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Adriano De Ascentiis

La pubblicazione del 1917 del Reale Comi- tato Geologico d’Italia fa derivare il termi- ne calanco dall’etimo cal, dal latino chalare, scavare, abbassare.

I calanchi sono particolari forme di erosio- ne superficiale dei depositi argillosi che costituiscono l’ossatura delle colline nella fascia collinare periadriatica della peni- sola italiana. Famosi sono quelli di Atri in Abruzzo, di Montalbano Jonico in Basilica- ta, dell’Abbadessa in Emilia Romagna che, una volta liberati dal mantello di suolo fer- tile, a causa di una molteplicità di fattori naturali e soprattutto antropici, sono stati interessati da una lenta ed inarrestabile at- tività di modellazione da parte delle acque meteoriche e di altri fattori ambientali che ne definiscono forme e strutture. Il tema Calanchi, per molti anni, è stato affronta- to come argomento settoriale ad interesse esclusivo dei geologi. Raramente sono stati presi in considerazione aspetti che permet- terebbero una lettura più attenta dei pro- cessi che hanno determinato il paesaggio agrario attuale caratterizzato da queste ma- nifestazioni che sono, molto spesso, frutto di una scarsa attenzione del “suolo” e di un

suo scellerato sfruttamento in epoche pas- sate. Ancora oggi è difficile collocare tem- poralmente la genesi di queste strutture che, seppur geologicamente datate non rie- scono ad essere inquadrate nelle loro fasi di innesco che dovrebbero essere state avviate da processi e attività antropiche che hanno determinato una destrutturazione dei suoli con conseguenze irreversibili.

Alcuni autori fanno coincidere la loro for- mazione in epoca medioevale e rinasci- mentale, ossia a quando per la crescita de- mografica fu necessario incrementare la dotazione di case e mettere a coltura terreni marginali che non erano stati interessati da attività agricole, per la presenza di boschi o per la difficoltà a lavorarli. In questo pe- riodo, infatti, entra in crisi il sistema am- ministrativo feudale caratterizzato da una moltitudine di nuclei familiari numerosi che facevano capo a signorie locali, alle qua- li peraltro andava versata la maggior parte delle rendite agrarie, frutto del lavoro conta- dino di terreni privi di confini e recinzioni. La componente “suolo”, soprattutto quella dei versanti più impervi e ripidi, era alta- mente stressata.

La perdita di suolo coltivabile nelle forma- zioni calanchive teramane ha molteplici cause. Prima fra tutte le numerose cave per l’estrazione di argilla ad uso edificatorio.

Formazioni calanchive nella Riserva Naturale Regionale Oasi WWF Calanchi di Atri (ph. Courtesy of Carlo Anello)

Inoltre, la pratica della transumanza - “do- gana delle pecore rimaste o Doganella d’A- bruzzo” - che interessò queste aree per circa 400 anni, portò ad Atri un carico di ovini talmente elevato (circa 50.000 capi/anno) da determinare ripercussioni inevitabili sulla presenza di vegetazione al suolo e quindi sul- la stabilità stessa dei versanti più scoscesi. Con la definitiva scomparsa del feudale pre- se avvio una nuova gestione del territorio con conduzione del suolo agrario in mano a pochi “signori”, i quali frammentavano i latifondi a numerosi mezzadri. Nella fase di massima espansione del fenomeno erosivo, le aree intorno ai calanchi, poco produttive, furono marginalizzate: vallecole difficilmen- te lavorabili e zone acquitrinose con boschi di latifoglie e ripariali che, per i contadini del tempo, rappresentavano comunque una forma di economia integrativa. Il valore ag- giunto dato dal legname e dai frutti selvatici, infatti, li aiutava nel governo del podere e del bestiame, soprattutto nei periodi in cui per questioni climatiche o economiche, si dove- vano trovare soluzioni di riparo.

La fuga dalla terra, alla fine del secondo con- flitto mondiale, segna la fase “dell’abbando- no” della collina abruzzese, ad eccezione dei poderi riscattati dai mezzadri alla grande proprietà, produsse un lento ed inesorabile allontanamento dalle campagne e la progres- siva rinaturalizzazione dei suoli da cui ori-

ginano i paesaggi attuali. Queste modifica- zioni hanno definito l'attuale mosaico dove l’azienda capitalistica (condotta adesso con i salariati e con i conto terzi) si alterna a fondi più piccoli riscattati e coltivati per autocon- sumo e sostentamento familiare e a terreni incolti, spesso di proprietà ecclesiastica, con strutture lineari che ne definiscono i confini naturali (fossi, capezzagne) o antropici (sie- pi, filari di alberi e arbusti).

In questo rinnovato contesto i calanchi ini- ziano ad avere e a sviluppare una funzione relativa al ruolo ecologico: nicchie legate ad un sistema di reti ecologiche a pettine, co- stituito dall'asse principale dei piccoli corsi d’acqua e torrenti e da rami secondari delle piccole vallecole calanchive. Queste matri- ci sono altamente biodiversificate, con aree produttive in stretta adiacenza ad aree natu- rali, dove i flussi genici sono facilitati da cor- ridoi ecologici di medie e grandi dimensioni. La disponibilità trofica è invece assicurata dalla presenza di suoli messi a coltura e dalle aree di sosta e rifugio, dalle aree di margine che coincidono spesso con formazioni poco o scarsamente disturbate come calanchi, fossi minori, ambienti ruderali di margine e boschi misti residuali. La frammentazio- ne degli habitat condiziona negativamente le dinamiche dell'ecosistema. Tali corridoi, quindi, possono divenire fondamentali per la dispersione di molte specie che trovano

in essi cibo, rifugio e siti per la nidificazione, rispetto a zone aperte e coltivate che, invece, rappresentano delle barriere per i loro spo- stamenti.

