Franca Balletti, Luca Traversa
A Genova sono presenti - come purtroppo accade in ogni altra grande città - forme di- verse di illegalità e di criminalità, sia nelle periferie che nelle parti più centrali del tes- suto urbano, connotate da diversi gradi di radicamento.
Le analisi del fenomeno effettuate nell’ul- timo periodo mostrano, in particolare, la situazione del centro storico: la parte della Città che ha costituito tradizionalmente un terreno fertile per le attività di tipo mafioso, ma anche quella che negli ultimi decenni ha subito importanti processi di recupero del patrimonio costruito e di trasformazione della società che lo vive.
Negli ultimi vent’anni abbiamo assistito ad almeno due fasi: nella prima, a interventi consistenti di restauro del patrimonio stori- co-culturale e dello spazio pubblico (in alcu- ne parti privilegiate), ha corrisposto, da una parte, l’afflusso di migranti provenienti da paesi extra-UE, dall’altra l’ingresso di nuove popolazioni come quelle dei city user (movida in generale, studenti, popolo degli aperitivi) e di un nuovo tipo di residenti composto da intellettuali, professionisti, giovani. Nella seconda fase - gli ultimi anni – il fenomeno della gentrification si è fermato, anzi si assiste ad un ritorno verso i quartieri borghesi della Città. Le ragioni vanno ricercate nella man- cata efficacia delle politiche di recupero per l’intero centro storico, nella difficile convi- venza col fenomeno della movida, ma anche nella percezione di insicurezza che connota alcune parti del tessuto storico, in particola- re quelle interessate dalle nuove immigra- zioni di clandestini e richiedenti asilo, che hanno trovato nei “vicoli” residenze a basso prezzo, in edifici fatiscenti e in condizioni di estremo sovraffollamento e che sono spesso assorbiti dalle attività illegali tradizional- mente gestite da famiglie mafiose italiane. Traffico di droga e sfruttamento della pro- stituzione sono, storicamente, le attività più praticate, entrambe particolarmente lucrose. A queste occorre affiancare - anche se non lo vediamo direttamente – il business dell’usura e delle estorsioni. Non c’è più il contrabban- do di una volta, ma è molto diffusa la contraf- fazione (appannaggio dei gruppi africani).
Quando si parla di illegalità/criminalità in centro storico, occorre distinguere due livel- li: il primo, di immediata comprensione, che possiamo riassumere nel binomio spaccio- prostituzione; il secondo - che solo il più at- tento osservatore può cogliere –è costituito dalle dinamiche afferenti al cd. controllo ma- lavitoso del territorio.
E’ evidente che lo spaccio di strada sia appan- naggio di africani: maghrebini, senegalesi, nigeriani. Ma è del tutto verosimile, anzi è pressoché certo, che queste persone ven- gano letteralmente risucchiate nel vortice della criminalità da organizzazioni squisita- mente italiche e radicate in loco da decenni. Certo, non possiamo escludere che forme autonome di gestione si siano costituite; ma sicuramente si muovano nel centro storico genovese stringendo accordi, compromessi, affari con le famiglie italiane, soprattutto di origine meridionale.
I proventi incamerati da tali attività sono stati spesso reinvestiti ed utilizzati per acqui- sire beni immobili in grande quantità, quasi a voler “marcare il territorio”. Il fenomeno è particolarmente apprezzabile nella zona della Maddalena1, dove un numero elevato
di appartamenti è detenuto da un ristretto gruppo di famiglie criminali.
C’è un sistema ben radicato che buona parte degli abitanti conosce, un sistema che lavora quotidianamente per rimanere in piedi e so- prattutto nel silenzio più assoluto. In alcuni casi, se è loro tornaconto, aiutano economi- camente attività commerciali in difficoltà. In centro storico, ed in particolare alla Mad- dalena, tutto era lecito (per certe famiglie). Era considerata la “terra di nessuno”. Così è stata ribattezzata, non a caso, l’operazione che ha portato alla straordinaria confisca nei confronti della famiglia Canfarotta di 115 immobili, da riassegnare per finalità sociali, in ossequio alla legge 109/1996. La famiglia Canfarotta aveva accumulato un ingente patrimonio attraverso il favoreggiamento dell'immigrazione clandestina e lo sfrutta- mento della prostituzione.
