2.1 «La mia vita intera è cosparsa di parole chiave»: un’avventura linguistica
2.1.2 Parole precoci: il ritardo dei dizionar
L’inventiva linguistica dell’autore si incarna in tutta una serie di nuove forme lessicali (in genere provenienti dalla saggistica degli anni Cinquanta/Sessanta) che sarà utile passare brevemente in rassegna, evidenziando i casi in cui, come già segnalato in precedenza, le fonti lessicografiche (il GRADIT in primo luogo) mostrino un certo ritardo nel registrare le prime occorrenze di questi termini, spesso trascurando le opere pasoliniane come fonti di prima attestazione.
Vincenzo Orioles, ad esempio, enumera alcuni lemmi di ambito linguistico che Pasolini ha il merito di aver coniato o recuperato per primo, accolti dal GRADIT ma non sempre con l’esatto riferimento alla prima attestazione pasoliniana. Fra questi si possono ricordare «plurilinguismo»34 (inteso come “accostamento di materiali differenti, gusto per
il pastiche”), che Pasolini impiega a proposito di Gadda già nel 1954 (mutuando esplicitamente l’espressione da un saggio di Contini del 1951, dove quest’ultimo contrapponeva all’«unilinguismo petrarchesco» il «plurilinguismo dantesco») e «plurilinguistico»35, nel qual caso la prima occorrenza pasoliniana (nel saggio La volontà di
Dante a esser poeta del 1965) è precedente rispetto a quella riportata dal GRADIT (1970); «unilinguismo»36, un’altra eredità continiana che Pasolini recupera fin dal 1954 (nel saggio
La lingua della poesia), e la variante «monolinguismo»37, attestata sempre a partire
dall’intervento su Dante del 1965, ma in realtà impiegata dall’autore già in un saggio del
28 Ivi, pp. 94, 97-98. 29 Ivi, p. 96, 171, 255.
30 P.P. Pasolini, Scritti corsari cit., p. 12; Id., Interviste corsare cit., p. 206. 279; Id, Il sogno del centauro cit., p. 143; Id, Volgar’eloquio cit., p. 31.
31 P.P. Pasolini, Nuove questioni linguistiche cit., pp. 94, 109, 174. 32 Ivi, p. 96.
33 P.P. Pasolini, Ragazzi di vita cit.
34 P.P. Pasolini, Passione e ideologia cit., p. 354 35 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 106. 36 P.P. Pasolini, Passione e ideologia, p. 318. 37 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 144.
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1955 confluito in Passione e ideologia38; ancora antecedente è la forma aggettivale
«monolinguistico»39, impiegata da Pasolini già nella Poesia dialettale del Novecento (1952)
sempre con riferimento al saggio continiano sul Petrarca. Particolarmente interessanti sono poi le due neo-formazioni «sociolinguistico» e «sociolinguista»40, di cui il GRADIT
registra la prima attestazione rispettivamente nel 1968 e nel 1969, mentre Pasolini impiega l’aggettivo «sociolinguistico» (nella forma «socio-linguistico») già nelle Nuove questioni linguistiche alla fine del 1964, e il sostantivo «socio-linguista» in un articolo del marzo successivo (Diario linguistico); a questo proposito, Orioles puntualizza però che in questo caso il termine tecnico sembra essere impiegato da Pasolini in modo molto libero e «disinvolto», per indicare un necessario accostamento del punto di vista sociale e di quello linguistico nell’analisi del contesto socioculturale contemporaneo: solo con la traduzione italiana dell’opera di Martinet La considerazione funzionale del linguaggio (1965) farà la sua comparsa in italiano il tecnicismo vero e proprio («punto di vista sociolinguistico»41;
«situazione sociolinguistica»42).
Sempre all’interno delle Nuove questioni linguistiche appare per la prima volta anche il termine «tecnicistico»43 (che Pasolini impiega a proposito dei linguaggi da cui
proverrebbero appunto i tecnicismi presenti nella sua stessa prosa enunciativa), la cui prima occorrenza invece il GRADIT posticipa di più di dieci anni, fissandola al 1978.
