizioni sia molto frequente negli scritti pitagorici (Ippodemo, per esempio, ne fa largamente uso nella sua opera politica, cfr. Aristotele, Polit. 1267 b 22ss) ciò non comporta di necessità che in questo particolare passo si debba attribuire a un’origine – o a un’influenza – pitagorica, primo perché tale tendenza è in generale molto comune anche al di fuori di questa scuola, secondo perché il concetto qui espresso non si ritrova in alcuno scritto pitagorico da noi conosciuto; cfr. Rosenthal, Some Pythagorean

Documents, p. 391.

567 E’ possibile che in questo passaggio il testo debba essere corretto. Il termine mutaḥayyir (confuso,

perplesso) potrebbe in realtà essere un altro mutaḫayyir (prescelto, eletto), nel qual caso si tratterebbe di un individuo «eletto per il carattere e per gli antenati».

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è adeguato come tramite tra i maestri e gli allievi e persuade i due gruppi insieme, dunque è gradito dalla classe superiore ed educa la classe che sta al di sotto di essa tra le inferiori, senza aborrire quella né biasimare questa, né onorare questa ossessivamente né allontanare questi con l’intimidazione ed il terrore, e non corregge quelli con la confusione, né usa con questi trascuratezza e noncuranza, poiché egli livella le due [classi]: mi riferisco all’autorità educata, e la riflessione educata in conformità con ciò che essa insegna di me affinché sia fatto conoscere loro ciò che io ho comandato.

O voi che dimorate in questa educazione! Siate maestri ed educatori, comprendete ciò che vi raccomando e ciò che vi impongo: affinché la vostra condotta con i vostri discepoli sia una condotta onesta, né più né meno. E su Dio – creatore di ogni adab e di ogni scienza568

– io giuro a voi e rigiuro a voi: non oltrepassate i limiti, conoscete le vostre abitudini, proteggete il grado delle vostre cariche, conformatevi al chiarore psichico.569

E siate per questi discepoli uno specchio luminoso570

, siate l’indicazione571

della loro libertà affinché siano educati alla libertà, e allontanateli da ogni turpe bassezza e da ogni forte desiderio, causa di sofferenza e di morte. E trattenetevi dai forti desideri riprovevoli, dal commettere peccati572

, e non deviate dalla bontà della loro supervisione. E vi sia un rapporto tra voi e le sofferenze dell’anima573

, poiché l’ardore e la superbia provengono da esso.574

E non avvicinatevi a nessuna delle cose che vi potrebbero rendere oggetto di biasimo, e non siate la causa di un’abitudine

568 Al-munši᾿ li-kull ᾿adab wa-῾ilm nel testo. (n-š-᾿) 569 Ḍiyā᾿ al-nafsānī nel testo.

570

Mirā muḍī᾿a nel testo. Questa particolare espressione, che ricorre di nuovo più avanti nella medesima

waṣiya, vedi infra, p. 186 n. 623, è un luogo comune della letteratura pedagogica greca; cfr. F. Rosenthal

in Orientalia, N. S. IX, 1940, p. 188s. Essa, assieme all’espressione, che troveremo più avanti, «la vostra amicizia non sia alterabile e incostante come le alterazioni della luce della luna, ma sia piuttosto simile al sole, la cui luce costante mai accresce né diminuisce», vedi infra, p. 185 n. 618, è utilizzata da Miskawayh in altri luoghi delle sue opere; entrambe sono tratte da un’opera di al-Kindī, che è, a sua volta, di origine greca, cfr. Orientalia, loc. cit. Se nel testo originario esse sono «parti integranti del contesto», lo stesso non può dirsi in questa waṣiya, dal momento che potrebbero essere facilmente omesse senza alcun danno al senso generale del discorso. Partendo da ciò, Rosenthal suggerisce che esse potrebbero benissimo essere state aggiunte da Miskawayh al testo; cfr. F. Rosenthal, Some Pythagorean Documents, p. 387.

571 Dalīlan nel testo. 572

Af῾āl al-ḫaṭāyā nel testo.