Quando si parla di criminalità organizzata, bisogna avere la capacità di connettere i pun- ti, legare i fili: non è tutto chiaro, evidente; bisogna saper cogliere i sintomi. La vera ma- fia, la mafia più potente ed autentica, non si manifesta a colpo d’occhio. Apparentemen- te, anzi, “non succede quasi nulla”. Ebbene, è questo il vero controllo del territorio. Le
organizzazioni mafiose non hanno interesse a fare rumore; anzi mirano a coltivare i pro- pri affari lontano dai riflettori, senza attirare l’attenzione delle forze dell’ordine.
Nel centro storico Genovese c’è qualcosa di simile, come da tempo denunziano gli abi- tanti e i commercianti. Certe dinamiche si possono apprezzare solo vivendo quotidia- namente un certo territorio. Queste orga- nizzazioni riducono al minimo gli episodi eclatanti. E’ un meccanismo lento, quasi im- percettibile, di infiltrazione e di “conquista”. Gestiscono spaccio di droga e prostituzione, come detto. Ma non solo. Fondamentale è il subentro alle attività commerciali in crisi: non c’è, in centro storico, il pizzo tradizio- nale alla siciliana, ma si registrano meccani- smi di tipo usurario/estorsivo. Viviamo una forte contraddizione: quanti negozi, con la crisi economica, hanno cambiato proprieta- rio? Sono sempre meno le botteghe storiche genovesi. Al contempo però si assiste ad un vero e proprio florilegio di altre attività, che alimentano circuiti criminali: minimarket, fruttivendoli, money transfer e phone center… Non ci vuole molto a capire che questa è colonizzazione. Un processo che coinvolge, certamente, stranieri. Ma è diretto, sovente, o quanto meno sostenuto, da menti raffinate e italianissime.
A questo, occorre affiancare negli ultimi anni la strutturazione di alcune forme organizzate di criminalità straniera. I giornali hanno par- lato di mala senegalese, attiva in particolare nella zona di Pré, che avrebbe progressiva- mente ampliato il proprio dominio, fagoci- tando altre componenti criminali. I senega- lesi in questione si occupano di estorsioni (si pensi al fenomeno dei “parcheggiatori abusi- vi” nelle aree del Porto Antico), di vendita di capi contraffatti, di spaccio di droga; benché siano periodicamente oggetto delle attenzio- ni delle forze dell’ordine, “tornano in pista” a stretto giro, o comunque sono interessati da un continuo turn over (fenomeno che garan- tisce un controllo stabile di certe attività). Spesso si parla di “accettazione sociale del centro storico come imbuto del disagio”, con conseguente rassegnazione e rimpallo di re- sponsabilità/competenze tre le varie Istitu- zioni. Si ricevono sempre risposte difensive, non esiste una vision.
Il Comune si è impegnato di recente ad appro- vare un regolamento per la movida,attiuato attraverso alcune ordinanze del Sindaco, tese
a disincentivare il consumo di alcool “sfrena- to” in centro storico, attraverso rigidi divie- ti per i commercianti e ad imporre standard qualitativi agli esercenti. Ma sono state col- pite in modo indiscriminato attività anche molto diverse. Talora, attuando questa sorta di “coprifuoco”, si è rinunziato a presidiare certe zone, dando campo libero ai traffici criminali. I commercianti denunciano ilcalo del fatturato del 30% in 6 mesi, zone sempre più a rischio desertificazione e assenza di re- ali controlli e sanzioni severe.
