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Accanimento terapeutico ed eutanasia Problematiche legate agli avanzament

culturali e scientifici

G.A. MARRARO

S.C. di Anestesia e Rianimazione – Terapia Intensiva Pediatrica. A.O. Fatebenefratelli ed Oftalmico, Milano E-Mail:gmarraro@picu.it

I due problemi principali che il medico deve affrontare, nel trattamento del malato, sono legati alla decisione clinica di applicare o no un trattamento

e se è conveniente continuare a trattare un malato nel caso in cui può essere indicata la sospensione dei trattamenti e di assisterlo con terapia placebo sino alla morte per l’irreversibilità della sua malattia.

La possibilità di applicare un determinato trattamento può derivare da due tipi di conoscenza. La prima, empirica, è acquista dal medico nel tempo, spesso in modo autonomo ed autoreferenziantesi; la seconda deriva dalla medicina legata all’evidenza (evidence-based medicine). Nel primo caso è soltanto il giudizio personale del medico che fa decidere sull’applicazione di un dato trattamento, mentre nel secondo, i trattamenti applicati ed applicabili hanno avuto un chiaro riscontro in ampi studi clinici controllati (evidence- based medicine).

In genere, tanto più un ambiente è qualificato e all’avanguardia più i trattamenti sono standardizzati e soggetti a protocolli e linee guida. Nelle scelte terapeutiche quotidiane, in questi ambiti, si fa largamente riferimento ad ampi studi clinici controllati che hanno confermato la validità della terapia su un gran numero di malati. Questo tipo d’approccio, spesso, si scontra con il persistere di un atteggiamento empirico e di una gran discrezionalità nella scelta dei trattamenti da parte di alcuni medici, che tende a tenere poco in considerazione quello che va oltre la sua personale esperienza quotidiana. E se l’empirismo fa correre il rischio al malato dell’applicazione di un tratta- mento non convalidato da ampi studi clinici controllati, dall’altro il relegare i trattamenti possibili alla sola evidence-based medicine può privare il malato di una possibilità terapeutica che può essere utile per il trattamento della sua patologia. Infatti, se ci si fosse attenuti strettamente all’applicazione di trattamenti confermati dall’evidence-based medicine, l’impiego dell’ossido nitrico, della HFOV, della ventilazione a polmoni separati e tante altre terapie che fanno parte del bagaglio operativo di molti qualificati centri, non si sareb- bero mai potuti testare ed applicare. Ed alcune patologie, per le quali simili trattamenti hanno dimostrato un’elevata selettività d’impiego, non sarebbero ancora trattabili e risolvibili.

Dovendo effettuare una scelta, se trattare o no, è necessario conoscere i benefici che possono derivare da un trattamento e come questo possa giunge- re al successo, evitando illusioni inutili. Due cose vanno tenute chiaramente in mente nell’operare questa scelta:

1. Non è etico prolungare un’agonia e far sopravvivere un malato grave- mente e irreversibilmente compromesso;

2. Alcuni malati devono essere trattati perché la loro patologia possa es- sere adeguatamente studiata (specialmente se questa patologia è poco nota e si hanno pochi riferimenti terapeutici) e valutata nelle nuove possibilità di trattamento offerte dalla continua evoluzione scientifica e tecnologica.

Altra importate problematica che si deve affrontare riguarda gli avanza- menti tecnologici e terapeutici che intervengono nella pratica clinica e la ra- pidità con cui questi riescono a portare ad un reale cambiamento nella terapia

Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Verona 2004 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Verona 2004 quotidiana. La mancata applicazione di un trattamento può determinare la morte del malato mentre dall’altro lato può rappresentare un accanimento inutile, rappresentando la malattia attuale lo stadio finale di un processo mor- boso irreversibile.

Un’ampia discussione è continuamente aperta sulla recezione dei cambia- menti scientifici e terapeutici che avvengono e sul tempo necessario perché un determinato ambiente riesca ad introdurli nella pratica clinica. Le resisten- ze ai cambiamenti sono tali e tanti perciò le mutazioni di attegiamento avven- gono in archi temporali a volte non compatibili con i malati da trattare.

Per poter meglio mettere a fuoco l’argomento si fa riferimento ad alcune esperienze che hanno determinato mutamenti importanti nel modo di trattare alcune patologie e sulle scelte precise che di volta in volta si è dovuto fare sino a giungere all’attuale atteggiamento clinico e terapeutico.

Sino agli anni ’70 (e in alcune realtà operative italiane, probabilmente ancora oggi!) molte malformazioni congenite del neonato non erano ritenute trattabili chirurgicamente. Da un lato mancava la conoscenza tecnica su come affrontarle, ma, in modo più importante, influiva la mancanza di un suppor- to anestesiologico ed intensivo postoperatorio che potesse permettere un adeguato trattamento una volta superato l’intervento chirurgico. Per questo motivo alcuni di questi piccoli affetti da gravi e complesse malformazioni, si consideravano non passibili di trattamento e quindi erano considerati termi- nali quando la loro patologia, nella naturale evoluzione, mostrava degli aggra- vamenti. Con l’avvento delle nuove tecnologie (ventilatori dedicati, sistemi di monitoraggio, ecc.), dei materiali altamente biocompatibili (tubi endotra- cheali, cateteri endovenosi, ecc.), con l’acquisizione di manualità qualificata nell’applicazione e nell’impiego delle metodiche invasive e non invasive, con l’avanzamento delle conoscenze fisio-anatomiche, con il progressivo svilup- po della cultura medica e infermieristica, e con la possibilità di poter disporre di strutture sanitarie qualificate (sale operatorie e terapie intensive), è stato possibile da una lato effettuare interventi chirurgici ritenuti in predenza non possibili, ottenendone brillanti risultati, e dall’altro spostare l’indice di non trattabilità per patologie giudicate poco tempo prima non trattabili.

