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Le città anticipano il paese Marco Cremasch

Crisi e austerità sono due termini sempre più in uso di recente. Ma in alcuni paesi d’Europa, tra i quali l’Italia, e in particolare nelle città meridionali, crisi e austerità di bilancio erano già apparse nel 1993, e si sono ulteriormente aggravate a partire dal 2001. Quindi, la com- binazione di austerità e stato di crisi non è re- cente: ma gli effetti possono dipendere anche da elementi esterni a questa combinazione. Vale dunque la pena considerare l’incrocio tra trasformazioni, opportunità e forme di gover- nance urbana cosi’ come si è presentato negli ultimi anni. Si deve notare allora che le città italiane presentano elementi di difficoltà, con alcuni casi soprendenti.

La popolazione in Italia é pressoché stabi- le. Nel 2016 la popolazione in Italia è di 60,6 milioni, di cui gli stranieri sono 5 milioni (l'8,3%). É diminuito il saldo migratorio net- to con l'estero, ridotto a un quarto di quello di dieci anni fa. Gli arrivi da altri paesi sono scesi a un terzo, le partenze sono due volte più nu- merose. Una leggera variazione positiva si re- gistra comunque, a partire dal 2012, di circa il 2%; ma nello stesso periodo gli occupati sono diminuiti di mezzo punto percentuale. Come si sono comportate le città? La risposta breve è che si sono comportate un po’ meglio. La risposta un po’ più accurata e laboriosa è che chi andava meglio ha recuperato e chi non andava bene ha peggiorato. Se si vuole ri- spondere allora alla domanda dove vanno le città italiane, bisogna fare uno sforzo e pren- dere un po’ di distanza, e cercare di ricostruire una prospettiva non congiunturale sulla crisi. Se si guarda in prospettiva, infatti, appare al- lora con chiarezza la divisione di due fasi re- centi, e numerose differenze che segnano la situazione odierna e quella di trenta anni fa. All’inizio degli anni ’80, la crisi è apparsa come un’opportunità: e le politiche di allora hanno saputo riconoscere il cambiamento rispetto al dopoguerra. É stato allora compiuto un ten- tativo cosciente di comprendere e governare: a) i processi complessi della deindustrializza- zione; b) la dispersione urbana e geografica. A questo fine sono stati elaborati nuovi approc- ci e strumenti gestionali e territoriali spesso complessi (dai programmi integrati alla pe- requazione). Rispetto agli intenti di allora, il

giudizio sugli strumenti è oggi probabilmente più cauto e perplesso. Ma quello che conta è che all’epoca, i settori innovativi dell’indu- stria hanno cercato di rilanciarsi finanziando- si con operazioni immobiliari; queste ultime a loro volta promettevano un rinascimento di tutta la città e distribuivano vantaggi a tutti. In quella epoca, per la prima volta l’Unione Europa si è trovata a confrontarsi con la di- mensione urbana. E non a caso ha promosso modi innovativi di coordinamento e forme di partnership (i piani strategici, per esempio) che potevano apparire convenienti a sollecitare il rinnovamento urbano e condurre successiva- mente alla ricostruzione economica.

E’ ancora questa la situazione? Rispetto a quel- la crisi e a quella soluzione, due delle principa- li differenze che val la pena indicare qui han- no carattere territoriale e fondiario.

Da un lato, alcune città (Napoli per esempio) non hanno mai beneficiato della opportunità della nuova economia perché penalizzate da marginalità geografica, ciclo economico, e competizione. Altre, come Taranto, non han- no potuto mobilitare il patrimonio fondiario e immobiliare per i costi proibitivi della boni- fica dei precedenti disastri industriali. Dall’altro, la diffusione e lo sprawl hanno al- terato il modello denso della città industria- le proprio quando sono cambiati i fattori di agglomerazione e le forme della produzione. Alla città industriale corrispondeva infatti un governo gerarchico, una società conflittuale ma organizzata, e un modello spaziale denso. Dunque, marginalità economica e dispersione insediativa sono due caratteri che indebolisco- no il presupposto della rigenerazione urbana, cioé dello sviluppo immobiliare che sostiene la costruzione di una nuova economia. Il cosidet- to rinascimento urbano degli anni ‘90, divulga- to dall’Unione Europea nei suoi programmi, si trova di fronte a un modello spaziale molto più “orizzontale” del precedente e meno gerarchiz- zato. E qui si trova la contraddizione con gli strumenti di allora. Valgono ancora piani stra- tegici, accordi e programmi di rivitalizzazione in epoca di crisi? Come si comportano le città in questo frangente?

Per capire a che punto siamo oggi è utile con- siderare gli andamenti comparati di alcuni paesi europei!. Tra il 2005 e il 2012, i saldi di

Germania e Francia sono piuttosto positivi per la crescita dell’economia (Pil nominale), a differenza di Spagna e Italia. Di nuovo, sono positivi per l’andamento demografico in Fran-

cia e Spagna, a differenza di Germania e Italia (che dice molto sulla differente posizione rela- tiva ai rifugiati e alla politica migratoria). Inoltre, le aree metropolitane (la circoscrizio- ne territoriale è in questo caso quella pertinen- te) vanno sempre meglio del paese di riferi- mento se questo è in crescita: le città tedesche vanno meglio della Germania, quelle francesi della Francia. Vanno invece peggio del siste- ma paese se questo è in declino o comunque in crescita ridotta. Così le città in Spagna au- mentano demograficamente più del paese nel suo insieme, che pure è molto in attivo; ma la crescita economica delle metropoli è inferiore alla media nazionale, che comunque è bassa. Insomma, su popolazione e crescita economi- ca, le città e le aree metropolitane anticipano il sistema paese e amplificano gli andamenti nazionali. Questo avviene nel bene e nel male. A maggiore ragione in Italia, dove il paese è cresciuto in termini demografici solo grazie agli immigranti (ma questa stagione sembra esaurita); e va assai male in termini economi- ci (un parziale miglioramento è in corso negli anni che seguono, ma non sufficiente a cam- biare le considerazioni qui espresse). Ma so- prattutto, le aree metropolitane in Italia, sono (quasi tutte) in difficoltà.