Alle forze dell’ordine e alla magistratura in- quirente, si impone uno sforzo maggiore: non basta procedere all’arresto estempora- neo dello spacciatore di strada; occorre un’in- dagine capace di smantellare la rete nel nar- cotraffico. La forza lavoro in questo settore, infatti, non manca mai ed è soggetta ad un continuo rinnovo. Occorre colpire chi tiene le fila di questo meccanismo criminale. E’ fondamentale una presenza costante, fisica e percepibile, delle Autorità, per non lasciare i cittadini da soli, ad affrontare impotenti certi fenomeni.
Alle Istituzioni Comunali (e Regionali) si chiede di incentivare e sostenere tutte le atti- vità di inclusione sociale e di favorire e valo- rizzare le attività di associazionismo e volon- tario, impegnate sul territorio in una lotta quotidiana contro il degrado e per il riscatto del proprio quartiere. C’è un sottobosco di grande fermento che rappresenta la parte più bella della città vecchia e può stimolarne la rinascita. Le Istituzioni dovrebbero, da una parte, far crescere competenze e coordinare il Terzo settore; dall’altra, coinvolgerlo nelle decisioni e nella programmazione cittadina. In secondo luogo, è fondamentale salva- guardarele botteghe storiche e artigianali, proteggere i commercianti che fanno scelte “etiche”, combattere i negozi che alimenta- no circuiti criminali. Andrebbero costruiti (ed adeguatamente pubblicizzati) percorsi di consumo critico, per valorizzare le tipicità locali ed indurre il turista a prediligere, nei propri acquisti, i punti vendita guidati da soggetti che hanno sottoscritto determinati impegni2.
E’ fondamentale, infine, impegnarsi sul tema della vivibilità degli spazi, combattendo il disagio e la paura, che allontanano le per- sone dalla socialità. A questo scopo, priotari risultano il recupero, la manutenzione, la promozione, la valorizzazioni di spazi e luo-
ghi di comunità (di cultura, di aggregazione, di fruizione del tempo libero e delle attività sportive).
E’ sin troppo evidente quanto possa essere importante, in questo senso, il riutilizzo a fini sociali dei beni confiscate. La messa a bandodei primi lotti del sequestro Canfarot- ta dovrebbe essere imminente e numerosi sono già i progetti di riscatto urbano al vaglio degli enti locali (temporary shop; esperienze di social housing; spazi di co-working…). E’ necessario, in ultima analisi, promuovere in parallelo lo sviluppoe conomico e socia- le del territorio, operazione complessa che dovrebbe essere pianificata dalle Istituzioni attraverso il coinvolgimento costante della cittadinanza, nell’ottica di costruire in modo partecipato una comunità più forte, solidale e sicura. In questaprospettiva, un ruolo fon- damentale assume il turismo. Genova ha teso, con un indubbio successo, negli ultimi decenni a riscoprire una vocazione turistico- culturale: il centro storico è però solo mar- ginalmente interessato daiflussi in arrivo in Città: Porto Antico, Palazzo Ducale, via Garibaldi continuano ad essere le mete più frequentate. Se valorizzato in modo integra- to il patrimonio di risorse storiche, culturali, artistiche, antropiche può costituire un ulte- riore volano di sviluppo per l’intera Città.
1. Il quartiere, pur essendo collocato in posizione privilegiata appena a sud della straordinaria Strada Nuova, può essere definito una “enclave” chiusa in sé stessa con proprie regole, dove chi proviene dall’esterno avverte un forte senso di disagio. Il tessuto edilizio è fittissimo con sacche di degrado fisico e sociale (spaccio e prostituzione in primis) ed è abitatoin prevalenza da fasce deboli e da immigrati extracomunitari, anche se non mancano punti di eccellenza come alcuni “Palazzi dei Rolli”, patrimonio UNESCO. 2. A questo proposito, si sta lavorando alla
redazione di un Codice Etico che qualifichi i commercianti del centro storico, esperienza da mutuare potenzialmente in ogni zona della città; è già stato diffuso il brand “Mafia
non è….lavoro” che appare sulle vetrine
degli esercizi commerciali impegnati a rispettare determinati requisiti di qualità.