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1.1 «Cantare è esistere»: l’espressione linguistica come fonte di vita

1.1.5 Una lingua “nuova”: la resurrezione del dialetto

È sempre sulla scia di questo rapporto vitale, essenziale fra la lingua e la realtà che si può leggere l’imprescindibile legame di Pasolini con il dialetto, che simboleggia il nucleo più profondo della sua esperienza artistica, collocandosi al principio e alla fine del suo percorso intellettuale e spirituale.

La visione del dialetto per Pasolini è inestricabilmente legata all’ideale del mondo friulano, la terra incontaminata dei suoi soggiorni estivi, chiusa nella propria realtà rurale ed estranea ai frenetici movimenti della vita moderna: un luogo idilliaco, trasfigurato dalla percezione soggettiva del poeta, che sente di poterne entrare a far parte, di poterlo toccare, solo attraverso il codice iniziatico rappresentato dal dialetto.

In un’intervista del 1965, il poeta ricorderà così l’intreccio di emozioni ed esperienze legate alla sua vita in Friuli, che gli ha regalato la libertà intellettuale negli anni intrisi dell’oscurantismo fascista:

Io ho percorso le due strade che sole potevano portarmi all’antifascismo: quella dell’ermetismo, cioè della scoperta della poesia ermetica e del decadentismo, ossia in fondo del buongusto […] e, seconda, quella che mi portava a contatto col modo di vivere umile e cristiano dei contadini, nel paese di mia madre […]. Le mie prime poesie in friulano riflettevano dunque da una parte una friulanità come lingua, dall’altra un alone sentimentale e vagamente socialista di tipo cristiano-romantico.

Ambedue questi elementi, lingua e società, dovevano poi approfondirsi nelle mie successive esperienze, portandomi da una parte ad una elaborazione linguistica verso zone meno ermetiche e decadenti, dall’altra all’evoluzione dell’idea di Cristianesimo verso forme sociologiche più concrete.165

Gli anni friulani rappresentano per lui il momento in cui prende forma un orizzonte mitico, ideale166, che al contempo satura il suo bisogno espressivo, permette la

piena definizione della sua identità e genera in lui una frattura profonda dell’io, resa manifesta da quella contraddizione che diverrà la cifra della sua figura pubblica e della sua intera opera.

165 P.P. Pasolini, Saggi sulla politica e sulla società, a cura di W. Siti-S. De Laude, Milano, Mondadori 1999, pp. 1581-1582.

166 Dovranno trascorrere molti anni perché Pasolini riconosca che per lui il Friuli aveva rappresentato un luogo «in qualche modo artificiale», ammettendo di averlo «scelto ed eretto a una sorta di luogo ideale per la poesia e per le sue fantasticherie estetizzanti, mistiche»; P.P. Pasolini, Pasolini su Pasolini. Conversazioni con

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Pasolini, infatti, nel momento stesso in cui entra in contatto con il Friuli contadino degli anni Quaranta, i cui valori immutabili sembrano promettergli una pacificazione esistenziale e intellettuale, in realtà prende coscienza della propria dolorosa alterità intellettuale, sessuale e socio-culturale rispetto a quella società immobile e arcaica: il dialetto resterà sempre, allora, nella sua percezione e nella sua rappresentazione poetica, la lingua degli altri, la lingua di quei ragazzi che egli «amava con dolcezza e violenza, torbidamente e candidamente»167, il codice che gli prospetta un inafferrabile riscatto e al

contempo segna la sua invincibile estraneità. Proprio qui ha origine, in effetti, tutta la sua inquieta ricerca di senso e appartenenza, riflessa nella sua intera esperienza artistica e intellettuale, al centro della quale resterà sempre la dolorosa consapevolezza di un insanabile dissidio col mondo, che da un lato genera in lui angoscia e irrequietezza, dall’altro gli dischiude le porte dell’intuizione poetica, «luogo della verità e della coincidenza tra il personale e l’universale»168.