Attualmente si conoscono i rapporti tra la vegetazione dei calanchi e quella delle aree circostanti. Le specie floristiche delle ceno- si calanchive derivano infatti in modo so- stanziale da una selezione dai popolamenti circostanti rappresentati da situazioni di post-coltura, prati xerici e aggruppamenti infestanti le colture. Tali elementi, abbon- danti soprattutto nelle comunità di margine, rappresentano il “serbatoio floristico” dei calanchi. Questo processo è stato facilitato da fenomeni di ricolonizzazione naturale in atto negli ultimi sessanta anni in molte aree calanchive italiane (come è stato verificato dal confronto tra le ortofotocarte del 1954 e del 1994). Nell'arco temporale esaminato si individuano fenomeni evidenti di ricosti- tuzione di alcune matrici ambientali come i boschi che nell’area protetta dei Calanchi di Atri sono passati da una copertura del 3% del territorio totale, al 13 %, con fenomeni in continua evoluzione. Probabilmente, come avviene in diverse altre aree della regione, l’abbandono dell’agricoltura ha trasformato quei terreni in arbustivi e boscaglia, cambia- mento che spesso prelude alla formazione di tipologie di vegetazione a bosco. Queste dinamiche hanno aumentato anche il valo- re del bordo-bosco, variabile importante dal punto di vista della biodiversità. I margini del bosco rappresentano ambienti ecotona- li (aree di contatto tra ambienti struttural- mente e funzionalmente differenti) dove per “effetto margine” si trova una maggio- re ricchezza di specie. Invece le siepi, altro importante elemento di connettività, sono diminuite. Tale fenomeno è dovuto alla ge- stione dell’agricoltura, all’utilizzo di mac- chinari sempre più ingombranti per i quali le siepi sono un ostacolo. Le siepi svolgono un ruolo rilevante nella mitigazione del cli- ma, nella protezione del suolo dai fenomeni erosivi e nell’abbellimento del paesaggio agrario. Sono un vero e proprio serbatoio di biodiversità in quanto costituiscono ha- bitat per la flora e la fauna delle aree agri- cole, sono sistemi di rifugio per gli animali che altrimenti non potrebbero frequentare un territorio interessato da coltivazioni. La superficie interessata dalla loro presenza è diminuita negli ultimi cinquant’anni, a di-

spetto del processo dinamico ed inesorabile di estensione che caratterizza l’evoluzione dei calanchi, evoluzione che in un'area delle dimensioni e delle caratteristiche della Ri- serva di Atri, può essere notevole.

L’abbandono delle campagne e la sostitu- zione dei coltivi con arbusteti, vegetazione a macchia e superfici boscate ha protetto i terreni dall’erosione causata dalle acque di- lavanti, impedendo l’innesco del processo di formazione dei calanchi. Il territorio è quin- di interessato da evoluzioni del paesaggio di diversi ambienti dell’Abruzzo e dell’Ap- pennino caratterizzati da: ricolonizzazione spontanea da parte del bosco, diminuzione dei coltivi in aree marginali, semplificazione della struttura nelle zone coltivate a causa dell’eliminazione di siepi e filari e ridetermi- nazione della proprietà per realizzare appez- zamenti monoculturali più ampi.

I Calanchi rappresentano, quindi, uno scena- rio assolutamente unico dal punto di vista paesaggistico ed emozionale, ma anche ser- batoi ecologici di straordinario interesse cul- turale e biologico. Una loro attenta e corretta gestione può portare risvolti positivi a tutto il territorio.

Curare i calanchi significa contrastare i fe- nomeni collegati al rischio idrogeologico e ai mutamenti climatici. Significa anche promuovere attività agrosilvopastorali di nicchia che, attraverso la ricostituzione degli agro ecosistemi, possono contribuire a mi- gliorare la ricchezza produttiva dell’area. Appare ormai superfluo ribadire che i rischi idrogeologici incidono fortemente in aree dove sistemi così fragili sono prossimi a cen- tri abitati molto popolosi e che la desertifica- zione colpisce soprattutto questo genere di ambienti.

Così come è ormai chiaro che la cura dei Calanchi si tramuta, in poco tempo, in im- pulso per i sistemi di promozione turistica locali in un’ottica legata all’ecosostenibilità ambientale, come è accaduto nella Riserva Naturale Regionale Oasi WWF Calanchi di Atri. Qui, in soli dieci anni di gestione par- tecipata tra Comune di Atri e WWF Italia, si è riusciti costruire un sistema virtuoso di gestione che, con una rete sentieristica di 6 km, una cicloippovia di 28,8 km e un centro visitatori, permette ai tanti turisti di cono- scere il paesaggio dei calanchi e di visitare le aziende di trasformazione dei prodotti agri- coli di nicchia che operano nel territorio.

I Calanchi sono un “segno” della storia e sono un “monito” per le conseguenze che una scarsa attenzione della risorsa suolo po- trebbe determinare nel medio e lungo perio- do. Rappresentano un valore aggiunto per territori considerati fino a qualche anno fa terre marginali (o come vengono definite da- gli anglosassoni “Badlands”). In un’ottica mi- rata alla conservazione della natura, possono diventare non solo “santuari” della biodiver- sificazione e dei contesti agrosilvopastorale, ma anche “sentinelle” per il contenimento del rischio idrogeologico, nonché “cantieri” sperimentali per una rilettura del paesaggio agricolo in termini emozionali e turistico- culturali. E consentire il dialogo tra paesag- gio periurbano e trasformazione dei contesti ad alta densità insediativa.

La geodiversità del

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