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L’ipossiemia e l’ipercapnia in terapia intensiva

P. CERIANA

Divisione di Pneumologia Riabilitativa e Terapia Intensiva Respiratoria IRCCS Fondazione “S.Maugeri” – Istituto Scientifico di Pavia E-Mail: pceriana@fsm.it

L’apparato respiratorio si può considerare schematicamente composto da una membrana di scambio, il parenchima polmonare, e da una pompa ventila- toria composta principalmente dalla gabbia toracica e dai muscoli respiratori. Mentre le patologie a carico della prima generano prevalentemente quadri ipossiemici, la compromissione della seconda rende inefficace la clearance della anidride carbonica con prevalente ipercapnia.

Per quanto difficilmente si verifichino in ambito clinico quadri puramente ipossiemici o ipercapnici, trattandosi in genere di quadri misti, si può ac- cettare, per schematizzare, la classificazione tradizionale dell’insufficienza respiratoria in ipossiemica ed ipercapnica. L’approccio clinico a queste due situazioni, indipendentemente dalla patologia di base che l’ha determinato, è radicalmente differente, non solo per le possibili ripercussioni cliniche, ma anche per la velocità di evoluzione e di instaurazione dei quadri stessi. Infatti, mentre l’ipossiemia determina un quadro di sofferenza dei parenchimi nobili e quindi possibili danni a carico di encefalo, cuore, rene, fegato ecc., le riper- cussioni dell’ipercapnia sono essenzialmente a carico dello stato di vigilanza, potendo evolvere fino al coma carbonarcotico, nei casi estremi, ma senza rap- presentare nel brevissimo termine un pericolo per la vita. Per quanto riguarda la tempistica di instaurazione, è ben noto dalla fisiologia che, anche in condi- zioni di totale arresto della ventilazione, l’ipercapnia si sviluppa lentamente, salendo l’anidride carbonica di circa 3 – 4 mmHg per ogni minuto. Diverso è il discorso per l’ipossiemia che, in caso di arresto della ventilazione, si instau- ra in 1 minuto circa; infatti l’ossigeno contenuto nel nostro “reservoir” fisio- logico, la capacità funzionale residua (FRC), diffonde rapidamente negli al- veoli, e si esaurisce nel suddetto lasso temporale. Questo ovviamente avviene più rapidamente nelle patologie restrittive rispetto alle ostruttive, in ragione delle opposte variazioni della FRC che si verificano nei diversi quadri clinici. Tutto questo rende ragione del differente approccio terapeutico all’ipossiemia che in genere è più aggressivo e interventistico, rispetto a quello nei confronti dell’ipercapnia che può anche essere più “attendistico”.

Cardine del trattamento dell’insufficienza respiratoria è la ventilazione artificiale, che si propone come scopi quelli di correggere l’ipossiemia, l’iper- capnia e di alleviare il lavoro respiratorio. Tale metodica può essere applicata secondo diverse modalità, applicando dall’esterno una pressione negativa (polmone d’acciaio, poncho, corazza) oppure applicando una pressione positiva direttamente nelle vie aeree, come avviene nella maggior parte dei casi, rispettivamente in maniera invasiva, quando l’interfaccia tra paziente e ventilatore è il tubo tracheale o la cannula tracheotomica oppure in modalità non invasiva, quando l’interfaccia è una maschera facciale, nasale o un casco. Quest’ultima tecnica, in particolare, ha avuto negli ultimi anni un enorme sviluppo e popolarità a causa della sua efficacia, semplicità d’uso e ridotta incidenza di complicanze, in primo luogo infettive a carico delle vie aeree. Tuttavia, è fondamentale tenere ben presenti le reali indicazioni, controindica- zioni e limiti della ventilazione non invasiva in modo da ottimizzarne l’impie- go nelle diverse realtà cliniche. Infatti per quanto riguarda il suo impiego nelle forme di insufficienza respiratoria ipercapnica sostenute da riacutizzazioni di broncopneumopatia cronica ostruttiva, almeno sette studi randomizzati e con- trollati ne hanno evidenziato l’efficacia in termini di riduzione della necessità di intubazione, di sopravvivenza, di incidenza di complicanze e di durata di

Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Verona 2004 Atti del Congresso S.I.A.R.E.D. - Verona 2004 degenza ospedaliera, al punto che le recente Consensus Conference sulla ven- tilazione non invasiva ha concluso che questa metodica dovrebbe rientrare nel trattamento standard dell’insufficienza respiratoria ipercapnica in aggiunta alla terapia medica. Questo è abbastanza facilmente spiegabile sulla base del meccanismo fisiopatologico dell’ipercapnia nel paziente BPCO, in cui la ridu- zione di forza muscolare legato all’alterazione della geometria diaframmatica unito all’aumentato carico soglia della peep intrinseca spiegano lo scompenso della pompa ventilatoria con riduzione della ventilazione alveolare. In questo caso il ventilatore funziona come muscolo respiratorio aggiuntivo, e ripristina l’efficacia della pompa ventilatoria.

Diverso è il discorso per l’ipossiemia, che rappresenta un grosso “om- brello” sotto il quale si annidano patologie parenchimali opposte in termini etiopatogenetici e prognostici. Infatti è impensabile che una polmonite, un’ARDS o un edema polmonare cardiogeno possano allo stesso modo bene- ficiare della ventilazione non invasiva. Infatti l’erogare ossigeno a pressione positiva potrebbe contribuire a correggere l’ipossiemia, ma senza influire sul meccanismo che sta alla base del disturbo emogasanalitico (alterazione ventilazione/perfusione, shunt) che invece dipende solo dalla risoluzione del processo primitivo

Questo spiega la non univocità di risultati positivi ottenuta fino ad ora nelle sindromi ipossiemiche, per lo più limitati nel trattamento dell’edema polmonare cardiogeno e delle polmoniti nei pazienti immunocompromessi. Grande prudenza va pertanto esercitata nel paziente ipossiemico, soprattutto per evitare di posticipare inutilmente e pericolosamente una intubazione ine- vitabile.

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