Se si guarda ai più recenti dati Istat2 relativi

alle 15 città più importanti, si constata che la popolazione è cresciuta un po’ di più della media nazionale, ed è stato registrato perfino un leggero incremento dell’occupazione. Ma la differenza rispetto alla media nazionale è limitata.

Anche se si considera solo il gruppo di testa, le città più dinamiche mostrano un profilo più accentuato ma di poco: la popolazione cresce del 4% e l’occupazione addirittura del 2%. Dati un po’ più confortanti; ma molto lontani da quelli degli altri paesi europei.

Ma quali sono queste città? Si tratta nell’insie- me delle 15 principali aree urbane del paese; e dall’altro, le 8 città più dinamiche: Milano, che migliora nettamente, come Bologna, Fi- renze e Roma (ma il recupero è sulla popola- zione e dipende dal recupero di precedenti errori amministrativi); Verona e Parma che, pur andando bene, rallentano; infine, Vene- zia e Prato che però rallentano. Dall’altro lato, Napoli e Matera, che però migliorano di poco; le sorprese sono invece Torino e Genova, che peggiorano significativamente mentre il bi- lancio di Reggio Calabria, Palermo e Catania resta negativo.

La tabella comincia a mostrare con chiarezza che la ristrutturazione economica ha prodotto una nuova gerarchia della quale Milano e alcu- ni città del Nordest e del Centro hanno saputo approfittare, sia pure con qualche ritardo. Perché Milano è più dinamica e il Sud non recu-

pera? Si possono avanzare due ipotesi.

La prima, è che il modello di politiche urbane imposto dalla globalizzazione comincia a dare i suoi frutti e chi ha saputo inserirsi, nonostan- te i ritardi e le incertezze del sistema paese, ne approfitta; sembra invece molto dubbio che

il modello possa tracimare verso altre città. Se questo è vero, il divario che i dati cominciano a mostrare non potrà che aumentare. Il confron- to tra Milano e Roma è istruttivo: dal 2008, la variazione del Pil di Roma è prossima alla metà nazionale, mentre Milano lo supera del 50%; la disoccupazione a Roma è più alta di un terzo3.

La seconda ipotesi riguarda gli strumenti. Non basta promuovere partnerships, piani strategici, ricette europee. I problemi delle città sono nu- merosi e differenziati. Quello che è riuscito in un momento favorevole ad una, non vale neces- sariamente per tutte. Milano ce l’avrebbe fatta – in questa ipotesi – per tanti motivi, in parte la buona governance e in parte il posizionamento nella scacchiera globale; per gli stessi motivi, le altre non possono farcela. É il caso di Torino e Genova, troppo vicine e Milano; e troppo esi- tanti ad adottare comportamenti innovativi (nonostante i primi successi, l’apparente mo- dello consensuale, e i rilevanti e continui inve- stimenti centrali).

In conclusione, nessuna città intermedia può farcela senza una forte politica nazionale di svi- luppo che investa su un profilo specifico e per- metta ai settori economici coerenti di riposizio- narsi. Non basta allora che ciascuna città trovi la sua strategia: occorre accompagnarla con un progetto di società, occorre un chiaro sistema di priorità a livello nazionale che selezioni dove investire e su quali settori.

1. L’Ocse ha raccolto sulle aree metropolitane che consentono una comparazione internazionale, che sono pero’ disponibili sono fino al 2012. 2. Per avere dati recenti su demografia e

occupazione è necessario fare riferimento al dato provinciale fornito dall’Istat. Naturalmente il dato provinciale falsa un po’ il riferimento e richiederebbe qualche precisazione, che non possono trovare luogo in questa sede. 3. E dal punto di vista urbanistico, sebbene

risentano di una temporalità più ampia, le differenze sono altrettanto evidenti : la densità è molto inferiore (446 contro 1.090 ab./kmq); mancano le metro (60 km contro 95 km) e le piste ciclabili (19,8 contro 83,1 km/100 kmq), per non parlare del riciclo dei rifiuti (43% contre 50%).

Riferimenti bibliografici

• Cremaschi M. 2014. “Il secolo delle città ? Non perdiamolo (di nuovo)” Urbanistica 152:1-14. • Cremaschi M., 2015 (a cura di), Métropoles et

régions, entre concurrences et complémenta- rités. Regards croises France/Italie , Planum. • Cremaschi M., 2016 (a cura di), Rapporto sulle città,

Metropoli attraverso la crisi, il Mulino, Bologna.

Germania Francia Spagna Italia

Paese Var. % pop. -2,1 4,9 7,4 5 Var. % Pil 10,5 6,3 2,6 -3,7 Aree metro Var. % pop. 0 7,8 12,5 2,7

Var. % Pil 11,1 8,2 0,9 -3,3

Italia Città Città dinamiche

Popolazione Var. % +2,1 +2,9 +4,2 Occupazione Var. % - 0,5 +0,1 +2,0 Abitanti e Pil nelle aree metropolitane: variazioni 2005-2012

(Elaborazioni su Dati Ocse)

Abitanti e occupati nelle province urbane: variazioni 2012-2016 (Elaborazioni su Dati Istat)

Le città metropolitane e lo

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