Assai curioso è infine l’uso precoce del tecnicismo «sottocodice»44, che compare
in un articolo pasoliniano pubblicato su «Il Giorno» nel gennaio del 1971 (Il calcio «è» un linguaggio con i suoi poeti e prosatori) a proposito della lingua speciale del calcio, mentre il GRADIT ne registra la pima attestazione solo nel 1972; Orioles fa notare come probabilmente Pasolini abbia assunto e fatto propria questa forma grazie alla lettura della versione italiana dei Saggi di linguistica generale di Roman Jakobson, comparsa già nel 1966, dove appunto si parla dell’esistenza di «sotto-codici» differenti all’interno del corpo di ogni lingua45.
A queste voci si possono aggiungere diverse altre fortunate innovazioni pasoliniane, già a partire dall’etichetta «Neo-sperimentalismo»46 comparsa nell’omonimo
38 P.P. Pasolini, Passione e ideologia cit., p. 291. 39 Ivi, p. 6.
40 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 41.
41A. Martinet La considerazione funzionale del linguaggio, Bologna, Il Mulino 1965, p. 167. 42 Ibidem
43 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 15.
44 P.P. Pasolini, Saggi sulla letteratura e sull’arte cit., II, p. 2546.
45 R. Jakobson, Saggi di linguistica generale, Milano, Feltrinelli 1966, pp. 70, 75, 185-185 e passim 46 P.P. Pasolini, Passione e ideologia cit., p. 514.
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saggio (1956) poi raccolto in Passione e ideologia, con cui Pasolini battezza una ampio fronte poetico degli anni Cinquanta, «epigono, non sovversivo, rispetto alla tradizione stilistica novecentesca»47, in cui sembrano confluire neo-realismo e post-ermetismo: il GRADIT
in questo caso accoglie il neologismo con esplicito riferimento al testo pasoliniano. Sempre a Passione e ideologia sono poi riconducibili le voci «sgrammaticalizzazione»48
(“mancato rispetto delle norme grammaticali”), di cui il GRADIT registra la prima occorrenza solo nel 1960, ma che è invece già presente nel saggio La confusione degli stili (1957), «pascolianesimo»49 (“tendenza a ispirarsi allo stile e alla poetica del Pascoli”)
attestato dal GRADIT nel 1960 ma apparso per la prima volta nell’Introduzione alla poesia dialettale del Novecento (1952) e la forma «bistilismo»50, non accolta dal GRADIT ma ben
presente nel linguaggio della critica letteraria., che Pasolini (nel saggio introduttivo al Canzoniere italiano del 1955) dichiara di coniare in analogia a «bi-linguismo»51.
In Empirismo eretico incontriamo invece, oltre alle ormai classiche voci del linguaggio filmico «im-segno»52 (attestato dal GRADIT proprio a partire dal saggio Il
«cinema di poesia»53 del 1965 col significato di “immagine significante, icona”), «cinèma»54
(definito da Pasolini ne La lingua scritta della realtà55 del 1966 come «oggetto, forma o atto
della realtà permanente dentro l’immagine cinematografica»56, e successivamente accolto
dal GRADIT, che cita come seconda (marcandola come tecnico-scientifica) l’accezione pasoliniana di “presunto elemento minimo in una sequenza cinematografica”, e «ritmèma»57 (termine tratto dalla linguistica che Pasolini ridefinisce come “unità
fondamentale del ritmo filmico”, poi accolto dal GRADIT in questa nuova accezione con riferimento alla prima occorrenza pasoliniana nel 196658) anche la voce
«paleoavanguardie»59 (“le avanguardie storiche di inizio Novecento”, che Pasolini
contrappone al contemporaneo movimento della Neoavanguardia), apparsa già nel saggio
47 Ivi, p. 531. 48 Ivi, p. 373
49 Ivi, p. 35, 43, 49 e passim.
50 P.P. Pasolini, Antologia della poesia popolare cit., p. XLVI. 51 Ibidem
52 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 168 e ss.
53 Il saggio Il «cinema di poesia» è la versione rielaborata del primo dei tre interventi tenuti da Pasolini fra il 1965 e il 1967 ai convegni (incentrati sulle problematiche del “nuovo cinema”) che si tennero in occasione delle prime tre edizioni della Mostra Internazionale del Nuovo Cinema a Pesaro.
54 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 203 e ss.
