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Alla ricerca di altre parole: il «Linguaggio della Realtà»

1.1 «Cantare è esistere»: l’espressione linguistica come fonte di vita

1.1.4 Alla ricerca di altre parole: il «Linguaggio della Realtà»

L’identificazione del linguaggio del cinema col «Linguaggio della Realtà» è alla base di tutta una serie di riflessioni elaborate da Pasolini nel corso della sua ricerca di una lingua primitiva, ossia pienamente trasparente rispetto al sistema dei significati.

Proprio a partire dall’intreccio fra questi due codici, egli osserva che anche nella lingua del cinema, così come in tutte le lingue umane, si manifesta il fenomeno della doppia articolazione143, poiché le immagini cinematografiche significanti (gli «im-segni»),

che fondamentalmente coincidono con le inquadrature, possono ancora essere scomposte «nei vari oggetti reali che compongono una inquadratura»144. Per quanto infatti un’inquadratura sia

in dettaglio, essa è sempre composta di «vari oggetti o forme o atti» di per sé significanti:

possiamo chiamare dunque tutti gli oggetti, o forme, o atti della realtà permanenti dentro l’immagine cinematografica col nome di «cinèmi», per analogia appunto a «fonèmi». […] Infatti come le parole o monemi sono composte da fonemi, e tale composizione costituisce la doppia articolazione della lingua, così i monemi del cinema – le inquadrature – sono composte da cinèmi145.

137 Ibidem

138 G. Fink, Le parole contro la parola cit., pp. IX-X. 139 E. Liccioli, La scena della parola cit., p.18. 140 Ivi, p. 45.

141 G. Giudici, L’inespresso esistente cit., p. XIV.

142 P.P. Pasolini, Petrolio, a cura di M. Careri-G. Chiarcossi, Torino, Einaudi 1992, p. 453.

143 La “doppia articolazione” costituisce una delle caratteristiche fondamentali del linguaggio umano, che permette di formare un numero altissimo di segni, cioè di entità dotate di significante e significato, mediante un numero molto limitato di elementi (i fonemi) che non hanno significato, ma solo la capacità di distinguere significati.

144 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 202. 145 Ivi, p. 202-203.

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La lingua del cinema appare dunque sempre di più come il codice privilegiato per una trasmissione diretta del significato, in quanto si costituisce a partire dalla realtà stessa, ed è pertanto disponibile alla fruizione immediata da parte dell’utente, a prescindere dal suo sistema linguistico di appartenenza:

la lingua del cinema è uno strumento di comunicazione secondo il quale si analizza – in maniera identica nelle diverse comunità – l’esperienza umana, in unità riproduttrici il contenuto semantico e dotate di una espressione audiovisiva, i monemi (o inquadrature); l’espressione audiovisiva si articola a sua volta in unità distintive e successive, i cinèmi, o oggetti, forme e atti della realtà, che permangono, riprodotti nel sistema linguistico, – i quali sono discreti, illimitati, e unici per tutti gli uomini a qualsiasi nazionalità questi appartengono146.

In effetti, la sovrapposizione fra i due codici appare fondata sulla convinzione pasoliniana che «la realtà non sia, infine, che un cinema in natura»147, il cui esistere è reso

possibile dal «primo e principe linguaggio degli uomini», ovvero «l’azione umana nella realtà».148 In una poesia, Pasolini chiama infatti il cinema il «Mangiarealtà»149, proprio per

indicare l’intensità con cui questo strumento tecnico è in grado di afferrare e riprodurre la violenza fisica del reale: inoltre, se nella realtà «le azioni singole di una vita mancano di unità, cioè di compiutezza, finché la morte non chiude il campo infinito del possibile»150,

mediante il montaggio cinematografico esse raggiungono la pienezza del significato, quasi fossero passate attraverso un percorso di morte e rinascita, diventando infine immagini compiute, complete, cioè mitiche.

Il montaggio è l’operazione tecnica che fa affiorare la realtà nascosta e la rende visibile. […] Solo attraverso il cinema, e attraverso il montaggio, la realtà giunge al suo compimento figurale, ogni individuo trova la compiutezza del proprio destino. […] Apparendo come immagine filmica, all’interno di un contenitore narrativo, la realtà può mostrarci il suo aspetto più segreto, cioè il sacro.151

È in base a questa concezione della vita come «cinema naturale e vivente»152,

ovvero insieme di azioni significanti ma non del tutto compiute, non perfettamente decifrabili nella loro natura primordiale, che Pasolini instaura un parallelismo fra il fluire dell’esistenza umana e «la lingua orale nel suo momento naturale e biologico»153; lo

strumento cinematografico, in questo senso, svolgerebbe il ruolo di una lingua scritta, in grado di fissare l’incessante divenire del reale rendendone manifeste le dinamiche (così

146 Ivi, p. 204. 147 Ivi, p. 199 148 Ibidem. 149 Ivi, p. 257.

150 M.A. Bazzocchi, La parte nascosta del mito cit., p. 60. 151 Ibidem

152 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 206. 153 Ibidem

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come la lingua scritta ha fatto con l’oralità), poiché ne condivide la sostanza, ed è quindi in grado di riprodurlo dal suo stesso interno.

La visione del cinema come lingua è una visione «diffusa» e «continua»: una riproduzione, ininterrotta e fluente come la realtà, della realtà. Qui dunque il mio amore per la realtà abbraccia in astratto tutta la realtà, da cima a fondo, da capo a piedi: è una dichiarazione d’amore come atto di fede, imperterrita e teorica.

