• Non ci sono risultati.

1.2.6 «Adattare il periscopio all’orizzonte»: il lungo sguardo di Pasolin

Le considerazioni pasoliniane di ambito sociologico e sociolinguistico fin qui considerate, così come altre formulate dall’autore nello stesso periodo, si sono rivelate col tempo assai più coerenti e lucidamente razionali di quanto il suo impeto critico ed enfatico abbiano spesso lasciato intuire. Solo gli sviluppi linguistici contemporanei hanno infatti portato a compimento, mostrandoli in tutta loro evidenza, alcuni dei fenomeni anticipati da Pasolini nelle Nuove questioni linguistiche, dove questi venivano presentati come imminenti o addirittura già in corso («vagisce appena il nuovo italiano nazionale»118)

mentre in realtà hanno avuto bisogno di un tempo assai più lungo per giungere al loro completo dispiegamento.

Innanzitutto, si è effettivamente assistito al progressivo distacco (evidenziato da Pasolini quando era ancora incipiente) della lingua nazionale dalla sua storica soggezione letteraria:

che la letteratura abbia perso, forse proprio a partire dall’epoca dell’intervento pasoliniano o comunque non molti anni dopo, la sua funzione di modello, di punto di riferimento dello

116 P.P. Pasolini, Lettere luterane cit., p. 42. 117 Ibidem

118 P.P. Pasolini, Vagisce appena il nuovo italiano nazionale, in O. Parlangeli (a cura di), La nuova questione della

100

standard, è un dato che è stato poi acquisito dalle ricerche posteriori (anche tra coloro che […] giudicano fallite le previsioni pasoliniane).119

Paolo D’Achille cita a conferma di questo fenomeno un dato interessante, sottolineando come a partire dalla pubblicazione di questo saggio sia venuto meno l’uso dell’espressione «italiano letterario» come sinonimo di «italiano standard»120, il che è

sintomatico della (misconosciuta) influenza che andrebbe invece riconosciuta a questo contributo linguistico di Pasolini.

I suoi tentativi impressionistici di analisi sociolinguistica si sono infatti dimostrati validi su più fronti, a partire dalla progressiva invadenza dei linguaggi tecnici, i cui termini mostrano oggi una maggiore penetrazione nel linguaggio comune rispetto al passato121 (si

vedano ad esempio il linguaggio dell’informatica o quello dell’economia) fino alla diminuzione della ricchezza di forme concorrenti in italiano122 e all’affermarsi di «una

sintassi di sequenze progressive, profondamente nominale»123; a questo proposito, basti

osservare come Gaetano Berruto, nella sua descrizione delle caratteristiche dell’italiano neostandard, parli sia di una «semplificazione e omogeneizzazione dei paradigmi», con relativa «riduzione e diminuzione delle irregolarità»124, sia di una spiccata tendenza allo

stile nominale nell’italiano contemporaneo:

Nel quadro di una tendenza a un periodare meno sintatticamente elaborato e giocante su un numero relativamente ridotto di connettivi fondamentali di largo spettro semantico e polifunzionali, è stato da molti notato un deciso incremento della nominalizzazione, sia sotto forma di frasi nominali vere e proprie, sia sotto forma di un aumento dei costituenti nominali di una frase.125

Ancora, se secondo Pasolini le industrie erano destinate a sostituire i «i monasteri, i municipi, le corti e le università»126 come centri di innovazione e diffusione culturale-

linguistica, oggi D’Achille rileva come le previsioni pasoliniane siano state addirittura superate dai mutamenti intervenuti nella realtà odierna:

Ebbene, in questo caso siamo andati oltre le previsioni pasoliniane: l’università e la scuola di oggi sono infatti considerate aziende, e in parte lo sono anche diventate: un semplice confronto

119 P. D’Achille, L’italiano per Pasolini cit., p. 64. 120 Cfr. Ivi, p. 62.

121 Berruto cita proprio le profezie pasoliniane quando sottolinea «l’ovvio incremento dei linguaggi settoriali in concomitanza con i mutamenti della società postindustriale»; G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano

contemporaneo cit., p. 100.