573 Al-ālām al-nafsaniyya nel testo.

574 Rosenthal, suppongo correggendo il testo, traduce: «Let no relation between you and the “griefs”

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riprovevole dei vostri discepoli, e non allietateli [facendoli] mangiare con voi, e non dite nulla che sarebbe sgradevole di fronte a loro, e non abbiate con loro alcun segreto e ritrosia. Dunque se educate loro, allora non pronunciate loro alcun discorso che sia nascosto al resto del gruppo che è in vostra presenza. E non cercate scampo tramite inganni, non cercate il loro favore tramite regali ed unioni, non ridete loro in faccia e trattateli secondo il loro merito, ed istruiteli a meno che non decadano dai loro gradi di conoscenza, poiché decadreste voi [stessi] dai vostri gradi di istruzione, e non riempite[li] di sogni

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notturni575

e di ombra evanescente576

, né del piacere che non perdura, poiché corrompereste la vostra purezza e l’autorità della vostra istruzione, e abbiate pudore con loro, e custodite, onorate, proteggete voi [stessi] ed anche i vostri discepoli con raccomandazioni che siano al di sopra di ogni maldicenza e diffamazione. E abituateli a servirvi e a servire ogni persona e cosa che vi sia simile tra ciò che è di valore, dunque non proibite ciò a loro. E non educateli all’adab se non a tempo debito e secondo verità, e di modo che in questo non vi capiti [di avere] alcun dubbio né esitazione sul fatto che voi possiate opprimerli e oltrepassarli. E se vi vantate li sminuite, e se siete superbi li svalutate, e non siate delicati come dei padri con quelli tra loro che sono spavaldi, e non amateli dell’amore che riservate a chi tra voi possiede il vostro stesso lignaggio. Ma educateli come educhereste degli estranei, e per prima cosa cominciate facendoli esercitare. E se qualcuno della loro gente e della loro famiglia vi impedisce di educarli, e vi chiede anche di essere indulgenti e delicati con loro, allontanateli da voi. E la vostra correzione su di loro e le vostre percosse su di loro non siano [basate] sulla collera o sul disordine577, e non trascurateli con negligenza e scarsa sollecitudine, non procedete senza ordine, non lasciateli senza la conoscenza dei loro limiti. E attenti a voi e al

575 Ru᾿an al-layl nel testo. 576 Al-ẓill al-zā᾿il nel testo.

577 Giamblico, Vita di Pitagora, 197. Rosenthal segnala inoltre che anche ῾Umar ibn ῾Abd al-῾Azīz disse a

qualcuno: «Were I not enraged, I would punish you», cfr. Ibn al-Ğawzī, Kitāb Talbīs al-Iblīs, Cairo, 1921, p. 157. Traggo le informazioni bibliografiche di questa nota, da F. Rosenthal, Some Pythagorean

Documents, p. 390. Dallo stesso articolo sono tratte le informazioni bibliografiche di tutte le note a questa waṣiya.

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contemplare i loro corpi e il tratteggio delle loro forme578. E ogni volta che voi li amate e aumentate l’attenzione nei loro confronti, li portate al rango di nemici. E non dimenticate che l’istruzione spirituale579

precede la generosità mondana. E curateli, se hanno bisogno medicine, con farmaci calmanti per purificare le loro menti580, affinché l’onore e la gloria siano per loro ciò per cui traggono vantaggio dalle vostre conoscenze. E abituateli a difendersi dai cibi che generano la dimenticanza, come le fave, i fagioli, l’aglio, e il veleno mortale quale è il coriandolo, e ogni specie di cibo simile a questi.581

E abituateli affinché non mangino se non in tempi stabiliti e ristretti582

, e i cibi delicati.583

E ammoniteli

578 Ṣūr-hum nel testo. Vedi infra, p. 167 n. 523. 579

Al-ta῾līm al-rūḥānī nel testo. Nelle traduzioni del circolo di al-Kindī dei testi neoplatonici pseudo- aristotelici, i termini greci νοερός e ἀσώματος vengono tradotti con rūḥānī, termine arabo che assume il valore di un predicato positivo laddove il termine greco ἀσώματος è invece negativo. Assistiamo quindi, in queste traduzioni, a una modifica del senso del testo greco originario. Il termine arabo rūḥānī va infatti a denotare il regno degli esseri “spirituali” intelligibili, inteso in un’accezione religiosa monoteistica. Nelle traduzioni arabe il termine ἀσώματος si sovrappone dunque al termine πνευματικός, che ha invece valore positivo, ed è più vicino nel suo significato al termine siriaco rūḥāyā, rūḥānāyā, all’interpretazione del termine rūḥ dei cristiani arabofoni ed infine al suo uso coranico (vedi infra, p. 129 n. 378). Il senso positivo che nel Neoplatonismo arabo assume il termine rūḥānī è particolarmente evidente in alcuni

interpretamenta e corollaria del Plotino e del Proclo arabo, dove compare come epiteto del divino