55 Il saggio ripropone l’intervento La lingua scritta dell’azione tenuto da Pasolini nel giugno 1966 a Pesaro durante la II Mostra internazionale del Nuovo Cinema, e pubblicato poi in «Nuovi argomenti», 2, aprile-giugno 1966.
56 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., pp. 202-203 57 Ivi, p. 214, 285, 288.
58 Ivi, p. 214. 59 Ivi, p. 131, n.1.
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1966 La fine dell’avanguardia, in anticipo quindi sul GRADIT (che posticipa la prima attestazione del singolare «paleoavanguardia» al 1972), e «smandolinata»60 (“esecuzione di
un pezzo al mandolino”), apparso già nel saggio I segni viventi e i poeti morti (pubblicato su « Rinascita» nel 1967, poi raccolto in Empirismo eretico) e successivamente riproposto in Trasumanar e organizzar, che è presente nel GRADIT ma con riferimento a una prima occorrenza nel 1972. Ricco di neologismi è poi il testo del 1968 Ciò è neo-zdanovismo e ciò che non lo è61, dove compaiono per la prima volta, oltre a «zdanovismo»62 (“indirizzo di
politica culturale avviato nell’Unione Sovietica negli anni Trenta e caratterizzato da uno stretto controllo del governo su ogni forma di attività intellettuale e artistica”), che il GRADIT (ripreso dal Nuovo De Mauro) attesta invece solo a partire dal 1983, anche i composti «neo-zdanovismo»63 (che Pasolini definisce come una “nuova fase dello
zdanovismo, caratterizzata da demagogia e fanatismo”) e «neo-zdanovisti»64
(“appartenenti alla corrente neo-zdanovista”), di cui il GRADIT attesta invece il singolare solo a partire dal 1971 col significato di “seguace, sostenitore delle tesi zdanoviste come rielaborate dal marxismo occidentale”; nella stessa sede fanno la loro apparizione anche le voci «neo-stalinismo»65 (“nuova fase dello stalinismo”), di nuovo in anticipo
sull’attestazione del GRADIT (1970), «pansemiologico»66 (“inerente la molteplicità dei
codici semiologici”), che il GRADIT registra solo a partire dal 1972, «neo-esistenziale»67
(“di poesia in cui riemergono i caratteri della letteratura esistenziale del secondo dopoguerra”), impiegato ex novo da Pasolini per definire una maniera letteraria di fine anni Sessanta, ma ancora una volta attestato dal GRADIT solo a partire dal 1972, e la fortunata perifrasi «fascismo di sinistra»68 (impiegata per la prima volta l’anno precedente dal
sociologo e filosofo della Scuola di Francoforte Jürgen Habermas, durante un durissimo discorso tenuto in occasione di un’assemblea organizzata dal movimento studentesco ad Hannover il 9 giugno del 1967, in risposta all’ uccisione, avvenuta una settimana prima, di Benno Ohensorg da parte della polizia di Berlino; qui Habermas bollò appunto come «fascismo di sinistra» la crescente deriva estremistica del movimento69).
60 Ivi, p. 255. 61 Ivi, p. 160. 62 Ivi pp. 163-164. 63 Ivi, pp. 160, 163. 64 Ivi, p. 163. 65 Ibidem 66 Ivi, p. 161. 67 Ivi, p. 163. 68 Ivi, p. 163.
69 Cfr. A. Bolaffi, Lettere dal Sessantotto,
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Nel componimento Progetto di opere future, risalente al periodo novembre-dicembre 1963 e pubblicato per la prima volta nel numero di «Nuovi Argomenti» del marzo-giugno 1964 (poi inserito nelle due edizioni della raccolta Poesia in forma di rosa, ad aprile e a giugno) compare infine la curiosa voce «Anti-opere»70 (“opere non rispondenti ai canoni
tradizionali”), la cui forma singolare «antiopera» è accolta nel GRADIT, ma con il significato specifico di “opera musicale che si discosta dai canoni tradizionali dell’opera lirica”, e il relativo rimando a un testo del 1964 di Eugenio Montale, poi confluito nel volume postumo Prime alla scala (1981). In questo caso, quindi, non si tratta solo di uno sfalsamento cronologico, ma di una vera e propria omissione dell’occorrenza pasoliniana (e della relativa accezione del termine), sulla quale ha prevalso l’uso montaliano.