122 D’Achille osserva che «la riduzione (drastica, anche se non assoluta) della polimorfia – che caratterizzò già le correzioni manzoniane – è unanimemente considerata uno dei tratti caratteristici dell’italiano contemporaneo rispetto a quello della tradizione». (P. D’Achille, L’italiano per Pasolini cit., p. 63, n. 41). 123 P.P. Pasolini, Vagisce appena il nuovo italiano nazionale cit., p. 170.

124 G. Berruto, Sociolinguistica dell’italiano contemporaneo cit., p. 83. 125 Ivi, p. 91.

126 A. Barbato, Pasolini sciacqua i panni nel Po, in O. Parlangeli (a cura di), La nuova questione della lingua cit., p.112.

101

tra i testi ‘burocratici’ (leggi, circolari ministeriali, ecc.) di ieri e quelli di oggi, infarciti di anglicismi aziendalistici, ci porterebbe a dare ancora più ragione a Pasolini, che pure non aveva previsto le tre I (inglese, informatica, industria) su cui si sarebbe dovuta basare la scuola del Duemila.127

Un altro aspetto della riflessione pasoliniana meritevole di attenzione è il già ricordato interesse di Pasolini per il destino dei dialetti nel generale sconquasso sociopolitico di quegli anni: con assoluta competenza storico-linguistica, lo scrittore fa riferimento alle «diverse vicende storiche regionali, che hanno prodotto varie piccole lingue virtuali concorrenti, i dialetti, e le successive dialettizzazioni della koinè»128, ossia i

differenti italiani regionali, per poi constatare la grave crisi della dialettalità conseguente allo spostamento del prestigio linguistico dall’area dialettale romanesco-napoletana ai centri industriali del Nord, i cui linguaggi tecnici erano assurti a emblema di progresso e avanzamento sociale.

Da questo punto di vista, la profezia di Pasolini rispecchia, pur nella sua personale declinazione di un’italianizzazione “tecnologica”, la diffusa percezione di un’imminente «sostituzione di lingua»129, ossia di un impetuoso passaggio globale da un’Italia

sostanzialmente dialettofona, in cui la condizione generale era ancora di prevalente diglossia, verso una più ampia e diffusa competenza dell’italiano, che si sarebbe collocato in maniera differente nel repertorio linguistico a seconda della aree geografiche (in un numero sempre crescente di regioni, con poche eccezioni, ci si sarebbe avviati verso un quadro di bilinguismo con dilalia – bidialettismo in Toscana – e solo in poche aree residue il conseguimento dell’italofonia non avrebbe comportato il superamento della diglossia). Sebbene questo percorso sia effettivamente giunto a compimento, i tempi previsti da Pasolini si sono però dilatati notevolmente (con un deciso rallentamento a partire dalla metà degli anni Settanta), e i risultati appaiono oggi assai più articolati e instabili rispetto al suo disegno.

La sostituzione di lingua non è stata dunque così rapida né ha seguito il cammino rettilineo e la progressività che si potevano immaginare negli anni Sessanta. Il passaggio dalla dialettofonia all’italofonia è avvenuto in modo parziale e molto variegato, risultando soggetto a variabili di diverso tipo: l’affermazione di un comportamento “misto” (alternanza di italiano e dialetto, code-

mixing e code-switching, interferenze e incroci), la situazione sociolinguistica (in particolare, il

dominio e l’interlocutore) le specificità storiche e culturali dell’area ecc..130

Ciò non toglie che la denuncia pasoliniana e la sua decisa presa di posizione in favore della difesa del patrimonio dialettale abbiano senza dubbio contribuito ad attirare

127 P. D’Achille, L’italiano per Pasolini cit., pp. 66-67. 128 P.P. Pasolini, Nuove questioni linguistiche cit., p. 81.

129 Cfr. A. Sobrero, L’italiano dopo mezzo secolo di tv cit., passim. 130 Ivi, p. 98

102

l’attenzione pubblica e a sollecitare la coscienza civile in merito alla salvaguardia di quei codici antichi, che un’italianizzazione travolgente e fondata sulla soppressione della diversità sembrava voler condannare all’estinzione.