(ϑεῖος), di ciò che è trascendente, immateriale ed intelligibile, anche in assenza di un immediato corrispondente nel testo greco. Questo fatto rientra nella più generale tendenza, nella formazione del corpus del Proclo Arabo da parte del circolo di al-Kindī, a re-interpretare e semplificare i concetti della teologia platonica – e delle sue elaborazioni da parte di autori quali Alcinoo, Galeno, Alessandro di Afrodisia e Giovanni Filopono – al fine di renderla compatibile con una teologia monoteista e creazionista. Nella dossografia dello pseudo-Ammonio, un'altra opera appartenente a questo ambiente, il termine rūḥānī indica le più elevate sostanze intelligibili. La prima tradizione gnostica araba e la speculazione magica ed alchemica – influenzata dal dualismo gnostico tra πνεῦμα e σῶμα e dalle teorie emanazioniste del Neoplatonismo – potrebbero aver avuto un ruolo nel determinare l’uso del termine

rūḥānī nelle prime traduzioni dei testi filosofici. Questo vale anche per le traduzioni dei testi pseudo-

aristotelici, nelle quali il termine rūḥānī viene utilizzato in perfetta concordanza con lo gnosticismo neoplatonico, ma anche per le traduzioni delle opere autentiche di Aristotele. Nella prima traduzione araba del De Caelo di Yaḥtā ibn al-Biṭrīq, ad esempio, ritroviamo rūḥānī in luogo di ἀσώματος, (ğirm)

rūḥānī in luogo di (τὸ) ϑεῖον (σῶμα), al-rūḥāniyyūn e al-rūḥāniyya in luogo di τὸ ϑεῖον. L’interpretazione

religiosa del termine rūḥānī è confermata dal fatto che, sia nelle traduzioni aristoteliche, sia nel Proclo e nel Plotino arabo, in riferimento al divino si utilizzano, oltre al termine rūḥānī, anche i termini šarīf e

karīm, che sono appunto attributi coranici di Dio; cfr. G. Endress, “Platonizing Aristotle”, pp. 270- 279.

580 Giamblico, Vita di Pitagora, 163; 244. Così come accadeva presso i Pitagorici, vediamo qui la pratica

della medicina connessa con l’educazione. Pitagora come autore di un’opera dedicata alle erbe medicinali è menzionato da Plinio il Vecchio, Nat. Hist. XIX, 94; XXIV, 156 ss. ; XXV, 13.

581 Giamblico, Vita di Pitagora, 106. Rosenthal segnala anche la ricca collezione di estratti

sull’argomento raccolta in Ibn al-Bayṭār, vol. 2, ed. J. Von Sontheimer, Stoccarda, 1840-1842, p. 372 ss. I precetti alimentari in generale – e quello relativo alle fave in particolare – sono, com’è noto, tipici della letteratura pedagogica pitagorica; sia le fave sia il coriandolo, tuttavia, sono considerati causa della perdita della memoria anche nella letteratura araba, cfr. I. Goldziher, Muhammedanischer Aberglaube

über Gedachiniskraft und Vergesslichkeit, Festschrift A. Berliner, Francoforte sul Meno, 1903, p. 131 ss;

cfr. F. Rosenthal, Some Pythagorean Documents, p. 393.

582 Giamblico, Vita di Pitagora, 203.

583 Così traduce Rosenthal: «Accustom them not to eat tender victuals, except at fixed and limited times»,

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dall’ingordigia, dall’ubriachezza e dall’uscita dalla moderazione.584

E incitateli alla disposizione verso tutto ciò che è buono e il cui stato si conforma alla loro conoscenza. E prevenite loro da una visione distratta e insubordinata che conduce verso la dissolutezza. E non lasciateli liberi di camminare velocemente e stupidamente. E scegliete tra loro un capo che sorvegli [gli altri]; [fate sì che] egli abbia il posto più importante585, che sia ricco o povero, bello o brutto. E non interessatevi alla bellezza dell’aspetto accompagnata alla bruttezza del comportamento, ma interessatevi alla bellezza delle azioni. E che chi si occupa di questi giovani sia [una persona] degna di fiducia, un sapiente intelligente e venerando, non conosciuto per le sue cattive frequentazioni e per la bruttezza della sua condotta, né per la corruzione del suo modo di agire. E non fate accompagnare i favori alle azioni brutte, e teneteli separati tra loro. Dunque se cogliete un esempio di questo capo caratterizzato da belle qualità, non vi è alcun danno nel mettere in sua mano i loro beni e le loro proprietà, affinché egli ne disponga in loro vece. E accogliete ognuno di coloro che state educando con l’educazione che più gli si addice. E la vostra educazione su di loro non sia diversa dal buon senso e dall’ordine. Imponi su di loro ciò di cui sono capaci dell’educazione, e non