Il suo esordio poetico risale al 1942, anno di pubblicazione delle Poesie a Casarsa, in cui il poeta, con la reverenza e l’emozione di chi fonda una nuova tradizione, si accinge alla rappresentazione letteraria e simbolica di un paesaggio naturale e umano che gli appare fuori dal tempo: di qui la scelta, inedita e controcorrente, di impiegare come lingua poetica proprio il dialetto di Casarsa, descritto come «una lingua antichissima eppure del tutto vergine, specie di dialetto greco o di volgare appena svincolato dal preromanzo, con tutta l’innocenza dei primi testi in una lingua»169. Le Poesie a Casarsa sono accompagnate e

seguite da un’accurata definizione teorica della poetica pasoliniana, espressa a più riprese sulle riviste friulane di quegli anni170 e consacrata dalla fondazione, nel 1945,

167 P.P. Pasolini (a cura di), Poesia dialettale del Novecento, Parma, Guanda 1952, p. CXXVIII.

168 E. Testa, Pasolini, Pier Paolo, in Enciclopedia Treccani on line, http://www.treccani.it/enciclopedia/pier- paolo-pasolini_(Enciclopedia-dell'Italiano)/

169 P.P. Pasolini, Volontà poetica ed evoluzione della lingua, in «Il Stroligùt», 2, aprile 1964, poi in P.P. Pasolini.,

Saggi sulla letteratura e sull’arte cit., I., pp. 159-161, p. 160.

170 «Ce fastu?», la rivista ufficiale della Società Filologica friulana, «Le Panarie», ma soprattutto le riviste, da lui stesso dirette e pubblicate (in parte con le Edizioni dall'Academiuta) fra l’aprile del ’44 e il giugno del ’47, indicati complessivamente come «Stroligùt» (“piccolo almanacco o lunarietto”) e ora raccolti in volume da Nico Naldini: P.P. Pasolini, L’academiuta friulana e le sue riviste, a cura di N. Naldini, Vicenza, Neri Pozza Editore 1994. Nell’introduzione di Gianfranco Folena si legge che «i fascicoli sono cinque […], e recano tre titolazioni diverse che indicano tre tempi e un progressivo allargarsi dell’orizzonte culturale e politico: i primi due, non numerati e intitolati Stroligùt di cà da l’aga, datati aprile e agosto 1944, sono legati alla libera scuola di Casarsa e seguono la nascita corale del nuovo felibrismo friulano; i due successivi, battezzati semplicemente Il stroligùt, portano i numeri 1 (agosto 1945) e 2 (aprile 1946), e sono successivi alla fondazione dell’Academiuta di lenga furlana (18 febbraio 1945); l’ultimo, con la silloge dei poeti catalani, ha il titolo significativamente mutato di Quaderno romanzo, ma continua la precedente numerazione col n.3 (giugno 1947). Nel loro insieme questi fascicoli offrono testimonianze preziose della poesia e del pensiero di Pasolini e della nascita del felibrismo friulano, così legato ad altre esperienze romanze particolarmente di lingue minoritarie, e costituiscono una delle prime, più serie e generose riflessioni sul destino di una cultura regionale dentro un quadro italiano e romanzo e sul senso di un’azione autonomista»; G. Folena, Nota

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dell’Academiuta di lenga furlana, un istituto esplicitamente volto alla promozione del vernacolo di Casarsa a lingua letteraria.

L’ambizione di conferire una dignità letteraria al casarsese, codice inedito e più puro rispetto all’italiano (sua lingua nativa, di ascendenza paterna), spinge inizialmente Pasolini a farne un uso non realistico, ma «dichiaratamente metaforico»171: il friulano per lui

non è una lingua immediatamente disponibile, riemersa dai recessi della memoria, ma è una lingua seconda, ricostruita sui libri, modificata e in parte inventata, mediante «non poche violenze»172, che solo in seguito sarà verificata nell’uso concreto dei parlanti,

durante agli anni che il poeta trascorrerà stabilmente a Casarsa (1945-1949).

Io scrissi i primi versi in friulano a Bologna, senza conoscere neanche un poeta in questa lingua, e leggendo invece abbondantemente i provenzali. Allora per me il friulano fu un linguaggio che non aveva nessun rapporto che non fosse fantastico col Friuli e con qualsiasi altro luogo di questa terra. Poeticamente questa lingua non è il dialetto, così suggestivo, parlato dal popolo, ma una favella inventata, da innestarsi nel tronco della tradizione italiana e non già di quella friulana; da usarsi con la delicatezza di un’ininterrotta, assoluta metafora.173

Il dialetto non si presenta quindi al poeta come codice minore e ancillare rispetto alla lingua, ma anzi gli si offre come strumento virginale, «una specie di linguaggio assoluto, inesistente in natura»174, naturalmente puro e adatto a esprimere contenuti lirici:

«il mio friulano è un linguaggio senza storia, sradicato dalle abitudini, una specie di Lete, al di là dal quale troviamo una pace momentanea ma in sé assoluta.»175