Infine, se si considera la previsione pasoliniana di un’imminente svolta in senso comunicativo dell’italiano, in realtà la successiva evoluzione della lingua non pare aver seguito un indirizzo univoco, orientandosi anzi, almeno in certi settori, piuttosto verso il polo opposto, ossia in direzione di un’espressività ossessiva, fasulla e spesso volgare; in questo senso, però, può essere utile richiamare l’accenno di Pasolini al linguaggio della pubblicità, in cui egli intravede «l’esempio di un tipo finora sconosciuto di “espressività”», il cui fine brutalmente pratico tende a volgerla in pura comunicazione, tanto che gli appare necessario coniare un’apposita «definizione monstrum», ossia «espressività di massa»131;

oggi, è facile notare come questa forma di espressività mostruosa, questa iperespressività non vitale, ma rigida e stereotipa, abbia contagiato anche altri domini linguistici, primo fra tutti quello televisivo, dove si assiste al dilagare dell’iperparlato, ossia di un italiano che Stefano Bartezzaghi ha definito “neo-espressivo”132, «una lingua scalza e scravattata, fatta

di “pronunce dialettali parodistiche, neologismi umoristici, “tormentoni”, esclamazioni e usi informali, fino alla diffusione del turpiloquio»133.

Allora, se la previsione pasoliniana dell’affermarsi di una lingua strumentale, razionalistica, brutalmente comunicativa, almeno in alcuni campi si è piuttosto rovesciata nel suo opposto, ossia la diffusione di un «italiano esasperatamente espressivo, frammentato, animoso, ai limiti dell’irregolarità se non dell’irrazionalità»134, è tuttavia facile

riconoscere in entrambe queste varietà, nonostante l’assoluta diversità formale, due evidenti manifestazioni di una fondamentale disumanizzazione e omologazione del pensiero e del linguaggio. Infatti, ciò che accomuna l’italiano tecnologico e l’italiano neo- espressivo è un retroterra culturale degradato e degradante in cui entrambi affondano le proprie radici, ossia quello che Pasolini paventava come uno scenario futuro «senza particolarismi e diversità di culture, perfettamente omologato e acculturato»135; un mondo

che a lui, profondamente legato a «una visione molteplice, magmatica, religiosa e razionale della vita», appariva in fondo come un «mondo di morte»136.

131 P.P. Pasolini, Nuove questioni linguistiche cit., p. 95.

132 S. Bartezzaghi, Italiano addio, «La repubblica», 12 novembre 2009, p. 49. 133 A. Sobrero, L’italiano dopo mezzo secolo di tv, cit., p. 95.

134 Ibidem

135 P.P. Pasolini, Scritti corsari cit., p. 12. 136 Ibidem

103

In conclusione, se da un lato è giunto il momento di riconoscere come l’evoluzione dell’italiano nell’ultimo cinquantennio abbia, per certi aspetti, reso ragione alle intuizioni di Pasolini, dall’altro è comunque utile osservare come e perché essa abbia seguito talvolta direzioni impreviste, sull’onda di sconvolgimenti politici, culturali e sociali che si sono rivelati ancora più complessi e violenti rispetto ai pronostici dello scrittore. Soprattutto, però, al di là dell’avverarsi o meno delle previsioni del 1964, ciò che non si può mancare di riconoscere a Pasolini è il suo straordinario acume analitico da scrittore “linguista”, che gli ha permesso di individuare con esattezza tutti i nuclei vitali intorno ai quali si sarebbero poi concentrati i mutamenti della lingua (quelle che De Mauro chiama le zone calde), quali ad esempio il declino dei dialetti e la parallela formazione degli italiani regionali, il ruolo dei mass media come agenzie di innovazioni standardizzanti, il mutare dell’equilibrio interno e del prestigio delle diverse varietà di italiano, l’appiattimento dello standard su un modello di “italiano medio”, la profonda interferenza fra i drastici mutamenti sociologici e culturali innescati dalla società di massa e la parallela evoluzione linguistica.

Non ci resta allora che riconoscere la lungimirante sensibilità di un intellettuale che, nel complesso panorama sociolinguistico dell’Italia del Novecento, ha annunciato prima di tutti l’avvento e i caratteri della modernità linguistica, rivelandosi davvero, anche in questo campo, «più moderno di ogni moderno»137.

105

1.3 Lingua e potere

1.3.1 «La loro lingua è la lingua della menzogna»: potere e corruzione