All’inizio degli anni ‘70, il trattamento dei neonati prematuri era limitato soltanto a quelli di peso superiore a 1.5 kg, con il suggerimento, in caso di neonati al di sotto di questo peso, di non applicare alcuna manovra rianima- toria. La rapida evoluzione nei trattamenti (per es. scoperta del surfattante e sua applicazione a largo raggio negli anni ‘80) e lo sviluppo di tecnologie bio- mediche sempre più avanzate, ha fatto si che neonati sempre più piccoli per età gestazionale e peso possono essere rianimati e trattati intensivamente. Il tutto sino a raggiungere nel 1991 in Giappone alla formulazione dell’Eugenic Protection Act in cui è stato definito per questo paese la 21 settimana di vita come limite per la rianimabilità del neonato altamente prematuro.

L’arrivo dell’era dei trapianti ha rivoluzionato ancora una volta il limite d’irrecuperabilità di una larga fascia di malati affetti da patologie ritenute, solo alcuni anni prima, incurabili. Per es., sin dal 1985 in poi anche in Italia,

le complicanze respiratorie del bambino leucemico trattato nella fase acuta con chemioterapici e del bambino dopo trapianto di midollo osseo, ritenute pochi anni prima non passibili di terapia intensiva, hanno trovato delle rispo- ste terapeutiche positive che sono evolute rapidamente sino alla possibilità di trattare questo tipo di patologia. Dal 1990 in poi i trattamenti intensivi in que- sto ambito sono stati sempre più qualificati ed efficaci permettendo il recupe- ro di un più ampio numero di malati. Dal 2000 in poi, è stato possibile trattare l’insufficienza respiratoria di questo tipo di malati con supporti ventilatori non invasivi con risultati ancora migliori rispetto ai precedenti trattamenti.

Ed infine è bene valutare cosa sta cambiando nell’approccio e nel trat- tamento dei malati con patologia oncologica. Il trattamento chemioterapico sempre più mirato e con minori effetti collaterali, l’aumento delle possibilità di trattamento chirurgico e l’applicabilità di tutti gli altri trattamenti proposti per combattere questo grave male, una volta ritenuto incurabile, hanno fatto si che la prognosi di patologie, una volta ritenute intrattabili, potessero avere un risultato diverso a media distanza e probabilmente a lunga distanza. Per esempio, l’assistenza ed il trattamento del tumore polmonare broncogeno invadente ed ostruente, una volta considerato non passibile di trattamento quando si manifesta il collasso lobare o peggio ancora l’esclusione polmona- re, oggi può disporre di nuove possibilità terapeutiche, quali l’applicazione di stent per disostruire il bronco, la laser terapia mirata, accompagnati dalla terapia antiblastica e dalla terapia radiante, che permettono la sopravvivenza con buona qualità di vita di malati che sino a qualche anno fa erano conside- rati irrecuperabili e quindi non più da trattare.

Risulta difficile realmente difficile, se non si dispone di conoscenze scien- tifiche e terapeutiche realmente avanzate, effettuare scelte operative oneste e sicure per il malato che è affidato alle nostre cure. Definire il malato non più trattabile deve essere frutto di un lavoro collegiale, che valuti obbiettivamen- te le conoscenze nostre e/o di altri che possono prendersi cura del malato in modo più avanzato di noi. Non sempre è facile per ciascun operatore rico- noscere obbiettivamente i propri limiti o quelli della struttura in cui opera. A volte questo riconoscimento rappresenta una pesante frustrazione, perciò si tenta di mascherare questi limiti con degli “arrangiamenti” o con delle “chiusure” che possono condizionare i trattamenti possibili per lo specifico malato. Spesso, per fattori al di fuori della nostra volontà, la nostra conoscen- za è limitata e in ritardo con gli aggiornamenti terapeutici. Questo da un lato fa si che la decisione finale terapeutica sia difficile da prendere e dall’altro la scelta può non corrispondere completamente alle necessità del malato per il reale trattamento della sua patologia.

La definizione di malato in fase finale deve avvenire quando realmente tutte le opzioni terapeutiche, nostre e degli “altri”, sono state attentamente valutate. Tante aspettative nascono ogni giorno in rapporto ai progressi della scienza e della tecnica, ma non sempre esse possono avere una risposta ade- guata. In ogni caso, il “non c’è più nulla da fare” deve essere emesso quando realmente non è possibile prospettare altre soluzioni terapeutiche.

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La ventilazione non invasiva nell’insufficienza

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