Al fondo sta dunque il mio amore ‒ già più volte impudicamente definito ‒ per la realtà. Traducendo tale amore in termini linguistici, sono portato ad affermare che il cinema è una lingua che non si allontana mai dalla realtà (ne è la riproduzione!), e quindi è un infinito piano-sequenza (il rapporto è lo stesso che tra lingua orale e lingua scritta)154.

La definizione della realtà come linguaggio implica la necessità di un suo codice di decifrazione, che non può essere evidentemente identico a quello impiegato per le lingue verbali; Pasolini polemizza infatti contro l’inveterata abitudine di considerare la lingua come lo strumento esclusivo di rappresentazione della realtà, poiché considera quest’ultima in grado di comunicare autonomamente, mediante i propri oggetti che sono semplicemente «segni di se stessi»155.

Gli Oggetti-segni della realtà vengono dunque tradotti mediante i segni delle lingue scritto-parlate o del cinema, per poi essere ricostituiti a livello dell’immaginazione, là dove essi vengono ricreati nella loro fisicità evocata (o ricordata).

Di fatto, allora, il non verbale «altro non è che un’altra verbalità», ovvero quella del «Linguaggio della Realtà»156, di cui le lingue scritto-parlate sarebbero «traduzioni per

evocazione», mentre le lingue audio-visive (come quella del cinema) «traduzioni per riproduzione»157. Pasolini giunge così al rovesciamento del nominalismo (la dottrina

secondo cui i concetti universali e i termini di portata generale non posseggono una propria esistenza scollegata dalle cose, non sono quindi res ma solo nomina), sostenendo che ogni res è nomen, cioè segno.

Tuttavia, sebbene ogni segno iconico della realtà possa essere fotografato, o dipinto, o nominato (evocato verbalmente), ovvero possa essere trasposto in molti altri sistemi di segni, esso non potrebbe essere «codificabile in nessuno di questi sistemi di segni se non fosse prima di tutto decodificabile nel sistema dei segni della Realtà come Linguaggio Primo, attraverso il suo Codice che è il Codice dei Codici»158.

Ecco che allora, al fondo di tutto il ragionamento sul rapporto intercorrente fra la realtà e i codici che la rappresentano, riemerge l’utopia pasoliniana di uno strumento

154 Ivi, p. 230. 155 Ivi, p. 259. 156 Ibidem 157 Ivi, p. 265. 158 Ivi, p. 284.

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ultimo che permetta di cogliere, di agguantare l’essenza più intima e primigenia delle cose, dato che «il vivere è […] un esprimersi attraverso il pragma» e «tale espressione non è che un momento del monologo che la Realtà fa con se stessa a proposito dell’esistenza.»159

Sebbene queste proposte semiologiche pasoliniane appaiano suggestive e ricche di spunti teorici, è evidente che anche in questo caso l’autore si accosta al tema della dimensione non verbale dell’esperienza (centrale in questa sua riflessione sui codici “altri” rispetto alle lingue tradizionali) con un tale slancio “poetico” che il suo ragionamento, procedente come per una serie di intuizioni successive, difficilmente potrà essere analizzato e confutato sulla base di criteri squisitamente scientifici.

Egli stesso, del resto, con la consueta sincerità, nella lettera a Eco in cui tratteggia il suo ideale di un Codice dei Codici, riconosce di essere ingenuo, di non aver paura di esserlo, e anzi di esserne felice, anche a costo di apparire ridicolo160. Tuttavia, è proprio

questa sua ingenuità, coincidente appunto un approccio eminentemente poetico alla realtà e ai linguaggi in quanto portatori di senso (inteso come «grado e modo di partecipazione vitale alla realtà sociale»161) a regalargli spesso intuizioni fulminee e geniali, fondate sulla

sua profonda, lacerante visione dell’espressione come azione e fonte di vita:

L’avvento delle tecniche audiovisive, come lingue, o quanto meno, come linguaggi espressivi, o d’arte, mette in crisi l’idea che probabilmente ognuno di noi, per abitudine, aveva di una identificazione fra poesia ‒ o messaggio ‒ e lingua. Probabilmente, invece, ‒ come le tecniche audiovisive inducono brutalmente a pensare ‒ ogni poesia è translinguistica. È un’azione «deposta» in un sistema di simboli, come in un veicolo, che ridiviene azione nel destinatario»162.

E fortissima resterà sempre, nello scrittore, questa consapevolezza che l’intera esistenza, nel suo insieme, coincide con la facoltà di espressione, al punto di affermare che il linguaggio della vita umana, mediante il quale ci esprimiamo, è intraducibile, e non del tutto comprensibile, finché la morte non compie «un fulmineo montaggio della nostra vita»163, facendo del nostro presente instabile, incerto e denso di possibilità un insieme

chiuso, un passato leggibile e finalmente descrivibile.

È questa sovrapposizione fra vita ed espressione che lo porta a sostenere l’essenzialità dei codici, «per vivere, ossia per esprimersi»164; sta tutta qui, in questo

159 Ivi, p. 293. 160 Cfr. Ivi, p. 279.

161 T. De Mauro, Pasolini: dalla stratificazione delle lingue all’unità del linguaggio cit., p. 253. 162 P.P. Pasolini, Empirismo eretico cit., p. 199.

163 Ivi, p 241. 164 Ivi, p. 297.

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binomio che ai suoi occhi appare quasi scontato, l’equivalenza che diviene cifra dell’intero percorso artistico ed esistenziale di Pasolini: vivere, ossia esprimersi.